Non si sospettava un tasso di evoluzione cosi' elevato per virus a DNA....
I virus, entita' ai confini del vivente caratterizzate da informazione genetica (DNA o RNA) racchiusa in un involucro proteico, sono endoparassiti cellulari obbligati: necessitano infatti di penetrare all'interno di una cellula per impadronirsi dei suoi "macchinari" di produzione di acidi nucleici e proteine, allo scopo di produrre copie di se' stessi. Essi evolvono al pari degli organismi viventi propriamente detti, e opportune mutazioni genetiche possono talvolta permettere loro di passare da specie a specie.
Una recente ricerca mostra che l'eritrovirus B19, un parvovirus ubiquitario umano associato all'infezione di cellule del midollo osseo e dell'endotelio, muta con un tasso elevatissimo, nell'ordine dei 10^-4 nucleotidi per sito all'anno. La particolarita' risiede nel fatto che i parvovirus sono dotati di un singolo filamento di DNA, e per questi virus si era ipotizzato un tasso di mutazione nettamente piu' basso: il tasso riscontrato e' di solito associato ai virus a RNA, come l'HIV o il virus dell'influenza. Questa peculiarita' era gia' apparsa alla ricercatrice Laura Shackelton lo scorso anno (vedi articolo su PNAS), quando si era occupata di parvovirus che si trasmettono tra i carnivori, come ad esempio il virus della panleucopenia felina (FPLV) e il virus della parvovirosi canina (CPV-2).
In particolare la Shackelton ha analizzato il salto di specie compiuto dal virus della panleucopenia felina dal gatto al cane, con la conseguente insorgenza della parvovirosi canina. L'analisi genomica dei parvovirus e' partita da campioni degli anni '60, cioe' prima del passaggio dell'infezione dal gatto al cane, che sono stati confrontati con campioni successivi al salto di specie: in questo modo, applicando un metodo statistico denominato Bayesian Markov Chain-Monte Carlo (MCMC), e' stato costruito un albero evolutivo dei virus considerati. I risultati mostrano che il parvovirus FPLV ha infettato i felini per oltre cento anni, prima di accumulare le mutazioni necessarie (soprattutto a livello del capside proteico) ad infettare i cani: non appena cio' e' avvenuto, verso la fine degli anni '70, si sono rapidamente accumulate altre mutazioni, in grado di permettere la trasmissione dell'infezione all'interno della stessa specie, tra soggetti malati e soggetti sani. Lo studio dell'eritrovirus B19, recentementepubblicato sul Journal of Virology, ha completato il quadro con l'analisi della dinamica evolutiva del parvovirus umano, confermando l'elevato tasso di evoluzione gia' riscontrato per gli altri parvovirus.
In un periodo di estrema preoccupazione per cio' che riguarda il possibile salto di specie a danno degli umani dell'influenza aviaria, studi come questo aumentano la capacita' di comprensione e previsione dell'effettiva probabilita' associata ad un simile evento.
Paola Nardi
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