Per chi ama leggere testi o saggi sull’evoluzione o sulle religioni questo è indubbiamente uno strano periodo, poiché mai come oggi si assiste alla pubblicazione di libri in cui si ha una profonda commistione tra questi due generi.
A partire dal 2004, e con particolare vigore dal 2006, assistiamo al proliferare di libri in cui alcuni autori si prefiggono di usare Dio per spiegare l’evoluzione ed evoluzionisti che vogliono usare l’evoluzione per spiegare Dio: ma cosa sta succedendo? La risposta è semplice: evoluzione e religione sono sempre più frequentemente viste come strumenti alternativi per spiegare l’origine della vita, motivo per cui una deve necessariamente (ma sarà vero?) includere o falsificare l’altra.
Il rapporto tra questi due “mondi” sembrava avere trovato una apparente pace con la proposta di Stephen J. Gould relativa ai magisteri separati ovvero evoluzione e religione si occupano di oggetti diversi e quindi non vi è conflitto tra di loro. La posizione di Gould, sebbene abbia trovato un discreto numero di sostenitori, ha lasciato molti insoddisfatti, tanto che ecco rischierarsi i due “eserciti”.
Da un lato dello schieramento abbiamo indubbiamente Dennett e Dawkins. Daniel Dennett è un filosofo della scienza americano divenuto molto noto in Italia per la pubblicazione del libro intitolato L'idea pericolosa di Darwin (Boringhieri, 2004). Dennett ha recentemente pubblicato Rompere l’incantesimo: la religione come fenomeno naturale (Raffaello Cortina Editore, 2007) in cui mostra come la fede non sia altro che un risultato dell'evoluzione darwiniana ottenuto a partire da credenze popolari.
In modo analogo Richard Dawkins, notissimo genetista, autore tra l’altro del celeberrimo Il gene egoista, ha pubblicato The God Delusion (che sarà disponibile in italiano a partire dal settembre 2007 con il titolo L’illusione di Dio, edito da Mondadori) in cui l’autore discute in modo molto razionale “l’ipotesi Dio” ovvero come l’idea dell’esistenza di Dio si è fatta spazio nelle nostre menti
Sull’altro lato dello schieramento non si può non citare il recentissimo The edge of Evolution (Free Press, 2007), in cui Michael J. Behe, biochimico americano che rappresenta al momento uno dei più attivi sostenitori dell’intelligent design americano, cerca di mostrare come l’evoluzione non sia altro che un fragile castello di carte se non si inserisce la figura di un Dio progettista che guida i processi evolutivi.
Un elemento curioso che emerge dalla lettura di questi libri (compresi parte dei numerosi commenti che la pubblicazione di questi testi ha suscitato) è che tutti questi testi falliscono nel mettere realmente all’angolo i loro oppositori, oltre che tutti contengono errori più o meno gravi. Un ottimo esempio delle difficoltà incontrate dagli autori nel raggiungere il loro scopo lo si può trovare nel brillante saggio di Massimo Pigliucci intitolato Is Dawkins deluded? When Scientists talk about religion che sarà pubblicato nel numero di luglio/agosto della rivista Skeptical Inquirer, in cui l’autore (notissimo evoluzionista) passa in rassegna i numerosi punti in cui il lavoro di Dawkins risulta meno efficace, se non addirittura debole.
Sul fronte opposto, non possono però neppure passare in silenzio i numerosissimi errori e le difficoltà incontrate da M. J. Behe nel suo ultimo lavoro, come efficacemente mostrato da Sean B. Carroll nella sua recensione intitolata God as genetic engineer apparsa sull’ultimo numero di Science. Oltre agli aspetti scientifici, particolarmente calzante è la domanda che si pone Carroll nel chiedersi perché Behe insista nel cercare di segnalare “buchi” nella teoria dell’evoluzione, quando in realtà tali lacune corrispondono più a mancate citazioni della letteratura scientifica disponibile, piuttosto che in reali punti di debolezza della teoria dell’evoluzione.
Perché questi testi hanno in comune così tante imprecisioni e difficoltà nel raggiungere il proprio target di lavoro? Forse, sebbene questi autori siano sicuramente molto solidi ciascuno nel proprio campo, in questo caso si trovano a “giocare fuori casa” e l’evoluzionista Dawkins (nonostante la storica alleanza con il filosofo Dennett) sembra vacillare sul terreno della filosofia, così come Behe in quello della genetica molecolare.
Tralasciato il lavoro di Behe che è stato già ben discusso da Carroll, come giovane evoluzionista mi sono chiesto dopo la lettura dei libri di Dennett e Dawkins: ma è realmente utile per sostenere l’evoluzione dimostrare che la religione è un virus mentale (o meme se preferite) o che la religione può essere spiegata come fenomeno evolutivo? In un momento storico in cui da numerosi ambienti religiosi vengono attacchi all’evoluzione, non sarebbe forse meglio investire maggiori energie per ottenere una educazione scientifica migliore sia in quantità che in qualità? Nel suo saggio intitolato Fondamentalismo e Scienza (pubblicato su Micromega, vol. 2, 2007) Massimo Pigliucci si dava questa risposta: “Ciò che possiamo e dobbiamo fare – urgentemente - è promuovere ampi sforzi interdisciplinari per istruire scienziati, educatori scientifici ed il pubblico in generale sui modi migliori di vedere il triangolo scienza-società-religione. Da questo dipende niente meno che il futuro della civiltà moderna”.
Mauro Mandrioli
Pigliucci, M. (2007) Is Dawkins deluded? When Scientists talk about religion. Skeptical Inquirer, in stampa.
Carroll, S.B. (2007) God as genetic engineer. Science 316: 1427-1428.
Pigliucci, M. (2007) Fondamentalismo e Scienza. Micromega, vol, 2, pag.28-33.
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