Dawkins e Gould concordi: “non facciamo il gioco dei creazionisti”
L’idea ha qualche anno, ma il concetto è più che mai attuale. Era il 2001, e Richard Dawkins scriveva al suo collega americano preoccupato per il crescente peso che il dibattito con i Creazionisti stava avendo nella scena culturale e scientifica internazionale. In particolare Dawkins riteneva che fosse auspicabile un’astensione da qualsiasi possibile confronto con queste persone, in primis da parte sua e del collega, probabilmente due fra le autorità massime nel campo dell’evoluzionismo, ma comunque di tutta la comunità scientifica in genere. Le ragioni sono spiegate nel saggio “Corrispondenza incompiuta con un peso massimo darwiniano”, contenuto all’interno della raccolta “Il cappellano del Diavolo”, Cortina ed., 2004 (pp. 295-301).
“Queste persone non hanno alcuna speranza di convincere rispettabili scienziati con i loro ridicoli argomenti. Ciò a cui aspirano è invece l’ossigeno della rispettabilità. Perché possano godere di questo ossigeno è sufficiente che noi accettiamo di AVERE A CHE FARE con loro. A queste persone non importa essere battute negli argomenti. Ciò che conta è che noi gli concediamo un riconoscimento prendendoci il disturbo di discutere con loro in pubblico. […] Qualsiasi possa essere l’esito del dibattito, il solo fatto di metterlo in scena suggerisce agli ignari spettatori che vi debba essere qualcosa su cui vale la pena discutere e che in un certo qual modo i contendenti giochino ad armi pari. […] Il colpo a cui mirano è semplicemente il riconoscimento che discende anzitutto dalla possibilità che viene loro offerta di condividere un palco con un vero scienziato”.
Gould si trovò immediatamente d’accordo con il collega, ma la sua precoce scomparsa impedì che una lettera a quattro mani contenente questi argomenti comparisse sul New York Review of Books. Il messaggio, fortunatamente, resta.
Stefano Papi
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