Un nuovo studio conferma una storica ipotesi che ha piu' di trent'anni: cio' che ci differenzia dagli scimpanze' e' la regolazione dell'attivita' del genoma, piu' che i geni codificanti stessi.
E' una schiacciante evidenza per una storica ipotesi gia' avanzata nel 1975 da Mary-Claire King e Allan C. Wilson di UC Berkeley, quando era gia' chiaro quanto straordinariamente piccola fosse la distanza genetica tra noi e lo scimpanze', il primate con il quale condividiamo l'antenato comune piu' recente. Questo nuovo studio, apparso recentemente sulla rivista
Nature, viene da ricercatori di Yale, della University of Chicago, e del Hall Institute di Parkville, in Australia, guidati da Yohav Gilad, professore di genetica umana alla University of Chicago e dal biologo Kevin White.
Esso si basa sulla nuova tecnologia del gene-array, con la quale per la prima volta e' stata misurata simultaneamente l'espressione di un migliaio di geni appartenenti a genomi di quattro specie di primati: il macaco reso (Macaca mulatta), l'orangutan (Pongo pygmaeus), lo scimpanze' (Pan troglodytes) e Homo sapiens.
Il risultato mostra inequivocabilmente che negli ultimi 70 milioni di anni tra i diversi primati non si e' verificata una marcata divergenza dei geni che codificano proteine, mentre negli ultimi cinque milioni di anni, periodo che segna la separazione tra Homo sapiens e scimpanze', tra gli umani si e' verificata la rapida evoluzione dei cosiddetti fattori di trascrizione, e cioe' di geni che regolano l'espressione di altri geni. I geni regolatori presenterebbero un tasso di mutazione superiore di addirittura quattro volte rispetto ai geni che vengono regolati da essi.
In particolare, dei poco piu' di mille geni ortologhi esaminati, estratti da tessuti epatici delle varie specie, il 60% circa non mostra particolari differenze di livelli di espressione: essi partecipano infatti a processi cellulari fondamentali, e l'alterazione della loro attivita' risulterebbe
particolarmente dannosa; per questo la loro regolazione e' rimasta pressoche' invariata negli ultimi 70 milioni di anni. D'altra parte, piu' del 40% dei geni umani classificabili tra i fattori di trascrizione mostra di aver decisamente aumentato la propria attivita': siamo dunque in presenza di un fenomeno di selezione naturale direzionale che si esplica su questi geni regolatori.
La straordinaria somiglianza dei genomi di Homo sapiens e Pan troglodytes, insieme alle altrettanto enormi differenze tra le due specie, in termini anatomici e comportamentali, potrebbero dunque essere spiegate principalmente sulla base dell'azione dei fattori di regolazione genica: questi avrebbero giocato un ruolo fondamentale nella storia evolutiva dell'uomo, separandolo definitivamente dagli altri primati. Come sottolinea Gilad, questo e' un percorso estremamente.efficiente: la modifica dei fattori di trascrizione puo' procedere attraverso poche mutazioni, e quindi con pochi rischi, mentre l'impatto sull'intero genoma e' molto alto.
Gli autori si stanno ora concentrando su alcune importantissime domande: perche' gli umani sono cosi' diversi dagli altri primati? Quali cambiamenti ambientali e comportamentali hanno indotto tali differenze nel sistema di regolazione genica? Gli autori sono convinti di trovare la risposta tra i cambiamenti culturali ai quali solo la nostra specie e' andata incontro.
Paola Nardi
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