In occasione del Darwin Day di Milano, febbraio 2008, uscirà finalmente per conto della Laterza, la traduzione italiana, curata da Telmo Pievani, dei taccuini segreti di Darwin.
Ecco la descrizione bibliografica dell'opera:
Charles Darwin. Taccuini
Prefazione di Niles Eldredge. Traduzione di Isabella Blum. Laterza, 2008
Paolo Coccia
Qui troverete avvisi, comunicazioni, segnalazioni su tutte le novita' che potrebbero interessarvi: articoli, libri, eventi, temi controversi, bibliografie, dossier, ecc....
Thursday, November 22, 2007
Il più grande artropode mai esistito, uno scorpione d'acqua del Devoniano
Non capita tutti i giorni di poter documentare dalla voce di un ricercatore a diretto contatto con gli studiosi, tale sensazionale scoperta. E' successo al nostro ricercatore Massimo Bernardi, da poco all'Università di Bristol. Proprio dallo stesso dipartimento, ci ha rilasciato il seguente articolo che volentieri pubblichiamo.
Nella nota zona fossilifera dell'Eifel, nell'area più orientale della Ardenne, è stato portato alla luce il più grande artropode mai vissuto nell'intera storia della vita su questo pianeta.
L'esemplare è stato classificato come Jaekelopterus rhenaniae, uno scorpione d'acqua; un feroce predatore dei rigogliosi e popolati bassifondi salmastri del periodo Devoniano, circa 400 Milioni di anni fa. L'esemplare, come spesso accade nei ritrovamenti paleontologici, si presenta tutt'altro che completo ed è sostanzialmente limitato ad una delle chele che, presumibilmente, veniva utilizzata in modo del tutto analogo a quanto gli scorpioni fanno oggi.
Secondo la ricostruzione eseguita da un team di studiosi inglesi, tedeschi ed americani, l'intero organismo poteva raggiungere i 3,5 metri di lunghezza a chele distese. Dopo mesi di “delicata preparazione” e una “soppesata fase di valutazione” del reperto – come sottolinea il primo autore dello studio, Dr Simon J. Braddy della Bristol University – l'articolo che ne presenta la scoperta verrà pubblicato nel prossimo numero del prestigiso periodico Biological Letters.
Gli artropodi rappresentano il più numeroso e diversificato gruppo di organismi viventi e, più in generale, il gruppo di maggior successo nell'intera storia della vita. Essi comprendono forme adattate alle più diverse condizioni ambientali, con i più disparati stili di vita: da parassiti obbligati a docili impollinatori sino a voraci predatori. Gli artropodi sono spesso poco visibili o sfuggenti alla nostra vista: la maggior parte dei componenti di questo gruppo hanno dimensioni millimetriche. Ben più familiari rappresentanti come calabroni, farfalle, ragni e gamberetti possono raggiungere dimensioni centimetriche; alcuni, come granchi ed aragoste, anche decimetriche. Tale generale limitazione nelle dimensioni è riconducibile al particolare ed unico percorso evolutivo che questo gruppo intraprese sin dalle sue origini. La caratteristica presenza di un'esoscheletro (contrapposto, ad esempio, al nostro scheletro, che è interno al corpo), di un sistema unico di locomozione e respirazione (ad esempio negli insetti) e l'alto costo energetico del processo di muta, possono essere addotti come fattori limitanti una eccessiva crescita della massa e del volume totale dell'organismo.
Caratteristicamente il periodo Carbonifero (circa 300 milioni di anni fa), però, vide l'evoluzione di artropodi terrestri 'giganti', come libellule e millepiedi che raggiunsero anche i 2 metri di lunghezza; tale evento è generalmente associato alle alte concentrazioni atmosferiche di ossigeno che persistevano in quel periodo e che, rendendo più efficiente il processo di respirazione, permisero di 'spingere verso il limite' le dimensioni di questi organismi. Lo scorpione d'acqua gigante oggetto della recente scoperta visse circa 100 milioni di anni prima di tale periodo ad alta concentrazione di ossigeno, ed il suo gigantismo non è quindi riconducibile a tale fattore. Simon Braddy e colleghi suggeriscono che “tale importante scoperta, unita al fatto che altri artropodi giganti siano stati ritrovati in momenti diversi della storia di questo gruppo [compreso l'attuale Granchio Gigante del Giappone che può raggiungere i 3 metri, n.d.t.] rafforza l'ipotesi che il 'gigantismo' si sia evoluto più volte ed indipendentemente dalle condizioni ambientali, forse come risposta alla competizione con altri organismi”.
Grazie alla mole ed alla potenza delle loro chele questi scorpioni d'acqua rappresentavano il vertice della catena alimentare devoniana; una catena alimentare nella quale i vertebrati (il gruppo del quale anche noi umani facciamo parte, ma che allora era rappresentato per lo più da particolari pesci 'corazzati') erano ben lungi dal rappresentare una minaccia per gli artropodi.
Massimo Bernardi
Le citazioni sono state tradotte fedelmente dalle parole del Dr S.J. Braddy.
Nella nota zona fossilifera dell'Eifel, nell'area più orientale della Ardenne, è stato portato alla luce il più grande artropode mai vissuto nell'intera storia della vita su questo pianeta.
L'esemplare è stato classificato come Jaekelopterus rhenaniae, uno scorpione d'acqua; un feroce predatore dei rigogliosi e popolati bassifondi salmastri del periodo Devoniano, circa 400 Milioni di anni fa. L'esemplare, come spesso accade nei ritrovamenti paleontologici, si presenta tutt'altro che completo ed è sostanzialmente limitato ad una delle chele che, presumibilmente, veniva utilizzata in modo del tutto analogo a quanto gli scorpioni fanno oggi.
Secondo la ricostruzione eseguita da un team di studiosi inglesi, tedeschi ed americani, l'intero organismo poteva raggiungere i 3,5 metri di lunghezza a chele distese. Dopo mesi di “delicata preparazione” e una “soppesata fase di valutazione” del reperto – come sottolinea il primo autore dello studio, Dr Simon J. Braddy della Bristol University – l'articolo che ne presenta la scoperta verrà pubblicato nel prossimo numero del prestigiso periodico Biological Letters.
Gli artropodi rappresentano il più numeroso e diversificato gruppo di organismi viventi e, più in generale, il gruppo di maggior successo nell'intera storia della vita. Essi comprendono forme adattate alle più diverse condizioni ambientali, con i più disparati stili di vita: da parassiti obbligati a docili impollinatori sino a voraci predatori. Gli artropodi sono spesso poco visibili o sfuggenti alla nostra vista: la maggior parte dei componenti di questo gruppo hanno dimensioni millimetriche. Ben più familiari rappresentanti come calabroni, farfalle, ragni e gamberetti possono raggiungere dimensioni centimetriche; alcuni, come granchi ed aragoste, anche decimetriche. Tale generale limitazione nelle dimensioni è riconducibile al particolare ed unico percorso evolutivo che questo gruppo intraprese sin dalle sue origini. La caratteristica presenza di un'esoscheletro (contrapposto, ad esempio, al nostro scheletro, che è interno al corpo), di un sistema unico di locomozione e respirazione (ad esempio negli insetti) e l'alto costo energetico del processo di muta, possono essere addotti come fattori limitanti una eccessiva crescita della massa e del volume totale dell'organismo.
Caratteristicamente il periodo Carbonifero (circa 300 milioni di anni fa), però, vide l'evoluzione di artropodi terrestri 'giganti', come libellule e millepiedi che raggiunsero anche i 2 metri di lunghezza; tale evento è generalmente associato alle alte concentrazioni atmosferiche di ossigeno che persistevano in quel periodo e che, rendendo più efficiente il processo di respirazione, permisero di 'spingere verso il limite' le dimensioni di questi organismi. Lo scorpione d'acqua gigante oggetto della recente scoperta visse circa 100 milioni di anni prima di tale periodo ad alta concentrazione di ossigeno, ed il suo gigantismo non è quindi riconducibile a tale fattore. Simon Braddy e colleghi suggeriscono che “tale importante scoperta, unita al fatto che altri artropodi giganti siano stati ritrovati in momenti diversi della storia di questo gruppo [compreso l'attuale Granchio Gigante del Giappone che può raggiungere i 3 metri, n.d.t.] rafforza l'ipotesi che il 'gigantismo' si sia evoluto più volte ed indipendentemente dalle condizioni ambientali, forse come risposta alla competizione con altri organismi”.
Grazie alla mole ed alla potenza delle loro chele questi scorpioni d'acqua rappresentavano il vertice della catena alimentare devoniana; una catena alimentare nella quale i vertebrati (il gruppo del quale anche noi umani facciamo parte, ma che allora era rappresentato per lo più da particolari pesci 'corazzati') erano ben lungi dal rappresentare una minaccia per gli artropodi.
Massimo Bernardi
Le citazioni sono state tradotte fedelmente dalle parole del Dr S.J. Braddy.
Tassonomia su Youtube
Un delizioso filmato che spiega a cosa serve la tassonomia
Parla della necessità della descrizione delle specie viventi e della difficoltà se la tassonomia non ci fosse. E' in inglese, comprensibile anche solo dalle immagini. Provate.
Marco Ferrari
Guardatelo su Pikaia
Parla della necessità della descrizione delle specie viventi e della difficoltà se la tassonomia non ci fosse. E' in inglese, comprensibile anche solo dalle immagini. Provate.
Marco Ferrari
Guardatelo su Pikaia
Musica nuova, temi (molto) vecchi
Dalla Germania un concept album a sfondo geologico/paleontologico
Il collettivo musicale tedesco The Ocean ha recentemente pubblicato un doppio album della durata complessiva di 84 minuti dal titolo "Precambrian".
L'opera si articola in due momenti, che fanno riferimento agli eoni del Precambriano: un EP da 22 minuti intitolato "Hadean/Archaean" e un full length di oltre un'ora chiamato "Proterozoic".
I collegamenti con la paleontologia non finiscono qui. Le canzoni, infatti, portano ciascuna il nome di un'era precambriana, per cui la tracklist definitiva risulta essere quasi un compendio di geologia.
CD 1 “Hadean/Archean”1 Hadean2 Eorchean3 Paleoarchean4 Mesoarchean5 Neoarchean
CD 2 “Proterozoic”III - Palaeoproterozoic1 Siderian2 Rhyacian3 Orosirian4 Statherian
IV - Mesoproterozoic5 Calymmian6 Ectasian7 Stenian
V - Neoproterozoic8 Tonian9 Cryogenian
Secondo la band, "il concept e l'artwork del disco riguardano i primi milioni di anni di vita del pianeta, quando la Terra era un luogo ostile e inabitabile, dominato da fuoco, zolfo e lava. Il flusso di calore dal centro della Terra era circa tre volte maggiore rispetto ad oggi. L'atmosfera pesante e ricca in CO2 permetteva l'esistenza di acqua allo stato liquido, alla temperatura di 230 °C. Durante gli eoni Adeano e Archeano l'atmosfera attuale iniziò a formarsi e la Terra a raffreddarsi, creando le condizioni per la nascita della vita durante il Proterozoico".
Non è ancora chiaro di cosa tratteranno i testi, né se la band abbia intenzione di prendere spunto dall'esplosione della vita nel Cambriano per scrivere un nuovo disco.
Altre informazioni qui e qui
Gabriele Ferrari
Il collettivo musicale tedesco The Ocean ha recentemente pubblicato un doppio album della durata complessiva di 84 minuti dal titolo "Precambrian".
L'opera si articola in due momenti, che fanno riferimento agli eoni del Precambriano: un EP da 22 minuti intitolato "Hadean/Archaean" e un full length di oltre un'ora chiamato "Proterozoic".
I collegamenti con la paleontologia non finiscono qui. Le canzoni, infatti, portano ciascuna il nome di un'era precambriana, per cui la tracklist definitiva risulta essere quasi un compendio di geologia.
CD 1 “Hadean/Archean”1 Hadean2 Eorchean3 Paleoarchean4 Mesoarchean5 Neoarchean
CD 2 “Proterozoic”III - Palaeoproterozoic1 Siderian2 Rhyacian3 Orosirian4 Statherian
IV - Mesoproterozoic5 Calymmian6 Ectasian7 Stenian
V - Neoproterozoic8 Tonian9 Cryogenian
Secondo la band, "il concept e l'artwork del disco riguardano i primi milioni di anni di vita del pianeta, quando la Terra era un luogo ostile e inabitabile, dominato da fuoco, zolfo e lava. Il flusso di calore dal centro della Terra era circa tre volte maggiore rispetto ad oggi. L'atmosfera pesante e ricca in CO2 permetteva l'esistenza di acqua allo stato liquido, alla temperatura di 230 °C. Durante gli eoni Adeano e Archeano l'atmosfera attuale iniziò a formarsi e la Terra a raffreddarsi, creando le condizioni per la nascita della vita durante il Proterozoico".
Non è ancora chiaro di cosa tratteranno i testi, né se la band abbia intenzione di prendere spunto dall'esplosione della vita nel Cambriano per scrivere un nuovo disco.
Altre informazioni qui e qui
Gabriele Ferrari
Ricreazioni evoluzionistiche
Dinosauri, pinguini e i Simpsons......poi con calma .......
Dinosaur Gets Owned
http://www.lolcrazy.com/file/155-dinosaur-gets-owned.html
Riproposta dei Simpsons sull'evoluzione
http://www.lolcrazy.com/file/222-the-simpsons-evolution.html
The Simpsons evolution
Esilarante:
http://www.planktoon.com/
I pinguini volano?
http://www.lessthanevolved.com/histomap_of_evolution.html
Poster del 1932 (8 Megabytes il file http://www.lessthanevolved.com/histomap.jpg). 1,5 metri x quasi 60 cm. Rappresentazione grafica su scala logaritmica di 10 miliardi di evoluzione del pianeta Terra
...se poi avete tempo....ma fate anche con calma....guardatevi i 12 capitoli del programma della PBS:
Judgement Day, Intelligent Design on Trial
http://www.pbs.org/wgbh/nova/id/program.html
Paolo Coccia
Dinosaur Gets Owned
http://www.lolcrazy.com/file/155-dinosaur-gets-owned.html
Riproposta dei Simpsons sull'evoluzione
http://www.lolcrazy.com/file/222-the-simpsons-evolution.html
The Simpsons evolution
Esilarante:
http://www.planktoon.com/
I pinguini volano?
http://www.lessthanevolved.com/histomap_of_evolution.html
Poster del 1932 (8 Megabytes il file http://www.lessthanevolved.com/histomap.jpg). 1,5 metri x quasi 60 cm. Rappresentazione grafica su scala logaritmica di 10 miliardi di evoluzione del pianeta Terra
...se poi avete tempo....ma fate anche con calma....guardatevi i 12 capitoli del programma della PBS:
Judgement Day, Intelligent Design on Trial
http://www.pbs.org/wgbh/nova/id/program.html
Paolo Coccia
Si avvicina Natale. I Consigli di Pikaia per gli acquisti. Aggiornamento del 18 novembre 2007
I nostri consigli se volete acquistare un libro sull'evoluzione!
Natale è vicino. Vi proponiamo (segnalate in rosso) le novità apparse in queste ultime settimane.
Gli argomenti non sono rigorosamente evoluzionistici ma coprono tutto l'arco delle scienze con escursioni nel mondo della letteratura (Calvino), della comunicazione scientifica, dell'Islam, dell'economia, ecc........
Contiene le sezioni:
Da non perdere – I Classici – Per ragazzi - Nuove pubblicazioni - Le bibliografie.Contributi e segnalazioni sono benvenuti.
Paolo Coccia
Milano, 18 novembre 2007
Le novità le trovate su Pikaia
Natale è vicino. Vi proponiamo (segnalate in rosso) le novità apparse in queste ultime settimane.
Gli argomenti non sono rigorosamente evoluzionistici ma coprono tutto l'arco delle scienze con escursioni nel mondo della letteratura (Calvino), della comunicazione scientifica, dell'Islam, dell'economia, ecc........
Contiene le sezioni:
Da non perdere – I Classici – Per ragazzi - Nuove pubblicazioni - Le bibliografie.Contributi e segnalazioni sono benvenuti.
Paolo Coccia
Milano, 18 novembre 2007
Le novità le trovate su Pikaia
EVOLUZIONE A SCUOLA e l’arte di (non) insegnare
Volentieri segnaliamo la pubblicazione di Marcello Sala, EVOLUZIONE A SCUOLA e l’arte di (non) insegnare (Change, 2007). Un tentativo "evoluto" di proporre un nuovo approccio integrato allo studio delle scienze moderne e in particolare alla teoria dell'evoluzione.
Lascio la parola a un brano del testo che riportiamo:
questo libro... si propone da una parte a educatori, insegnanti, studenti di scienze della formazione, ricercatori didattici, formatori, a riflettere criticamente sulla propria pratica professionale, dall’altra a esperti di evoluzione e di epistemologia, operatori della comunicazione scientifica cui sta a cuore la comprensione di quelle idee scientifiche da parte di tutti; perché, come scrive Telmo Pievani nella prefazione, il libro “tiene insieme dentro un’unica trincea tre livelli che troppo frequentemente viaggiano disgiunti: quello dei contenuti delle teorie scientifiche considerate, quello dei modelli epistemologici sottesi e quello dei processi di formazione.”
Il sito di Marcello Sala è www.marcellosala.it, visitatelo!
Paolo Coccia
Lascio la parola a un brano del testo che riportiamo:
questo libro... si propone da una parte a educatori, insegnanti, studenti di scienze della formazione, ricercatori didattici, formatori, a riflettere criticamente sulla propria pratica professionale, dall’altra a esperti di evoluzione e di epistemologia, operatori della comunicazione scientifica cui sta a cuore la comprensione di quelle idee scientifiche da parte di tutti; perché, come scrive Telmo Pievani nella prefazione, il libro “tiene insieme dentro un’unica trincea tre livelli che troppo frequentemente viaggiano disgiunti: quello dei contenuti delle teorie scientifiche considerate, quello dei modelli epistemologici sottesi e quello dei processi di formazione.”
Il sito di Marcello Sala è www.marcellosala.it, visitatelo!
Paolo Coccia
Un'altra caratteristica rettiliana dei monotremi
L'apparato genitale maschile dell'echidna, mammifero monotremo, presenta caratteristiche simili a quello dei rettili.
Come ben noto, i mammiferi si dividono in due sottoclassi: i Theria, a sua volta suddivisi nelle infraclassi Eutheria, quella dei mammiferi placentati, e Metatheria, quella dei marsupiali, ed i Prototheria, oggi rappresentati dall'unico ordine Monotremata e presenti esclusivamente in Oceania e Nuova Guinea. Questi ultimi, per alcune loro particolari caratteristiche, sono considerati "l'anello di congiunzione" tra rettili e mammiferi. L'aspetto di questi animali che senza dubbio colpisce maggiormente è la compresenza simultanea di tratti rettiliani, come la deposizione di uova, e mammaliani, come il corpo ricoperto da pelliccia, l'allattamento dei piccoli e la termoregolazione.
Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista The American Naturalist e condotto da ricercatori della University of Queensland, in Australia, ha evidenziato un'ulteriore caratteristica tipica dei rettili nell'anatomia di un esponente di questo gruppo, l'echidna spinoso (Tachyglossus aculeatus). I maschi di questa specie presentano infatti un pene dotato di quattro estremità, due delle quali inutilizzate e le rimanenti usate per il trasferimento degli spermatozoi alla femmina durante il processo di fecondazione interna. La singolarità di tale apparato consta nel fatto che solo una delle due estremità viene impiegata nell'atto sessuale, mentre la seconda viene utilizzata nella copula successiva. Questo comportamento non è mai stato segnalato in alcun mammifero, bensì i ricercatori hanno trovato similarità con l'apparato genitale maschile dei rettili dell'ordine Squamata, quello di lucertole e serpenti. Questo è composto da due emipeni, strutture mantenute all'interno del corpo per essere estratte solamente durante l'accoppiamento, ma, come accade nell'echidna spinoso, solo in modo alternato.
Nell'articolo, disponibile on line ed arricchito da alcune fotografie, i ricercatori operano anche un'analisi degli spermatozoi, che, non appena fuoriescono, si raggruppano tra loro aumentando la propria motilità. Questa potrebbe essere una caratteristica fondamentale per aumentare le possibilità di fecondazione, soprattutto quando le femmine si accoppiano con più maschi. In questo caso, i maschi competono per la paternità per mezzo della capacità fecondatrice dei propri spermatozoi (competizione spermatica) e non tramite le proprie qualità fisiche.
Andrea Romano
Come ben noto, i mammiferi si dividono in due sottoclassi: i Theria, a sua volta suddivisi nelle infraclassi Eutheria, quella dei mammiferi placentati, e Metatheria, quella dei marsupiali, ed i Prototheria, oggi rappresentati dall'unico ordine Monotremata e presenti esclusivamente in Oceania e Nuova Guinea. Questi ultimi, per alcune loro particolari caratteristiche, sono considerati "l'anello di congiunzione" tra rettili e mammiferi. L'aspetto di questi animali che senza dubbio colpisce maggiormente è la compresenza simultanea di tratti rettiliani, come la deposizione di uova, e mammaliani, come il corpo ricoperto da pelliccia, l'allattamento dei piccoli e la termoregolazione.
Un nuovo studio, pubblicato sulla rivista The American Naturalist e condotto da ricercatori della University of Queensland, in Australia, ha evidenziato un'ulteriore caratteristica tipica dei rettili nell'anatomia di un esponente di questo gruppo, l'echidna spinoso (Tachyglossus aculeatus). I maschi di questa specie presentano infatti un pene dotato di quattro estremità, due delle quali inutilizzate e le rimanenti usate per il trasferimento degli spermatozoi alla femmina durante il processo di fecondazione interna. La singolarità di tale apparato consta nel fatto che solo una delle due estremità viene impiegata nell'atto sessuale, mentre la seconda viene utilizzata nella copula successiva. Questo comportamento non è mai stato segnalato in alcun mammifero, bensì i ricercatori hanno trovato similarità con l'apparato genitale maschile dei rettili dell'ordine Squamata, quello di lucertole e serpenti. Questo è composto da due emipeni, strutture mantenute all'interno del corpo per essere estratte solamente durante l'accoppiamento, ma, come accade nell'echidna spinoso, solo in modo alternato.
Nell'articolo, disponibile on line ed arricchito da alcune fotografie, i ricercatori operano anche un'analisi degli spermatozoi, che, non appena fuoriescono, si raggruppano tra loro aumentando la propria motilità. Questa potrebbe essere una caratteristica fondamentale per aumentare le possibilità di fecondazione, soprattutto quando le femmine si accoppiano con più maschi. In questo caso, i maschi competono per la paternità per mezzo della capacità fecondatrice dei propri spermatozoi (competizione spermatica) e non tramite le proprie qualità fisiche.
Andrea Romano
Saturday, November 17, 2007
Darwin si evolve, i suoi nemici no
Telmo Pievani interviene sul quotidiano laStampa di Torino sulla polemica tutta ideologica relativa all'interventi recente di Piattelli Palmarini sul Corriere della Sera.
Leggete l'intervento che cortesemente LaStampa mette a disposizione a testo intero.
Paolo Coccia
Leggete l'intervento che cortesemente LaStampa mette a disposizione a testo intero.
Paolo Coccia
Sempre più umani!
Una popolazione di scimpanzè utilizza strumenti per lo scavo per reperire radici e tuberi. Questa scoperta potrà essere utile a comprendere le abitudini alimentari dei nostri predecessori.
Ancora una volta gli scimpanzè (Pan troglodytes) ci stupiscono per l'attuazione di comportamenti complessi, assimilabili sempre più a quelli umani. In una popolazione residente a Fongoli, nella regione sud-orientale del Senegal, pochi mesi fa si era assistito un comportamento di caccia attiva per mezzo di utensili. In quel caso, gli strumenti, molto simili a piccole lance, erano costituiti da rami a cui veniva creata un’estremità appuntita, tramite la quale veniva trafitta la preda, il Galagone minore (Galago senegalensis), direttamente all'interno del suo rifugio.
In questo caso, invece, il comportamento documentato è differente ma si avvale sempre di strumenti ed è sempre finalizzato alla ricerca di risorse alimentari. Ricercatori della University of Wisconsin-Madison e della University of Southern California, anche se non osservandolo direttamente, hanno la convinzione che nella popolazione della Ugalla Forest Reserve, nella Tanzania occidentale, si sia diffusa l'abitudine di scavare nel terreno alla ricerca di cibo. Infatti, hanno collezionato una serie di strumenti rudimentali, semplici bastoncini di legno e cortecce, consumati dallo scavo nel terreno, in prossimità dei luoghi di ricovero degli scimpanzè. Il bersaglio di tali scavi sono gli organi di riserva sotterranei delle piante, le radici ed i tuberi succulenti.
Secondo i risultati, esposti sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, emerge come questo comportamento non venga messo in atto in condizioni di scarsità di cibo, bensì sia accentuato nella stagione delle piogge, a segnalare come radici e tuberi siano alimenti ormai integati nella dieta di questa popolazione. E' la prima volta che viene dimostrato con certezza l'utilizzo di strumenti di scavo in primati non appartenenti alla sottofamiglia degli Homininae, a cui appartiene l'uomo, che insieme ai Paninae (gli scimpanzè e i gorilla) costituisce la famiglia Hominidae.
Questa straordinaria scoperta potrebbe essere utile nell'interpretazione dello stile di vita degli antenati della nostra specie, che vivevano nella savana alberata che stava prendendo il posto delle foreste, un ambiente molto simile a quello in cui si trova la popolazione di scimpanzè oggetto di studio. I nostri progenitori poterono sfruttare questo tipo di ambiente aperto anche grazie allo sfruttamento di risorse sotterranee, rese disponibili da scavo per mezzo di strumenti.
Da oggi abbiamo un nuovo modello che potrebbe aiutare a comprendere la prima tecnologia umana e il cambiamento di dieta degli antichi ominidi, anche se risulterà difficile rinvenire strumenti simili in siti paleoarcheologici, in quanto facilmente biodegradabili.
Andrea Romano
Ancora una volta gli scimpanzè (Pan troglodytes) ci stupiscono per l'attuazione di comportamenti complessi, assimilabili sempre più a quelli umani. In una popolazione residente a Fongoli, nella regione sud-orientale del Senegal, pochi mesi fa si era assistito un comportamento di caccia attiva per mezzo di utensili. In quel caso, gli strumenti, molto simili a piccole lance, erano costituiti da rami a cui veniva creata un’estremità appuntita, tramite la quale veniva trafitta la preda, il Galagone minore (Galago senegalensis), direttamente all'interno del suo rifugio.
In questo caso, invece, il comportamento documentato è differente ma si avvale sempre di strumenti ed è sempre finalizzato alla ricerca di risorse alimentari. Ricercatori della University of Wisconsin-Madison e della University of Southern California, anche se non osservandolo direttamente, hanno la convinzione che nella popolazione della Ugalla Forest Reserve, nella Tanzania occidentale, si sia diffusa l'abitudine di scavare nel terreno alla ricerca di cibo. Infatti, hanno collezionato una serie di strumenti rudimentali, semplici bastoncini di legno e cortecce, consumati dallo scavo nel terreno, in prossimità dei luoghi di ricovero degli scimpanzè. Il bersaglio di tali scavi sono gli organi di riserva sotterranei delle piante, le radici ed i tuberi succulenti.
Secondo i risultati, esposti sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, emerge come questo comportamento non venga messo in atto in condizioni di scarsità di cibo, bensì sia accentuato nella stagione delle piogge, a segnalare come radici e tuberi siano alimenti ormai integati nella dieta di questa popolazione. E' la prima volta che viene dimostrato con certezza l'utilizzo di strumenti di scavo in primati non appartenenti alla sottofamiglia degli Homininae, a cui appartiene l'uomo, che insieme ai Paninae (gli scimpanzè e i gorilla) costituisce la famiglia Hominidae.
Questa straordinaria scoperta potrebbe essere utile nell'interpretazione dello stile di vita degli antenati della nostra specie, che vivevano nella savana alberata che stava prendendo il posto delle foreste, un ambiente molto simile a quello in cui si trova la popolazione di scimpanzè oggetto di studio. I nostri progenitori poterono sfruttare questo tipo di ambiente aperto anche grazie allo sfruttamento di risorse sotterranee, rese disponibili da scavo per mezzo di strumenti.
Da oggi abbiamo un nuovo modello che potrebbe aiutare a comprendere la prima tecnologia umana e il cambiamento di dieta degli antichi ominidi, anche se risulterà difficile rinvenire strumenti simili in siti paleoarcheologici, in quanto facilmente biodegradabili.
Andrea Romano
Il Festival della Scienza 2007 in 100 righe
La curiosità è il motore della scoperta scientifica, un’attitudine profondamente umana che ci spinge a conoscere il mondo naturale, a esplorarne gli aspetti più reconditi, a trarne applicazioni innovative.
Lo hanno mostrato nei modi più diversi e talvolta insoliti le decine di scienziati convenuti a Genova per la quinta edizione del Festival della Scienza, che ha superato tutte le precedenti per la ricchezza e la varietà del programma degli incontri. I grandi nomi della ricerca internazionale intervenuti nei tredici affollati giorni del Festival hanno confermato quanto sia in continua trasformazione la scienza, non solo grazie alla curiosità solitaria dei geni più inventivi, ma anche attraverso le collaborazioni internazionali e interdisciplinari che fanno della scienza oggi una vera impresa collettiva.
Su Pikaia il resoconto completo.
Lo hanno mostrato nei modi più diversi e talvolta insoliti le decine di scienziati convenuti a Genova per la quinta edizione del Festival della Scienza, che ha superato tutte le precedenti per la ricchezza e la varietà del programma degli incontri. I grandi nomi della ricerca internazionale intervenuti nei tredici affollati giorni del Festival hanno confermato quanto sia in continua trasformazione la scienza, non solo grazie alla curiosità solitaria dei geni più inventivi, ma anche attraverso le collaborazioni internazionali e interdisciplinari che fanno della scienza oggi una vera impresa collettiva.
Su Pikaia il resoconto completo.
Com'è invecchiata la medusa!
Il momento della prima comparsa risale ora a 500 milioni di anni fa
In un articolo apparso di recente sul Public Library of Science, un'equipe della Kansas University ha descritto quattro nuovi tipi di cnidari, il phylum a cui appartengono meduse e coralli. La caratteristica forma a campana, la presenza di tracce di tentacoli e a volte di gonadi permettono di correlare gli esemplari ai moderni ordini di meduse. I fossili risalgono alla radiazione evolutiva cambriana, circa 540 milioni di anni fa; in questo periodo relativamente rapido (10 milioni di anni) nacquero e si diversificarono la maggior parte dei moderni phyla animali. Le prove della radiazione sono facili da rinvenire soprattutto per quel che riguarda gli animali dotati di conchiglie od ossa, i cui resti si conservano più facilmente.
“Il record fossile è sbilanciato a sfavore di forme di vita a corpo molle come le meduse, perché generalmente non lasciano resti quando muoiono”, dice Bruce Lieberman, docente di geologia e curatore del museo di palentologia degli invertebrati alla Kansas University. “Stiamo però ancora lavorando per cercare di capire l'evoluzione di molti animali a corpo molle”.
I fossili studiati dall'equipe di Lieberman si sono fossilizzati in un sedimento molto fine, nel quale gli animali hanno lasciato una sorta di “fotografia” di loro stessi. Questo ha permesso di studiare gli esemplari in grande dettaglio, collocandoli nella stessa linea evolutiva delle attuali meduse. La precedente datazione posizionava la prima comparsa delle meduse a 300 milioni di anni fa, più di 200 milioni di anni dopo la data effettiva. Lieberman non esclude che nuovi studi possano dimostrare che il gruppo è in realtà ancora più vecchio.
Gabriele Ferrari
In un articolo apparso di recente sul Public Library of Science, un'equipe della Kansas University ha descritto quattro nuovi tipi di cnidari, il phylum a cui appartengono meduse e coralli. La caratteristica forma a campana, la presenza di tracce di tentacoli e a volte di gonadi permettono di correlare gli esemplari ai moderni ordini di meduse. I fossili risalgono alla radiazione evolutiva cambriana, circa 540 milioni di anni fa; in questo periodo relativamente rapido (10 milioni di anni) nacquero e si diversificarono la maggior parte dei moderni phyla animali. Le prove della radiazione sono facili da rinvenire soprattutto per quel che riguarda gli animali dotati di conchiglie od ossa, i cui resti si conservano più facilmente.
“Il record fossile è sbilanciato a sfavore di forme di vita a corpo molle come le meduse, perché generalmente non lasciano resti quando muoiono”, dice Bruce Lieberman, docente di geologia e curatore del museo di palentologia degli invertebrati alla Kansas University. “Stiamo però ancora lavorando per cercare di capire l'evoluzione di molti animali a corpo molle”.
I fossili studiati dall'equipe di Lieberman si sono fossilizzati in un sedimento molto fine, nel quale gli animali hanno lasciato una sorta di “fotografia” di loro stessi. Questo ha permesso di studiare gli esemplari in grande dettaglio, collocandoli nella stessa linea evolutiva delle attuali meduse. La precedente datazione posizionava la prima comparsa delle meduse a 300 milioni di anni fa, più di 200 milioni di anni dopo la data effettiva. Lieberman non esclude che nuovi studi possano dimostrare che il gruppo è in realtà ancora più vecchio.
Gabriele Ferrari
SPICE, ovvero quando nacque l'atmosfera
Individuato il momento in cui la nostra atmosfera si arricchì in ossigeno
Matthew Saltzman, docente di scienze della Terra alla Ohio State University, ha presentato i risultati di un decennio di studi sui cambiamenti climatici avvenuti durante il Cambriano. La ricerca, annunciata al meeting della Geological Society of America (e leggibile su Sciencedaily) suggerisce come circa 500 milioni di anni fa l'attività tettonica raffreddò gli oceani. Questo portò a massicce fioriture di plancton, la cui attività fotosintetica contribuì ad aumentare l'ossigeno nell'atmosfera.
SPICE (Steptoean Positive Carbon Isotope Excursion - lo Steptoan è un piano regionale del Cambriano), questo il nome dell'evento, è conosciuto fin dal 1998, ma gli ultimi risultati ottenuti da Saltzman hanno confermato la sua portata globale. Prima di SPICE, la Terra attraversava una fase di hothouse, cioè un periodo particolarmente caldo. Le terre emerse erano riunite nel supercontinente Gondwana, la biodiversità era bassa, e la vita era presente solo negli oceani, soprattutto sotto forma di plancton, spugne e trilobiti. Fu l'intensa attività tettonica a far scattare il cambiamento: nuove rocce venivano spinte in superficie e immediatamente dilavate dalle piogge acide.
Questo processo, il cosiddetto weathering, portò alla cattura di biossido di carbonio dall'aria; il carbonio rimase intrappolato nel sedimento, mentre l'ossigeno fu rilasciato nell'atmosfera. La sostituzione di anidride carbonica con ossigeno portò quindi a un raffreddamento degli oceani, condizione favorevole per esplosioni di plancton. Si trattò quindi di un effetto serra “a rovescio”, che migliorò il clima e lo rese adatto alla successiva radiazione evolutiva. Nell'Ordoviciano, infatti, la biodiversità aumentò velocemente: nacquero ad esempio i primi pesci e le prime piante terrestri. Saltzman è comunque cauto nell'associare l'esplosione di SPICE alla radiazione Ordoviciana. “Dovremmo lavorare coi paleobiologi, che potrebbero aiutarci a capire come l'aumento dei livelli di ossigeno possa aver portato alla diversificazione.
Non è facile collegare i due eventi nel tempo, ma se potessimo farlo almeno a livello concettuale l'intera faccenda potrebbe iniziare a diventare convincente”.
Gabriele Ferrari
Matthew Saltzman, docente di scienze della Terra alla Ohio State University, ha presentato i risultati di un decennio di studi sui cambiamenti climatici avvenuti durante il Cambriano. La ricerca, annunciata al meeting della Geological Society of America (e leggibile su Sciencedaily) suggerisce come circa 500 milioni di anni fa l'attività tettonica raffreddò gli oceani. Questo portò a massicce fioriture di plancton, la cui attività fotosintetica contribuì ad aumentare l'ossigeno nell'atmosfera.
SPICE (Steptoean Positive Carbon Isotope Excursion - lo Steptoan è un piano regionale del Cambriano), questo il nome dell'evento, è conosciuto fin dal 1998, ma gli ultimi risultati ottenuti da Saltzman hanno confermato la sua portata globale. Prima di SPICE, la Terra attraversava una fase di hothouse, cioè un periodo particolarmente caldo. Le terre emerse erano riunite nel supercontinente Gondwana, la biodiversità era bassa, e la vita era presente solo negli oceani, soprattutto sotto forma di plancton, spugne e trilobiti. Fu l'intensa attività tettonica a far scattare il cambiamento: nuove rocce venivano spinte in superficie e immediatamente dilavate dalle piogge acide.
Questo processo, il cosiddetto weathering, portò alla cattura di biossido di carbonio dall'aria; il carbonio rimase intrappolato nel sedimento, mentre l'ossigeno fu rilasciato nell'atmosfera. La sostituzione di anidride carbonica con ossigeno portò quindi a un raffreddamento degli oceani, condizione favorevole per esplosioni di plancton. Si trattò quindi di un effetto serra “a rovescio”, che migliorò il clima e lo rese adatto alla successiva radiazione evolutiva. Nell'Ordoviciano, infatti, la biodiversità aumentò velocemente: nacquero ad esempio i primi pesci e le prime piante terrestri. Saltzman è comunque cauto nell'associare l'esplosione di SPICE alla radiazione Ordoviciana. “Dovremmo lavorare coi paleobiologi, che potrebbero aiutarci a capire come l'aumento dei livelli di ossigeno possa aver portato alla diversificazione.
Non è facile collegare i due eventi nel tempo, ma se potessimo farlo almeno a livello concettuale l'intera faccenda potrebbe iniziare a diventare convincente”.
Gabriele Ferrari
Labels:
origini della vita,
paleontologia
The importance of homology for biology and philosophy
Intero fascicolo della rivista Biology and Philosophy (Volume 22, Number 5, November, 2007) dedicato alla rivisitazione del concetto di Omologia
Ecco il sommario del fascicolo, curato da Paul Griffiths e Ingo Brigandt:
-The importance of homology for biology and philosophy by Brigandt and Griffiths-The phenomena of homology by Griffiths-Psychological categories as homologies: lessons from ethology by Marc Eresehfsky
-Defining vision: what homology thinking contributes by Mohan Matthen-Functional homology and homology of function: biological concepts and philosophical consequences by Alan Love
-Typology now: homology and developmental constraints explain evolvability again by Brigandt.
Paolo Coccia
Ecco il sommario del fascicolo, curato da Paul Griffiths e Ingo Brigandt:
-The importance of homology for biology and philosophy by Brigandt and Griffiths-The phenomena of homology by Griffiths-Psychological categories as homologies: lessons from ethology by Marc Eresehfsky
-Defining vision: what homology thinking contributes by Mohan Matthen-Functional homology and homology of function: biological concepts and philosophical consequences by Alan Love
-Typology now: homology and developmental constraints explain evolvability again by Brigandt.
Paolo Coccia
Labels:
evo-filosofia,
libri e riviste,
temi evoluzionistici
Ateismo missionario
La Rivista dei Libri pubblica, nel fascicolo ora in edicola, la recensione di H.A. Orr dal titolo Ateismo missionario.
I libri recensiti sono:
RICHARD DAWKINS, L'illusione di Dio. Le ragioni per non credere, trad. di Laura Serra, Milano, Mondadori, pp. 400
LEWIS WOLPERT, Six Impossible Things Before Breakfast: The Evolutionary Origins of Belief, New York, Norton, pp. 243
JOAN ROUGHGARDEN, Evolution and Christian Faith: Reflections of an Evolutionary Biologist, Washington, DC, Island, pp. 151
dall'introduzione dell' articolo riporto il primo paragrafo (per gentile concessione dell'editore l'intero saggio è liberamente disponibile online):
L'interesse del mondo scientifico per la religione sembra soggetto a manifestarsi in ondate successive. La prima si ebbe dopo la pubblicazione, nel 1859, de L'origine delle specie di Darwin. Negli anni Trenta e Quaranta del secolo appena concluso, ne seguí un'altra, legata alle sorprendenti rivelazioni della meccanica quantistica, che indicavano l'inadeguatezza delle tradizionali teorie sulla struttura fisica dell'Universo. Oggi gli studiosi, nei loro scritti, si occupano di nuovo di religione, apparentemente perché provocati, questa volta, dal dibattito che coinvolge il concetto di intelligent design.
Paolo Coccia
I libri recensiti sono:
RICHARD DAWKINS, L'illusione di Dio. Le ragioni per non credere, trad. di Laura Serra, Milano, Mondadori, pp. 400
LEWIS WOLPERT, Six Impossible Things Before Breakfast: The Evolutionary Origins of Belief, New York, Norton, pp. 243
JOAN ROUGHGARDEN, Evolution and Christian Faith: Reflections of an Evolutionary Biologist, Washington, DC, Island, pp. 151
dall'introduzione dell' articolo riporto il primo paragrafo (per gentile concessione dell'editore l'intero saggio è liberamente disponibile online):
L'interesse del mondo scientifico per la religione sembra soggetto a manifestarsi in ondate successive. La prima si ebbe dopo la pubblicazione, nel 1859, de L'origine delle specie di Darwin. Negli anni Trenta e Quaranta del secolo appena concluso, ne seguí un'altra, legata alle sorprendenti rivelazioni della meccanica quantistica, che indicavano l'inadeguatezza delle tradizionali teorie sulla struttura fisica dell'Universo. Oggi gli studiosi, nei loro scritti, si occupano di nuovo di religione, apparentemente perché provocati, questa volta, dal dibattito che coinvolge il concetto di intelligent design.
Paolo Coccia
Modelli di speciazione al termine del Permiano
Un team di paleontologi della University of Bristol (Gran Bretagna) e The National University of Ireland, Maynooth (Irlanda), guidato dagli italiani Marcello Ruta e Davide Pisani ha di recente pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the Royal Society un’articolo nel quale viene presentato il supertree – costruito utilizzando una varietá di metodi differenti – dei Temnospondyli, uno dei principali gruppi di anfibi primitivi.
I supertree sono alberi filogenetici che vengono costruiti utilizzando le informazioni fornite da alberi filogenetici ottenuti da studi precedenti. Mentre questi alberi filogenetici originali si basano su analisi di vari set di caratteri biologici (che possono essere molecolari, morfologici, comportamentali, etc.), i metodi di supertree combinano le informazioni sulle relazioni di parentela contenute in questi precedenti studi per ottenere una ipotesi di consenso.
Uno dei principali vantaggi dei metodi di supertree é nella loro abilitá di utilizzare l’informazione contenuta in studi che possono contenere species differenti, anche se tutte imparentate. Nel loro studio, Ruta e colleghi utilizzano il supertree dei temnospondyli per investigare i trend di cladogenesi (=speciazione) in questo gruppo di tetrapodi primitivi, identificando le linee filogenetiche dei temnospondyli che mostrano tassi di cladogenesi piú elevati delle altre linee imparentate, ed il collegamento fra queste e la estinzione al termine del Permiano, durante la quale si stima che oltre il 90 delle specie viventi potrebbe essersi estinta.
Questo studio dimostra come alcuni gruppi di temnospondyli avevano alti tassi di cladogenesi subito prima della estinzione di massa al termine del Permiano, periodo durante il quale esiste tuttavia anche un livello molto alto di background extinction (estinzioni non collegate ad estinzioni di massa). Alcune delle linee di temnospondyli che sopravvivono alla estinzione di massa al termine del Permiano poi dimostrano un’aumento dei tassi di cladogenesi in periodi geologicamente brevi nelle prime fasi del Mesozoico, rivelando quali gruppi di animali riuscirono ad approfittare di un’ambiente che era probabilmente impoverito di competitori e predatori.
Avendo identificato le linee filogenetiche capaci di radiare nell’ambiente post-estinzione permiana, gli autori intendono investigare nel futuro l’associazione biogeografica fra queste e il paleocontinente di Gondwana.
Francesco Santini
Marcello Ruta, Davide Pisani, Graeme T. Lloyd and Michael J. Benton. A supertree of Temnospondyli: cladogenetic patterns in the most species-rich group of early tetrapods. Proc. R. Soc. B (2007) 274, 3087–3095. doi:10.1098/rspb.2007.1250
I supertree sono alberi filogenetici che vengono costruiti utilizzando le informazioni fornite da alberi filogenetici ottenuti da studi precedenti. Mentre questi alberi filogenetici originali si basano su analisi di vari set di caratteri biologici (che possono essere molecolari, morfologici, comportamentali, etc.), i metodi di supertree combinano le informazioni sulle relazioni di parentela contenute in questi precedenti studi per ottenere una ipotesi di consenso.
Uno dei principali vantaggi dei metodi di supertree é nella loro abilitá di utilizzare l’informazione contenuta in studi che possono contenere species differenti, anche se tutte imparentate. Nel loro studio, Ruta e colleghi utilizzano il supertree dei temnospondyli per investigare i trend di cladogenesi (=speciazione) in questo gruppo di tetrapodi primitivi, identificando le linee filogenetiche dei temnospondyli che mostrano tassi di cladogenesi piú elevati delle altre linee imparentate, ed il collegamento fra queste e la estinzione al termine del Permiano, durante la quale si stima che oltre il 90 delle specie viventi potrebbe essersi estinta.
Questo studio dimostra come alcuni gruppi di temnospondyli avevano alti tassi di cladogenesi subito prima della estinzione di massa al termine del Permiano, periodo durante il quale esiste tuttavia anche un livello molto alto di background extinction (estinzioni non collegate ad estinzioni di massa). Alcune delle linee di temnospondyli che sopravvivono alla estinzione di massa al termine del Permiano poi dimostrano un’aumento dei tassi di cladogenesi in periodi geologicamente brevi nelle prime fasi del Mesozoico, rivelando quali gruppi di animali riuscirono ad approfittare di un’ambiente che era probabilmente impoverito di competitori e predatori.
Avendo identificato le linee filogenetiche capaci di radiare nell’ambiente post-estinzione permiana, gli autori intendono investigare nel futuro l’associazione biogeografica fra queste e il paleocontinente di Gondwana.
Francesco Santini
Marcello Ruta, Davide Pisani, Graeme T. Lloyd and Michael J. Benton. A supertree of Temnospondyli: cladogenetic patterns in the most species-rich group of early tetrapods. Proc. R. Soc. B (2007) 274, 3087–3095. doi:10.1098/rspb.2007.1250
Nanismo e gigantismo insulare
La tendenza delle specie ad evolvere verso una taglia maggiore o minore, che spesso si verifica sulle isole, non dipende dalle dimensioni iniziali, ma dal complesso di condizioni ecologiche presenti.
I biota insulari hanno di solito caratteristiche molto diverse da quelli continentali: infatti, oltre all'alto numero di endemismi dovuto al forzato isolamento geografico, sono caratterizzati, ad esempio, dall'atterismo di alcuni uccelli (la scomparsa di ali adatte al volo) dovuta spesso all'assenza di grossi carnivori, che necessitano di ampi spazi per poter costituire una popolazione vitale, e dai cosiddetti nanismo e gigantismo insulare.
Spesso è stato generalizzato il nanismo dei grandi mammiferi, come gli elefantidi nani Elephas falconeri della Sicilia e Megaceros cretensis di Creta, motivato dal fatto che la selezione naturale avrebbe favorito gli indiviudi di taglia inferiore, visto che le isole sono ambienti con risorse limitate e organismi più piccoli avrebbero maggiori possibilità di sopravvivere. Parallelamente, si è parlato di gigantismo dei piccoli mammiferi, come l'insettivoro gigante del genere Deinogalerix, vissuto quando l'odierno Gargano era un'isola, dovuto alla quasi totale assenza di predatori.
Un nuovo studio, condotto da ricercatori dell'Imperial College London, sostiene che queste generalizzazioni non siano in accordo con la realtà, in quanto non tengono conto delle situazioni ecologiche di ciascuna isola. In particolare, gli studiosi non ritengono che la taglia iniziale della specie sopraggiunta sull'isola sia il fattore chiave che ne determina la successiva evoluzione verso forme nane o giganti. Se questo assunto fosse vero, infatti, ci si dovrebbe aspettare che le specie di mammiferi di piccola taglia siano più grosse sulle isole di quanto lo siano quelle residenti sui continenti, mentre il discorso opposto varrebbe per i mammiferi di grandi dimensioni.
I ricercatori hanno effettuato un'analisi comparativa tra diverse specie di mammiferi, nel tentativo di individuare una relazione tra dimensione iniziale (quella della specie continentale) e finale (della specie insulare). I risultati, pubblicati sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, hanno evidenziato che non vi è alcuna relazione tra le dimensioni di una determinata specie e la sua tendenza ad evolvere verso forme più grandi o più piccole, le quali sarebbero determinate in prevalenza dalle condizioni biotiche e abiotiche particolari di ciascuna isola e dalla specie in questione.
Sembra esserci piuttosto una tendenza clade-specifica, anche se non generalizzata. Infatti, carnivori, artiodattili e roditori eteromidi, volgarmente chiamati topi-canguro, sembrano diminuire le proprie dimensioni corporee quando si trovano su un'isola, mentre i roditori muridi solitamente incrementano la propria taglia.
Ancora una volta la complessità della natura sfugge alle modellizzazioni tentate dall'uomo.
Andrea Romano
I biota insulari hanno di solito caratteristiche molto diverse da quelli continentali: infatti, oltre all'alto numero di endemismi dovuto al forzato isolamento geografico, sono caratterizzati, ad esempio, dall'atterismo di alcuni uccelli (la scomparsa di ali adatte al volo) dovuta spesso all'assenza di grossi carnivori, che necessitano di ampi spazi per poter costituire una popolazione vitale, e dai cosiddetti nanismo e gigantismo insulare.
Spesso è stato generalizzato il nanismo dei grandi mammiferi, come gli elefantidi nani Elephas falconeri della Sicilia e Megaceros cretensis di Creta, motivato dal fatto che la selezione naturale avrebbe favorito gli indiviudi di taglia inferiore, visto che le isole sono ambienti con risorse limitate e organismi più piccoli avrebbero maggiori possibilità di sopravvivere. Parallelamente, si è parlato di gigantismo dei piccoli mammiferi, come l'insettivoro gigante del genere Deinogalerix, vissuto quando l'odierno Gargano era un'isola, dovuto alla quasi totale assenza di predatori.
Un nuovo studio, condotto da ricercatori dell'Imperial College London, sostiene che queste generalizzazioni non siano in accordo con la realtà, in quanto non tengono conto delle situazioni ecologiche di ciascuna isola. In particolare, gli studiosi non ritengono che la taglia iniziale della specie sopraggiunta sull'isola sia il fattore chiave che ne determina la successiva evoluzione verso forme nane o giganti. Se questo assunto fosse vero, infatti, ci si dovrebbe aspettare che le specie di mammiferi di piccola taglia siano più grosse sulle isole di quanto lo siano quelle residenti sui continenti, mentre il discorso opposto varrebbe per i mammiferi di grandi dimensioni.
I ricercatori hanno effettuato un'analisi comparativa tra diverse specie di mammiferi, nel tentativo di individuare una relazione tra dimensione iniziale (quella della specie continentale) e finale (della specie insulare). I risultati, pubblicati sulla rivista Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, hanno evidenziato che non vi è alcuna relazione tra le dimensioni di una determinata specie e la sua tendenza ad evolvere verso forme più grandi o più piccole, le quali sarebbero determinate in prevalenza dalle condizioni biotiche e abiotiche particolari di ciascuna isola e dalla specie in questione.
Sembra esserci piuttosto una tendenza clade-specifica, anche se non generalizzata. Infatti, carnivori, artiodattili e roditori eteromidi, volgarmente chiamati topi-canguro, sembrano diminuire le proprie dimensioni corporee quando si trovano su un'isola, mentre i roditori muridi solitamente incrementano la propria taglia.
Ancora una volta la complessità della natura sfugge alle modellizzazioni tentate dall'uomo.
Andrea Romano
Thursday, November 08, 2007
L’EVOLUZIONE DI UN CANE MALIGNO
Sull’ultimo numero di Evolution & Development (vol. 9, p. 521, 2007) è pubblicato un piccolo articolo di Uri Frank, con il titolo uguale a quello di questa notizia, nel quale si dà un’interpretazione che si potrebbe definire fantascientifica di un articolo apparso sulla prestigiosa rivista Cell l’anno passato (Murgia et al., Cell, 126, 477, 2006).
I fatti: esiste un tumore dei cani (CTVT = tumore venereo canino trasmissibile) che ha due singolari caratteristiche: come dice il nome si trasmette da un individuo all’altro durante i rapporti, ed è in grado di annientare le difese immunitarie del ricevente. Un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra ha avuto l’idea di confrontare, con varie tecniche di biologia molecolare, il DNA di vari campioni di CTVT prelevati a cani in varie parti del mondo con i DNA dei cani e dei lupi, evidentemente già noti. Il risultato è stato sorprendente: i DNA dei tumori CTVT sono tremendamente simili l’uno con l’altro, si possono confrontare e si può ricostruire la loro storia passata (derivano da un'unica linea cellulare o canina o di lupo originatosi fra 200 e 2000 anni fa), ma soprattutto, e sorprendentemente, sono diversi dal DNA di tutti i cani e i lupi noti.
Il CTVT si comporta in tutto e per tutto come un parassita. Ad esempio, fanno notare gli autori dell’articolo di Cell, non uccide l’ospite velocemente, in modo da permettergli di trasmettere il CTVT ad altri individui, ottenendo così una diffusione mondiale. Dunque un tumore parassita. Entra qui in gioco Uri Frank, che nell’articolo citato fa un passo più in là, e si chiede: «che cosa è il CTVT per una persona della strada?» E la risposta è: «cancro». Poi: «che cosa è il CTVT per gli autori dell’articolo di Cell»? E la risposta è: «un parassita cellulare». Da ultimo si domanda: «per noi che ci interessiamo di evoluzione e di sviluppo, che cosa è il CTVT?» Ed è qui che la risposta scivola verso la fantascienza. Ma val la pena di rifletterci su, a mio avviso: «dunque, dice Frank, e se fosse un cane bizzarro che è diventato un parassita dei suoi simili?». Cani e CTVT sarebbero “specie sorelle” dal punto di vista genetico; sono isolate riproduttivamente (per motivi tecnici i DNA di cani e di CTVT non potrebbero “incrociarsi”); il CTVT si riproduce in modo asessuale, attraverso una regolare divisione cellulare, come in fondo molte specie unicellulari, ma anche alcuni animali, come i rotiferi bdelloidei. Non ha l’aspetto di un cane, questo è vero, ma si sa che innumerevoli specie di parassiti hanno radicalmente modificato il loro aspetto. Dunque, propone Frank: «… il CTVT è una nuova specie (che aspetta di essere denominata) di cane parassita, che si è evoluta molto recentemente (e in verità molto in fretta) e si è diffusa in tutto il mondo».
Si aspettano commenti dalla letteratura scientifica su questa sconcertante proposta.
Marco Ferraguti
Bibliografia:
Frank, U. The evolution of a malignant dog. Evolution & Development, v.9, n.6, p.521-522. 2007.
Murgia C, Pritchard JK, Kim SY, Fassati A, Weiss RA. Clonal origin and evolution of a transmissible cancer. Cell. 2006 Aug 11;126(3):477-87.
I fatti: esiste un tumore dei cani (CTVT = tumore venereo canino trasmissibile) che ha due singolari caratteristiche: come dice il nome si trasmette da un individuo all’altro durante i rapporti, ed è in grado di annientare le difese immunitarie del ricevente. Un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra ha avuto l’idea di confrontare, con varie tecniche di biologia molecolare, il DNA di vari campioni di CTVT prelevati a cani in varie parti del mondo con i DNA dei cani e dei lupi, evidentemente già noti. Il risultato è stato sorprendente: i DNA dei tumori CTVT sono tremendamente simili l’uno con l’altro, si possono confrontare e si può ricostruire la loro storia passata (derivano da un'unica linea cellulare o canina o di lupo originatosi fra 200 e 2000 anni fa), ma soprattutto, e sorprendentemente, sono diversi dal DNA di tutti i cani e i lupi noti.
Il CTVT si comporta in tutto e per tutto come un parassita. Ad esempio, fanno notare gli autori dell’articolo di Cell, non uccide l’ospite velocemente, in modo da permettergli di trasmettere il CTVT ad altri individui, ottenendo così una diffusione mondiale. Dunque un tumore parassita. Entra qui in gioco Uri Frank, che nell’articolo citato fa un passo più in là, e si chiede: «che cosa è il CTVT per una persona della strada?» E la risposta è: «cancro». Poi: «che cosa è il CTVT per gli autori dell’articolo di Cell»? E la risposta è: «un parassita cellulare». Da ultimo si domanda: «per noi che ci interessiamo di evoluzione e di sviluppo, che cosa è il CTVT?» Ed è qui che la risposta scivola verso la fantascienza. Ma val la pena di rifletterci su, a mio avviso: «dunque, dice Frank, e se fosse un cane bizzarro che è diventato un parassita dei suoi simili?». Cani e CTVT sarebbero “specie sorelle” dal punto di vista genetico; sono isolate riproduttivamente (per motivi tecnici i DNA di cani e di CTVT non potrebbero “incrociarsi”); il CTVT si riproduce in modo asessuale, attraverso una regolare divisione cellulare, come in fondo molte specie unicellulari, ma anche alcuni animali, come i rotiferi bdelloidei. Non ha l’aspetto di un cane, questo è vero, ma si sa che innumerevoli specie di parassiti hanno radicalmente modificato il loro aspetto. Dunque, propone Frank: «… il CTVT è una nuova specie (che aspetta di essere denominata) di cane parassita, che si è evoluta molto recentemente (e in verità molto in fretta) e si è diffusa in tutto il mondo».
Si aspettano commenti dalla letteratura scientifica su questa sconcertante proposta.
Marco Ferraguti
Bibliografia:
Frank, U. The evolution of a malignant dog. Evolution & Development, v.9, n.6, p.521-522. 2007.
Murgia C, Pritchard JK, Kim SY, Fassati A, Weiss RA. Clonal origin and evolution of a transmissible cancer. Cell. 2006 Aug 11;126(3):477-87.
Judgment Day: Intelligent Design on Trial
Il 13 novembre la PBS (televisione pubblica americana) mandera' in onda il documentario "Judgment Day: Intelligent Design on Trial" sul processo di Dover (il numero di oggi di Nature ha una review del documentario scritta da Adam Rutherford).
Questo è il link alla pagina web del programma, che contiene moltissimo materiale didattico utile a chi insegna.
Francesco Santini
Questo è il link alla pagina web del programma, che contiene moltissimo materiale didattico utile a chi insegna.
Francesco Santini
Labels:
evo-educazione,
temi evoluzionistici
Sean B.Carroll intervistato dal National Science Teachers Association
La National Association of Science Teachers produce ogni due settimane un podcast liberamente ascoltabile su temi scientifici.
Sean B. Carroll parla di evoluzione, dei suoi progetti e di alfabetizzazione scientifica (science literacy).
Ecco l' intervista.
Paolo Coccia
Sean B. Carroll parla di evoluzione, dei suoi progetti e di alfabetizzazione scientifica (science literacy).
Ecco l' intervista.
Paolo Coccia
Interazioni sociali e utilizzo dell'areale
Durante la stagione secca, i branchi di elefanti guidati dalle femmine anziane percorrono tragitti più corti per raggiungere le zone di foraggiamento rispetto a quelli condotti da matriarche giovani.
Gli elefanti africani (Loxodonta africana) vivono in branchi numerosi, costituiti da decine di esemplari, che presentano una struttura matriarcale. Il capo del branco, l'individuo che guida il gruppo nelle diverse attività giornaliere, solitamente è la femmina più anziana. Uno studio, pubblicato sulla rivista Behavioral Ecology and Sociobiology, ha evidenziato che è proprio lo status della capobranco a determinare i luoghi di foraggiamento e gli spostamenti per reggiungerli.
Un gruppo di ricercatori della University of California, Berkeley, ha studiato i movimenti di 50 gruppi di elefanti, che vivono allo stato libero nelle Samburu and Buffalo Springs National Reserves, nel nord del Kenia, sottolineando che i branchi guidati dalle matriarche più anziane percorrono significativamente meno chilometri per raggiungere i luoghi dove si nutrono rispetto a quelli condotti da femmine più giovani. Infatti, i gruppi dominanti si muovono in media 4-5 Km al giorno, contro i 8-11 Km percorsi da quelli subordinati, con conseguente risparmio in termini di tempo ed energie.
Questa differenza risulta significativa solamente durante la stagione asciutta, in cui è più difficile reperire il cibo e l'acqua necessari per sopravvivere, mentre scompare del tutto in quella delle piogge, dove le risorse sono abbondanti e distribuite più uniformemente. Quando il livello di competizione è basso, dunque, le interazioni sociali non sono determianti per l'uso dello spazio disponibile, ma lo diventano quando le condizioni ambientali diventano sfavorevoli.
Inoltre, è emerso anche che i gruppi dominanti, durante la stagione secca, utilizzano preferibilmente le zone centrali dell'areale, più protette, lasciando quelle più esterne ed esposte al contatto con gli uomini a quelli subordinati.
Questo studio potrà avere un significativo impatto sulle politiche di conservazione della specie, considerata vulnerabile dalla IUCN, spesso confinata in zone protette circondate da recinzioni, nel tentativo di conciliare le esigenze di uomini ed elefanti, che spesso potrebbero sconfinare nei campi coltivati. Restringere questi animali in zone limitate,quindi, significa interferire con le loro abitudini naturali ed il loro comportamento, modificando il modo con cui interagiscono con l'ambiente circostante.
Andrea Romano
Gli elefanti africani (Loxodonta africana) vivono in branchi numerosi, costituiti da decine di esemplari, che presentano una struttura matriarcale. Il capo del branco, l'individuo che guida il gruppo nelle diverse attività giornaliere, solitamente è la femmina più anziana. Uno studio, pubblicato sulla rivista Behavioral Ecology and Sociobiology, ha evidenziato che è proprio lo status della capobranco a determinare i luoghi di foraggiamento e gli spostamenti per reggiungerli.
Un gruppo di ricercatori della University of California, Berkeley, ha studiato i movimenti di 50 gruppi di elefanti, che vivono allo stato libero nelle Samburu and Buffalo Springs National Reserves, nel nord del Kenia, sottolineando che i branchi guidati dalle matriarche più anziane percorrono significativamente meno chilometri per raggiungere i luoghi dove si nutrono rispetto a quelli condotti da femmine più giovani. Infatti, i gruppi dominanti si muovono in media 4-5 Km al giorno, contro i 8-11 Km percorsi da quelli subordinati, con conseguente risparmio in termini di tempo ed energie.
Questa differenza risulta significativa solamente durante la stagione asciutta, in cui è più difficile reperire il cibo e l'acqua necessari per sopravvivere, mentre scompare del tutto in quella delle piogge, dove le risorse sono abbondanti e distribuite più uniformemente. Quando il livello di competizione è basso, dunque, le interazioni sociali non sono determianti per l'uso dello spazio disponibile, ma lo diventano quando le condizioni ambientali diventano sfavorevoli.
Inoltre, è emerso anche che i gruppi dominanti, durante la stagione secca, utilizzano preferibilmente le zone centrali dell'areale, più protette, lasciando quelle più esterne ed esposte al contatto con gli uomini a quelli subordinati.
Questo studio potrà avere un significativo impatto sulle politiche di conservazione della specie, considerata vulnerabile dalla IUCN, spesso confinata in zone protette circondate da recinzioni, nel tentativo di conciliare le esigenze di uomini ed elefanti, che spesso potrebbero sconfinare nei campi coltivati. Restringere questi animali in zone limitate,quindi, significa interferire con le loro abitudini naturali ed il loro comportamento, modificando il modo con cui interagiscono con l'ambiente circostante.
Andrea Romano
Sequenziato il genoma del gatto
Questo nuovo tassello della biologia molecolare potrà essere utile come modello per la cura e la prevenzione di alcune malattie umane.
Alla lista delle specie animali dal genoma noto si aggiunge anche il gatto domestico (Felis catus). Il DNA di questa specie è stato prelevato da Cinnamon, un esemplare di 4 anni di cui si conosce bene la genealogia, ed è stato interamente sequenziato.
L'intero genoma è stato poi confrontato con quello di altre specie già sequenziate, l'uomo (Homo sapiens sapiens), il topo (Mus musculus), lo scimpanzè (Pan troglodytes), il cane (Canis lupus familiaris) e la mucca (Bos taurus), per individuarne le regioni di DNA che codificano proteine. Da questa analisi, apparsa sulla rivista Genome Research, è stato possibile individuare 20.285 geni, o presunti tali, grazie ai quali sarà possibile ricostruire i cambiamenti evolutivi che hanno portato alla comparsa e alla diffusione dei felini.
Quest'ulteriore conquista della biologia molecolare potrà inoltre essere utile non solo per poter prevenire e curare in maniera più efficace le patologie che colpiscono gli animali domestici, ma anche per arginare alcune malattie dell'uomo. Infatti, il gatto rappresenta un buon modello per lo studio di alcune importanti e diffuse malattie infettive che colpiscono gli esseri umani. Ad esempio, questa specie è infettata dal virus dell'immunodeficienza felina (FIV, Feline immunodeficiency virus), omologo dell'HIV (Human Immunodeficiency Virus) che causa l'AIDS nella nostra specie.
Andrea Romano
Alla lista delle specie animali dal genoma noto si aggiunge anche il gatto domestico (Felis catus). Il DNA di questa specie è stato prelevato da Cinnamon, un esemplare di 4 anni di cui si conosce bene la genealogia, ed è stato interamente sequenziato.
L'intero genoma è stato poi confrontato con quello di altre specie già sequenziate, l'uomo (Homo sapiens sapiens), il topo (Mus musculus), lo scimpanzè (Pan troglodytes), il cane (Canis lupus familiaris) e la mucca (Bos taurus), per individuarne le regioni di DNA che codificano proteine. Da questa analisi, apparsa sulla rivista Genome Research, è stato possibile individuare 20.285 geni, o presunti tali, grazie ai quali sarà possibile ricostruire i cambiamenti evolutivi che hanno portato alla comparsa e alla diffusione dei felini.
Quest'ulteriore conquista della biologia molecolare potrà inoltre essere utile non solo per poter prevenire e curare in maniera più efficace le patologie che colpiscono gli animali domestici, ma anche per arginare alcune malattie dell'uomo. Infatti, il gatto rappresenta un buon modello per lo studio di alcune importanti e diffuse malattie infettive che colpiscono gli esseri umani. Ad esempio, questa specie è infettata dal virus dell'immunodeficienza felina (FIV, Feline immunodeficiency virus), omologo dell'HIV (Human Immunodeficiency Virus) che causa l'AIDS nella nostra specie.
Andrea Romano
La morte di un mito
La scomparsa di Washoe
Dopo la morte di Alex, il pappagallo cenerino che padroneggiava parecchie centinaia di parole, è scomparsa anche Washoe, una scimpanzé con cui i coniugi Gardner e altri studiosi hanno collaborato per anni, insegnandole a comunicare con l'American Sign Language, il linguaggio gestuale per muti.
La scimpanzé era nata in Africa circa 42 anni fa, e ha iniziato a "lavorare" nel 1966 con i coniugi Allen e Beatrix Gardner all'Università del Nevada, per essere poi trasferita nel campus Ellensburg dell'università centrale dello stato di Washington nel 1980. Ha anche insegnato a "parlare" con l'ASL a tre giovani scimpanzé che vivono ancora nell'istituto. Anche se secondo Jane Goodall Washoe ha aperto una finestra nella mente di un'altra specie, il linguista Steven Pinker ha sempre sostenuto che non ci sono prove che la scimpanzé abbia mai veramente imparato a padroneggiare una qualche forma di sintassi.
Marco Ferrari
Dopo la morte di Alex, il pappagallo cenerino che padroneggiava parecchie centinaia di parole, è scomparsa anche Washoe, una scimpanzé con cui i coniugi Gardner e altri studiosi hanno collaborato per anni, insegnandole a comunicare con l'American Sign Language, il linguaggio gestuale per muti.
La scimpanzé era nata in Africa circa 42 anni fa, e ha iniziato a "lavorare" nel 1966 con i coniugi Allen e Beatrix Gardner all'Università del Nevada, per essere poi trasferita nel campus Ellensburg dell'università centrale dello stato di Washington nel 1980. Ha anche insegnato a "parlare" con l'ASL a tre giovani scimpanzé che vivono ancora nell'istituto. Anche se secondo Jane Goodall Washoe ha aperto una finestra nella mente di un'altra specie, il linguista Steven Pinker ha sempre sostenuto che non ci sono prove che la scimpanzé abbia mai veramente imparato a padroneggiare una qualche forma di sintassi.
Marco Ferrari
Esiste una relazione tra qualità dell'educazione scolastica ed accettazione della teoria dell'evoluzione?
La rivista Evolution pubblica un interessante articolo relativo all’esito di una sperimentazione didattica condotta in Sud Africa sulla comprensione ed accettazione della teoria dell’evoluzione.
Una ricerca pubblicata da J. D. Miller nel 2006 indicava che la percentuale di cittadini che accettavano (o rifiutavano) la teoria dell’evoluzione variava da nazione a nazione, con la peculiarità che il numero di americani adulti che rifiutavano la teoria dell’evoluzione era significativamente più alto rispetto a quanto non accadesse in 32 nazioni europee studiate ed in Giappone.
Per spiegare questa differenza alcuni autori hanno ipotizzato che la preparazione scolastica offerta agli studenti americani fosse inadeguata per una piena comprensione della teoria dell’evoluzione, tanto che anche gli studenti di college sarebbero incapaci di evitare semplici fraintendimenti, oltre che di capire pienamente il valore e l’applicabilità della teoria dell’evoluzione.
Lo studio di Miller non prendeva in considerazione le nazioni in via di sviluppo, mentre queste nazioni potrebbero rappresentare un interessante “modello sperimentale” per verificare se la presenza di una adeguata formazione scientifica, piuttosto che di autorità religiose particolarmente presenti, rappresentino fattori limitanti la possibilità di accettare la teoria dell’evoluzione.
L’ultimo numero della rivista Evolution presenta i risultati di una sperimentazione didattica condotta da Anusuya Chinsamy ed Eva Plaganyi in Sud Africa presso l’Università di Cape Town, in cui gli autori hanno valutato se i livelli di accettazione della teoria dell’evoluzione variavano a seguito dell’offerta di lezioni sull’evoluzione. In particolare, Chinsamy e Plaganyi hanno verificato tramite questionari, svolti sia prima che dopo le lezioni, se il modo di percepire l’evoluzione fosse cambiato nel campione di studenti oggetto della sperimentazione, dato da studenti di 18 anni di diverso credo religioso (cristiano, induista, islamico, buddista e giudaico).
Da questa sperimentazione è emerso che le conoscenze pregresse degli studenti erano molto scarse in materia di evoluzione, anche se questo risultato può essere spiegato considerando la recente introduzione dell’evoluzione nei programmi scolastici del Sud Africa che potrebbe riflettersi in una inadeguata preparazione dei docenti su queste tematiche.
Un secondo aspetto che emerge è legato al fatto che il miglioramento dell’offerta didattica ha contribuito a rimuovere alcuni fraintendimenti che impedivano una corretta comprensione della teoria dell’evoluzione. In particolare, sono risultate molto più efficaci le lezioni che affrontavano l’evoluzione in modo fattivo ovvero mostrando dati ed esempi pratici piuttosto che spiegare concetti generali in modo librario. A questo riguardo, i dati riportati da Chinsamy e Plaganyi concordano con una sperimentazione fatta in Libano dieci anni fa in cui si mostrava come presentare dati e risultati fosse molto più efficace nel favorire l’accettazione dell’evoluzione rispetto ad una lezione sui concetti. Favorire una didattica basata sui fatti dell’evoluzione, piuttosto che primariamente sui concetti, è quindi da considerarsi una strategia vincente per insegnare l’evoluzione in nazioni in cui l’educazione scientifica è al momento poco diffusa.
Al termine della sperimentazione, molti studenti hanno modificato il proprio modo di vedere l’evoluzione, divenendo in grado di accettare l’evoluzione come teoria supportata da dati per spiegare il mondo che ci circonda. Ben illustra questo cambiamento la risposta data da uno studente su come fosse cambiato il proprio modo di vedere l’evoluzione dopo le lezioni: “I think it makes more sense now, and pieces fit together better”.
Mauro Mandrioli
Una ricerca pubblicata da J. D. Miller nel 2006 indicava che la percentuale di cittadini che accettavano (o rifiutavano) la teoria dell’evoluzione variava da nazione a nazione, con la peculiarità che il numero di americani adulti che rifiutavano la teoria dell’evoluzione era significativamente più alto rispetto a quanto non accadesse in 32 nazioni europee studiate ed in Giappone.
Per spiegare questa differenza alcuni autori hanno ipotizzato che la preparazione scolastica offerta agli studenti americani fosse inadeguata per una piena comprensione della teoria dell’evoluzione, tanto che anche gli studenti di college sarebbero incapaci di evitare semplici fraintendimenti, oltre che di capire pienamente il valore e l’applicabilità della teoria dell’evoluzione.
Lo studio di Miller non prendeva in considerazione le nazioni in via di sviluppo, mentre queste nazioni potrebbero rappresentare un interessante “modello sperimentale” per verificare se la presenza di una adeguata formazione scientifica, piuttosto che di autorità religiose particolarmente presenti, rappresentino fattori limitanti la possibilità di accettare la teoria dell’evoluzione.
L’ultimo numero della rivista Evolution presenta i risultati di una sperimentazione didattica condotta da Anusuya Chinsamy ed Eva Plaganyi in Sud Africa presso l’Università di Cape Town, in cui gli autori hanno valutato se i livelli di accettazione della teoria dell’evoluzione variavano a seguito dell’offerta di lezioni sull’evoluzione. In particolare, Chinsamy e Plaganyi hanno verificato tramite questionari, svolti sia prima che dopo le lezioni, se il modo di percepire l’evoluzione fosse cambiato nel campione di studenti oggetto della sperimentazione, dato da studenti di 18 anni di diverso credo religioso (cristiano, induista, islamico, buddista e giudaico).
Da questa sperimentazione è emerso che le conoscenze pregresse degli studenti erano molto scarse in materia di evoluzione, anche se questo risultato può essere spiegato considerando la recente introduzione dell’evoluzione nei programmi scolastici del Sud Africa che potrebbe riflettersi in una inadeguata preparazione dei docenti su queste tematiche.
Un secondo aspetto che emerge è legato al fatto che il miglioramento dell’offerta didattica ha contribuito a rimuovere alcuni fraintendimenti che impedivano una corretta comprensione della teoria dell’evoluzione. In particolare, sono risultate molto più efficaci le lezioni che affrontavano l’evoluzione in modo fattivo ovvero mostrando dati ed esempi pratici piuttosto che spiegare concetti generali in modo librario. A questo riguardo, i dati riportati da Chinsamy e Plaganyi concordano con una sperimentazione fatta in Libano dieci anni fa in cui si mostrava come presentare dati e risultati fosse molto più efficace nel favorire l’accettazione dell’evoluzione rispetto ad una lezione sui concetti. Favorire una didattica basata sui fatti dell’evoluzione, piuttosto che primariamente sui concetti, è quindi da considerarsi una strategia vincente per insegnare l’evoluzione in nazioni in cui l’educazione scientifica è al momento poco diffusa.
Al termine della sperimentazione, molti studenti hanno modificato il proprio modo di vedere l’evoluzione, divenendo in grado di accettare l’evoluzione come teoria supportata da dati per spiegare il mondo che ci circonda. Ben illustra questo cambiamento la risposta data da uno studente su come fosse cambiato il proprio modo di vedere l’evoluzione dopo le lezioni: “I think it makes more sense now, and pieces fit together better”.
Mauro Mandrioli
James Lovelock intervistato sul sito web Rolling Stone
Il sito web Rolling Stone pubblica una intervista molto interessante a James Lovelock, scienziato ed inventore britannico e padre della teoria Gaia. L'articolo, The Prophet of Climate Change: James Lovelock, riassume le idee gia' presentate nell'ultimo libro di Lovelock (the Revenge of Gaia) ed e' accessibile gratuitamente.
Per dare una idea del contenuto dell'articolo ecco alcuni brani
One of the most eminent scientists of our time says that global warming is irreversible - and that more than 6 billion people will perish by the end of the century
Intervista a cura di Jeff Goodell
At the age of eighty-eight, after four children and a long and respected career as one of the twentieth century's most influential scientists, James Lovelock has come to an unsettling conclusion: The human race is doomed. "I wish I could be more hopeful," he tells me one sunny morning as we walk through a park in Oslo, where he is giving a talk at a university. Lovelock is a small man, unfailingly polite, with white hair and round, owlish glasses. His step is jaunty, his mind lively, his manner anything but gloomy. In fact, the coming of the Four Horsemen -- war, famine, pestilence and death -- seems to perk him up. "It will be a dark time," Lovelock admits. "But for those who survive, I suspect it will be rather exciting."
In Lovelock's view, the scale of the catastrophe that awaits us will soon become obvious. By 2020, droughts and other extreme weather will be commonplace. By 2040, the Sahara will be moving into Europe, and Berlin will be as hot as Baghdad. Atlanta will end up a kudzu jungle. Phoenix will become uninhabitable, as will parts of Beijing (desert), Miami (rising seas) and London (floods). Food shortages will drive millions of people north, raising political tensions. "The Chinese have nowhere togo but up into Siberia," Lovelock says. "How will the Russians feel about that? I fear that war between Russia and China is probably inevitable." With hardship and mass migrations will come epidemics, which are likely to kill millions. By 2100, Lovelock believes, the Earth's population will be culled from today's 6.6 billion to as few as 500 million, with most of the survivors living in the far latitudes -- Canada, Iceland, Scandinavia, the Arctic Basin.
By the end of the century, according to Lovelock, global warming will cause temperate zones like North America and Europe to heat up by fourteen degrees Fahrenheit, nearly double the likeliest predictions of the latest report from the Intergovernmental Panel on Climate Change, the United Nations-sanctioned body that includes the world's top scientists. "Our future," Lovelock writes, "is like that of the passengers on a small pleasure boat sailing quietly above the Niagara Falls, not knowing that the engines are about to fail." And switching to energy-efficient light bulbs won't save us. To Lovelock, cutting greenhouse-gas pollution won't make much difference at this point, and much of what passes for sustainable development is little more than a scam to profit off disaster. "Green," he tells me, only half-joking, "is the color of mold and corruption."
Francesco Santini
Per dare una idea del contenuto dell'articolo ecco alcuni brani
One of the most eminent scientists of our time says that global warming is irreversible - and that more than 6 billion people will perish by the end of the century
Intervista a cura di Jeff Goodell
At the age of eighty-eight, after four children and a long and respected career as one of the twentieth century's most influential scientists, James Lovelock has come to an unsettling conclusion: The human race is doomed. "I wish I could be more hopeful," he tells me one sunny morning as we walk through a park in Oslo, where he is giving a talk at a university. Lovelock is a small man, unfailingly polite, with white hair and round, owlish glasses. His step is jaunty, his mind lively, his manner anything but gloomy. In fact, the coming of the Four Horsemen -- war, famine, pestilence and death -- seems to perk him up. "It will be a dark time," Lovelock admits. "But for those who survive, I suspect it will be rather exciting."
In Lovelock's view, the scale of the catastrophe that awaits us will soon become obvious. By 2020, droughts and other extreme weather will be commonplace. By 2040, the Sahara will be moving into Europe, and Berlin will be as hot as Baghdad. Atlanta will end up a kudzu jungle. Phoenix will become uninhabitable, as will parts of Beijing (desert), Miami (rising seas) and London (floods). Food shortages will drive millions of people north, raising political tensions. "The Chinese have nowhere togo but up into Siberia," Lovelock says. "How will the Russians feel about that? I fear that war between Russia and China is probably inevitable." With hardship and mass migrations will come epidemics, which are likely to kill millions. By 2100, Lovelock believes, the Earth's population will be culled from today's 6.6 billion to as few as 500 million, with most of the survivors living in the far latitudes -- Canada, Iceland, Scandinavia, the Arctic Basin.
By the end of the century, according to Lovelock, global warming will cause temperate zones like North America and Europe to heat up by fourteen degrees Fahrenheit, nearly double the likeliest predictions of the latest report from the Intergovernmental Panel on Climate Change, the United Nations-sanctioned body that includes the world's top scientists. "Our future," Lovelock writes, "is like that of the passengers on a small pleasure boat sailing quietly above the Niagara Falls, not knowing that the engines are about to fail." And switching to energy-efficient light bulbs won't save us. To Lovelock, cutting greenhouse-gas pollution won't make much difference at this point, and much of what passes for sustainable development is little more than a scam to profit off disaster. "Green," he tells me, only half-joking, "is the color of mold and corruption."
Francesco Santini
L'animale più vecchio del mondo
E' stato rinvenuto nelle acque dell'Islanda un bivalve che ha un'età compresa tra i 405 ed i 410 anni. Un vero record per il regno animale!
Durante uno screening delle acque costiere islandesi nell'ambito del EU MILLENNIUM PROJECT, un progetto che coinvolge 39 università europee coinvolte nell'analisi dei cambiamenti climatici degli ultimi 1000 anni, è stato scoperto un organismo che può vantare la veneranda età di più di 400 anni! In particolare, questo individuo appartiene alla specie Arctica islandica, un mollusco bivalve che abita nei fondali sabbiosi della costa settentrionale dell'Islanda, dove le acque hanno una temperatura media annuale piuttosto fredda.
Il ritrovamento è stato operato da ricercatori della Bangor University e rappresenta il record di longevità per quanto concerne gli organismi animali. Infatti, l'organismo più vecchio mai trovato prima, anch'esso un bivalve islandese, aveva un'età di "soli" 374 anni. L'età dell'esamplare appena rinvenuto è stata determinata mediante sclerocronologia, una tecnica che si pone come finalità la ricostruzione del passato degli organismi viventi attraverso lo studio delle loro strutture calcificate. La sclerocronologia si occupa di determinare l'età degli organismi nonché di stimare i tempi e la durata degli avvenimenti verificatisi durante il loro ciclo biologico. In questo caso sono state utilizzate le linee di crescita presenti sul guscio calcareo del bivalve, correlate alle condizioni ambientali come temperatura dell'acqua, livello di salinità e disponibilità di cibo, che hanno portato ad una stima dell'età compresa tra 405 e 410 anni.
Ora i ricercatori sono interessati ad analizzare i tessuti di Arctica islandica per valutare quali macromolecole responsabili di questa straordinaria longevità siano presenti e per comprendere meglio i processi biologici alla base dell'invecchiamento.
Andrea Romano
Durante uno screening delle acque costiere islandesi nell'ambito del EU MILLENNIUM PROJECT, un progetto che coinvolge 39 università europee coinvolte nell'analisi dei cambiamenti climatici degli ultimi 1000 anni, è stato scoperto un organismo che può vantare la veneranda età di più di 400 anni! In particolare, questo individuo appartiene alla specie Arctica islandica, un mollusco bivalve che abita nei fondali sabbiosi della costa settentrionale dell'Islanda, dove le acque hanno una temperatura media annuale piuttosto fredda.
Il ritrovamento è stato operato da ricercatori della Bangor University e rappresenta il record di longevità per quanto concerne gli organismi animali. Infatti, l'organismo più vecchio mai trovato prima, anch'esso un bivalve islandese, aveva un'età di "soli" 374 anni. L'età dell'esamplare appena rinvenuto è stata determinata mediante sclerocronologia, una tecnica che si pone come finalità la ricostruzione del passato degli organismi viventi attraverso lo studio delle loro strutture calcificate. La sclerocronologia si occupa di determinare l'età degli organismi nonché di stimare i tempi e la durata degli avvenimenti verificatisi durante il loro ciclo biologico. In questo caso sono state utilizzate le linee di crescita presenti sul guscio calcareo del bivalve, correlate alle condizioni ambientali come temperatura dell'acqua, livello di salinità e disponibilità di cibo, che hanno portato ad una stima dell'età compresa tra 405 e 410 anni.
Ora i ricercatori sono interessati ad analizzare i tessuti di Arctica islandica per valutare quali macromolecole responsabili di questa straordinaria longevità siano presenti e per comprendere meglio i processi biologici alla base dell'invecchiamento.
Andrea Romano
Subscribe to:
Posts (Atom)