Sono tra noi da miliardi di anni....... Gia' alla fine del '600 van Leeuwenhoek, l'inventore del microscopio, si era accorto della loro esistenza, ma essi sono stati incredibilmente ignorati dalla scienza fino a circa vent'anni fa.
Sto parlando dei biofilm(s) consorzi davvero straordinari per struttura ed organizzazione biochimica attraverso i quali le comunita' microbiche (batteri, protisti, alghe e lieviti) riescono a prosperare. L'ultimo numero di American Scientist pubblica un articolo, scritto da alcuni biologi canadesi della University of Calgary, che riassume le evidenze emerse negli ultimi anni riguardo a queste speciali comunita'. Ognuno di noi ha esperienza di biofilm(s), dai tappeti verdastri e scivolosi che ricoprono i ciottoli di un corso d'acqua o le rocce di zone particolarmente umide, alla fanghiglia variopinta che si osserva in prossimita' di sorgenti termali; dalla placca dentale al fenomeno della biocorrosione. Per lunghi anni si e' pensato, che lo status piu' comune dei microbi, ad esempio i batteri, fosse quello di organismi cosiddetti planctonici, cioe' isolati e liberi di essere trasportati nell'ambiente: questi effettivamente esistono, ma l'organizzazione di gran lunga favorita sembra proprio essere quella del biofilm. Quando un biofilm raggiunge la maturita', uno o piu' gruppi microbici si ritrovano legati da una matrice extracellulare polimerica molto complessa, formata da polisaccaridi, DNA e proteine, e in questo modo sono capaci di aderire facilmente alle superfici. Questa vita comunitaria e' favorita rispetto all'isolamento, perche' offre indubbi vantaggi ai suoi componenti: dal trasferimento orizzontale di materiale genetico, alla possibilita' di sfruttare i prodotti metabolici dei propri vicini, alla protezione meccanica, all'aumentata capacita' di tolleranza verso gli agenti antimicrobici.
La microbiologia e' oggi finalmente convinta della necessita' di comprendere appieno questo mondo: i biofilm(s), infatti, sono coinvolti in moltissimi aspetti legati alla nostra alimentazione e salute. Essi intervengono a regolare le attivita' metaboliche di animali e piante (basti pensare al rumine dei bovini, dove ben 75 specie tra batteri, protisti e lieviti permettono all'animale di sostenersi con una dieta di sola erba, oppure alle associazioni di micorrize o dei batteri Rhizobium e Nitrobacter che agiscono rispettivamente per una migliore capacita' di assorbimento dei nutrienti da parte delle piante e per la fissazione dell'azoto atmosferico), ma possono anche essere patogenici e causare gravi malattie. E' ormai noto che circa il settanta per cento delle infezioni batteriche alle quali siamo esposti sono causate dai biofilm(s), che aiutano i microbi a espandersi nell'ospite ed a proteggersi dagli attacchi del sistema immunitario e delle molecole farmacologicamente attive.
Come funziona un biofilm? Quali sono i meccanismi che lo rendono cosi' adatto alla sopravvivenza anche in un ambiente particolarmente ostile e variabile? Per rispondere a queste fondamentali domande la microbiologia sta oggi cambiando radicalmente l'approccio sperimentale e analitico, rendendolo finalmente idoneo allo studio dei biofilm(s): anche la proteomica e la trascrittomica stanno dando il loro contributo, offrendo la possibilita' di studiare il profilo di distribuzione delle proteine e dei trascritti genici in un biofilm. Sono gia' stati scoperti meccanismi interessanti attraverso i quali i componenti di un biofilm si rendono resilienti all'ambiente che li circonda. Si e' in particolare compreso che la straordinaria capacita' resiliente risiede nella estrema eterogeneita' del biofilm: i microorganismi piu' vicini all'ambiente fluido crescono piu' velocemente, avendo a disposizione nutrienti ed ossigeno in maggior quantita', e sono pertanto maggiormente suscettibili all'attacco degli antimicrobici; le cellule a crescita lenta, al centro del biofilm, presentano invece una migliore tolleranza.
E' stato inoltre svelato un meccanismo di difesa dei biofilm(s) batterici davvero efficace, probabilmente evolutosi molto tempo fa: il quorum sensing si basa su segnali chimici di comunicazione intercellulare, e consiste nell'emissione da parte di alcuni batteri di molecole che inducono, quando raggiungono una certa concentrazione, l'attivazione di geni specifici, responsabili a loro volta dell'attivazione o del silenziamento di altri geni (fino al 10%) residenti
sul cromosoma batterico. Importanti in questo senso sono le ricerche condotte dalla biologa molecolare Bonnie Bassler alla Princeton University. Il quorum sensing, ad esempio, e' implicato nella produzione di enzimi coinvolti nella difesa e riparazione cellulare contro agenti quali il radicale superossido ed il perossido di idrogeno (conosciuto anche come acqua ossigenata): il biofilm quindi riesce a sopravvivere sia all'azione dei disinfettanti, sia all'assalto delle cellule responsabili della risposta immunitaria di un organismo ospite. Anche la difesa contro gli antibiotici e' aumentata da meccanismi di quorum sensing, che provvedono alla produzione di grandi quantita' di specie chimiche che funzionano da pompe molecolari, capaci di espellere l'antibiotico iniettato nella cellula batterica.
Spesso le cellule batteriche che riescono a sopravvivere sono quelle a crescita piu' lenta: Kim Lewis, della Northeastern University di Boston, ha recentemente scoperto che le cosiddette cellule persistenti riescono a raggiungere uno stato di dormienza durante l'azione antibiotica, per poi dare origine ad una nuova popolazione batterica quando l'effetto antiobiotico cessa.
E' superfluo aggiungere che sono proprio queste cellule ad essere responsabili delle recidive nelle infezioni. Sebbene il successo delle cellule persistenti sembri a prima vista un paradosso evolutivo, in quanto la loro presenza riduce la fitness dell'intera popolazione clonale batterica, a causa di un piu' lenta divisione cellulare, si hanno evidenze genetiche che questo meccanismo sia molto ancestrale e che si sia evoluto nei batteri come "polizza assicurativa" per proteggersi da incontri, seppure infrequenti, con agenti antibiotici. Lo propone il modello pubblicato lo scorso aprile su Genetics da Edo Kussell della Rockefeller University di New York.
Gli scienziati che si misurano quotidianamente con il problema della resistenza batterica all'azione degli antibiotici sanno bene quanto sia di fondamentale importanza comprendere l'evoluzione di tali meccanismi per approntare efficaci contromisure, magari sotto forma di induzione di modificazioni genetiche negli agenti patogeni: e' ormai chiaro che tali ricerche devono necessariamente essere orientate verso lo studio dei biofilm(s).
Paola Nardi
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