Uno studio fornisce evidenze sperimentali sull'ipotesi, comunemente accettata ma mai provata, che furono gli insetti impollinatori a giocare un ruolo di primo piano nella rapida ed imponente radiazione adattativa che vide come protagoniste le piante a fiore.
Le piante che producono fiori (Angiospermae) sono comparse sulla terra circa 125 milioni di anni fa (si veda "Un'esplosione di fiori" del 2-12-2007) e in pochi milioni di anni si sono differenziati i principali otto gruppi. Successivamente si verificò un'esplosione che, grazie all'incremento esponenziale del numero di specie, consentì loro di colonizzare le terre emerse.
Secondo un recente studio pubblicato su PNAS, uno dei meccanismi chiave che avrebbe favorito questa imponente radiazione adattativa andrebbe ricercato nella coevoluzione tra le piante a fiore e gli impollinatori. Con alcune eccezioni, come piccoli uccelli e pipistrelli nettarivori, gli animali impollinatori sono costituiti quasi esclusivamente dagli insetti pronubi. In alcuni casi il processo di coevoluzione ha raggiunto livelli di specializzazione tali da rendere le due specie indispensabili l'una per l'altra, a tal punto che, nel caso dell'estinzione della prima avverrà inevitabilmente anche quella della seconda. Esempi di questo tipo sono le orchidee del genere Ophrys che riproducono le sembianze di una vespa femmina, completa di occhi, antenne e ali, inducendo il maschio, che "crede" di accoppiarsi, ad impollinare il fiore e quello dell'orchidea del Madagascar Angraecum sesquipedale, che porta uno sperone di 30 cm, tale da essere impollinato esclusivamente da una falena, la Xanthopan morgani praedicta, dotata di una spiritromba della medesima lunghezza.
Ma quando comparve questo rapporto mutualistico, a volte così indispensabile per entrambi i contraenti? E quanto influì sulla diffusione a livello globale delle piante a fiore? Un gruppo di ricercatori della University of Florida e della Indiana University Southeast ritiene che la sua origine sia databile almeno 96 milioni di anni fa e che il processo coevolutivo che ha coinvolto piante e insetti abbia giocato un ruolo determinante nell'evoluzione delle angiosperme.
Sulla base di un'analisi della struttura del polline fossilizzato, i ricercatori hanno potuto concludere che al momento dell'esplosione delle piante a fiore il meccanismo di impollinazione più diffuso era già quello zoofilo. I granuli di polline che vengono dispersi per mezzo degli insetti sono infatti di grosse dimensioni, presentano una superficie ruvida per favorire l'adesione all'animale e si trovano uniti in gruppi di numerosità variabile (da 5 a 100 granuli). Quelli che vengono trasferiti da una pianta all'altra dal vento (impollinazione anemocora), invece, tendono ad essere singoli, più piccoli e lisci.
I risultati indicano che circa il 76% dei pollini ritrovati nei giacimenti fossiliferi dell'inizio del tardo Cretaceo (circa 100 milioni di anni fa) analizzati presentano le tipiche caratteristiche della prima tipologia, contro solo il 26% della seconda. La spiegazione più parsimoniosa per interpretare questi risultati sarebbe, secondo i ricercatori, che la dispersione per mezzo di insetti sia stata la condizione ancestrale, la cui evoluzione anticipa di poco l'enorme radiazione adattativa che ha portato le piante a dominare le terre emerse di tutto il mondo.
Questi dati sono stati completati con analisi parallele che hanno preso in considerazione la struttura, la forma e le dimensioni degli stami, gli organi del fiore deputati al rilascio del polline che entrano in contatto con gli insetti, e gli apparati buccali degli impollinatori, verificando anche un buon livello di specializzazione (circa il 27% del totale) già 100 milioni di anni fa.
Andrea Romano
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