Isole ed Evoluzione dei mammiferi
Si conferma il ruolo "esplosivo" delle isole nell'accelerare l'evoluzione e plasmare specie del tutto particolari.
Non si tratta di nuove evidenze: la paleontologa francese Virginie Millien, ora curatrice del Redpath Museum di Montreal in Canada, pubblica su PLoS Biology un'accurata analisi basata su dati ricavati da numerosi studi apparsi negli ultimi trent'anni sulle riviste piu' qualificate, fornendo per la prima volta un quadro generale, sistematico ed esauriente, di cio' che veramente e' accaduto nel corso dell'evoluzione dei mammiferi sulle isole di mezzo mondo, dalle Galàpagos all'Indonesia, dal Mediterraneo al Pacifico. La Millien e' soprattutto interessata alle modificazioni morfologiche e dimensionali dei mammiferi come conseguenza del loro cambiamento evolutivo e del relativo adattamento.
L'analisi, effettuata comparando i reperti fossili e i dati sulle specie attuali, conferma la cosiddetta "regola insulare" per i mammiferi: specie continentali grandi tendono a rimpicciolire, mentre le specie piccole sulla terraferma tendono a diventare molto piu' grandi sulle isole. Inoltre viene per la prima volta dimostrato che le specie insulari evolvono molto piu' rapidamente (fino ad un fattore 3) che sulla terraferma: in pochi pochi decenni, o in tempi che comunque non superano le migliaia di anni, si possono osservare cambiamenti evolutivi molto grandi. Il dato si basa sull'analisi del tasso evolutivo di 170 popolazioni di mammiferi, rappresentanti di 88 specie appartenenti a ben 14 ordini diversi. Le specie insulari vanno incontro in un primo tempo a rapidi cambiamenti, molto piu' velocemente delle loro controparti continentali: il tasso evolutivo rallenta comunque nel tempo, fino a diventare indistinguibile da quello delle specie continentali mediamente dopo 45.000 anni. I rapidi cambiamenti morfologici che subiscono le specie insulari possono spiegare il ben noto fenomeno della mancanza di rappresentanti fossili delle forme intermedie nel processo evolutivo di una specie continentale che diventa parte di un ecosistema insulare.
Le isole si confermano dunque come fantastici laboratori dell'evoluzione, dove le particolari pressioni selettive (mancanza di predatori, limitatezza di risorse, ridotta competizione interspecifica) determinano elevati tassi evolutivi e peculiari cambiamenti morfologici adattativi. Lo studio apre inoltre un interessante scenario: possiamo trasferire le conoscenze finora acquisite in questi studi alle specie continentali particolarmente frammentate (ad esempio a causa della perdita di habitat), considerandole in una situazione molto simile a quella che si avrebbe su un'isola, con conseguente rapida evoluzione e adattamento alle piu' diverse condizioni ambientali? Le specie sono capaci di difendersi, almeno parzialmente, dal pericolo di estinzione causato dalla mano dell'uomo, adattandosi rapidamente ai drastici cambiamenti ambientali imposti? Alcuni studi, citati nel lavoro della Millien, sembrerebbero fortunatamente confermare questa visione ottimistica.
Paola Nardi
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