Al di la' del contributo presunto o reale delle emissioni antropiche di anidride carbonica sul cambiamento climatico globale, ecco un report che solleva grande preoccupazione circa l'impatto della CO2 sulla biodiversita' marina.
Joan Kleypas, biologa marina del National Center for Atmospheric Research (NCAR) e' l'autrice principale di un documento intitolato “Impacts of Ocean Acidification on Coral Reefs and Other Marine Calcifiers”, che compare in questi giorni sul sito dell'istituzione americana. Gli studi effettuati avevano l'obbiettivo di mettere in relazione l'impatto delle proprieta' chimico-fisiche oceaniche sugli organismi calcificanti, e di proporre modelli con i quali monitorare gli effetti dei cambiamenti di alcuni fattori sulle specie piu' vulnerabili.
Il quadro che emerge e' piuttosto allarmante: negli ultimi duecento anni gli oceani hanno assorbito anidride carbonica in quantita' equivalente a 118 miliardi di tonnellate di carbonio, modificando in misura consistente il proprio pH. La maggiore presenza nelle acque di anidride carbonica trasforma lo ione carbonato in ione bicarbonato: questa reazione chimica abbassa dunque la quantita' di ione carbonato disponibile per la produzione di carbonato di calcio da parte degli organismi calcificanti, principalmente i coralli.
Alcuni esperimenti condotti dimostrano che la calcificazione dei coralli rallenta sensibilmente al diminuire dell'alcalinita' dell'acqua; si creano delle strutture meno dense e dunque piu' deboli. Le nuove barriere coralline potrebbero quindi non reggere la naturale azione erosiva dei mari e scomparire inesorabilmente. Secondo gli autori questi effetti sono gia' misurabili, insieme ad altri effetti avversi, come il bleaching, legati al riscaldamento delle acque.
E non finisce qui: nel giro di cinquant'anni, con il ritmo attuale delle emissioni, la situazione potrebbe precipitare, con le acque oceaniche sempre meno alcaline e meno adatte alla formazione del carbonato di calcio: anche importanti organismi planctonici calcificanti, come gli pteropodi, potrebbero subire una decisa contrazione della popolazione, e cio' causerebbe una diminuzione delle risorse di cibo per i pesci pelagici che si nutrono di essi, come salmoni, sgombri e aringhe. In generale la rete alimentare oceanica potrebbe essere
fortemente danneggiata, con conseguenze disastrose per interi ecosistemi.
Anche se il report invita a raccogliere ulteriori informazioni sulla fisiologia ed ecologia degli organismi calcificanti al variare delle condizioni chimico-fisiche degli oceani, le conseguenze che si prospettano, con dati accessibili e facilmente interpretabili, sembrano davvero rappresentare una buona ragione per prendere seriamente in considerazione immediate strategie globali che portino alla drastica riduzione nell'uso dei combustibili fossili come principale fonte energetica. Tuttavia cio' implicherebbe quasi sicuramente la volonta' di intraprendere strade coraggiose e non sempre popolari!
Paola Nardi
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