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Wednesday, June 27, 2007
Coraggioso rapporto del Consiglio Europeo sul Creazionismo... e il cambio di rotta
Ma oggi scopriamo che l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha cambiato la data del dibattito generale sul dialogo interculturale e interreligioso, e anche la sua agenda. È stato infatti reinviato alla Commissione culturale ed educazione il rapporto in cui si trattava la discussione del creazionismo nelle scuole.
La motivazione del reinvio è che il creazionismo può essere discusso a livello religioso, ma non scientifico. Il francese Guy Lengagne, relatore del rapporto e membro del gruppo socialista, si è detto scioccato e stupefatto, ma anche triste e preoccupato per questa decisione.Ha dichiarato di credere che si tratti di qualche “stratagemma da parte di persone che useranno ogni mezzo per combattere la teoria evoluzionistica”. E ha aggiunto: “Stiamo assistendo a un ritorno al Medio Evo”.
Il rapporto era stato reso pubblico a inizio mese, ed è possibile leggervi posizioni decisamente diverse. Già dal summary leggiamo: “La teoria dell’evoluzione è sotto attacco da parte di alcuni fondamentalismi. Da un punto di vista scientifico non esiste assolutamente alcun dubbio che l’evoluzione sia la teoria centrale per la comprensione dell’Universo e della vita sulla Terra”.E poi ancora: “Il creazionismo in ogni sua forma non si basa su fatti, non fa uso di nessun ragionamento scientifico e i suoi contenuti sono pateticamente inadeguati per una lezione di scienze”.
La notizia che l’Assemblea del Consiglio d’Europa rifiuti il dibattito su un argomento che il rapporto ha definito urgente è sconsolante. Il motivo è ben definito dal punto 14 del documento in questione, dove Lengagne dice: “L’insegnamento di tutti i fenomeni concernenti l’evoluzione come teoria scientifica fondamentale è cruciale per il futuro delle nostre società e delle nostre democrazie”.Il rapporto si intitola:The dangers of creationism in education.
Report Committee on Culture, Science and Education
Ecco il sommario:
The theory of evolution is being attacked by religious fundamentalists who call for creationist theories to be taught in European schools alongside or even in place of it. From a scientific view point there is absolutely no doubt that evolution is a central theory for our understanding of the Universe and of life on Earth.Creationism in any of its forms, such as “intelligent design”, is not based on facts, does not use any scientific reasoning and its contents are pathetically inadequate for science classes.The Assembly calls on education authorities in member States to promote scientific knowledge and the teaching of evolution and to oppose firmly any attempts at teaching creationism as a scientific discipline.
.... e l'elenco degli argomenti:
A. Draft resolution
B. Explanatory memorandum by Mr Guy Lengagne, rapporteur
Evolution: a genuine scientific theory
Evolution
Creationism
Creationism in Europe
Creationism and Education: The main creationist initiatives in Europe, overviews and reactions of the scientific and religious communities
Positions adopted by the religious authorities
The position of the Vatican and the Christian religious movements
Reactions of the Muslim organisations
Stance adopted by the international scientific community
Conclusion: the denial of evolution is particularly harmful to children’s education .
Committee on Culture, Science and Education, 8 June 2007
Andrea Bernagozzi, Chiara Ceci, Paolo Coccia
I pinguini che vennero dal caldo
I primi esponenti della famiglia Spheniscidae, quella dei pinguini, si stabilirono a basse latitudini decine di milioni prima di quanto si ritenesse. Infatti, tra circa 42 e 36 milioni di anni fa era possibile osservare sulle calde coste peruviane almeno due specie di pinguini giganti. La scoperta porta la firma di un gruppo di ricercatori della North Carolina State University e riscriverà la storia evolutiva di questi simpatici uccelli.
Il gruppo di ricerca ha rinvenuto le ossa fossili di due specie estinte e fin'ora sconosciute di pinguini, battezzati Perudyptes devriesi e Icadyptes salasi e risalenti rispettivamente a 42 e 36 milioni di anni fa. I fossili, descritti sull'ultimo numero della rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e a breve in mostra al North Carolina Museum of Natural Sciences e all'American Museum of Natural History, rappresentano un gradino molto precoce della storia evolutiva di questa famiglia. La prima specie presenta le dimensioni dell'odierno pinguino imperatore (Aptenodytes forsteri) pari a circa 115 cm di altezza, mentre la seconda costituisce la specie più grossa mai descritta, con la sua altezza record di circa 150 cm.
Entrambe hanno un becco molto lungo, sottile ed appuntito, caratteristiche che non si riscontrano nelle specie attuali.
La teoria precedente sulle migrazioni e l'espansione dell'areale dei pinguini prevedeva che questi uccelli, originari delle alte latitudini di Antartide e Nuova Zelanda, fossero giunti sulle coste equatoriali intorno a 10 milioni di anni fa, molto tempo dopo la fase di raffreddamento globale che avvenne circa 34 milioni di anni fa. Si pensava dunque che questi animali fossero esclusivamente adattati a climi freddi e che la loro espansione fosse dovuta al mutamento delle temperature che creò le condizioni per l'espansione dell'areale.
Questa nuova scoperta dimostra invece che i pinguini arrivarono nelle regioni caratterizzate da climi caldi circa 30 milioni prima delle stime precedenti, nel pieno del periodo di alte temperature che contraddistinse l'Eocene.
I ricercatori si sono spinti oltre: hanno infatti analizzato le relazioni evolutive e la distribuzione geografica di tutte le specie, concludendo che queste due nuove specie giunsero in Perù in distinti eventi migratori. L'antenato di Perudyptes devriesi è infatti originario dell'Antartide, quello di Icadyptes salasi della Nuova Zelanda.
Queste specie adattate ai climi caldi sono solo lontane parenti di quelle odierne, per questo motivo le nuove conoscenze non potranno essere utilizzate per la predizione di eventuali conseguenze negative del riscaldamento globale sui pinguini.
Andrea Romano
NATURALMENTE. Rivista dell'ANISN. Nuovo fascicolo
Tra gli articoli pubblicati segnalo i seguenti:
La candela di Elio Fabbri
Il saggio ripercorre i temi salienti del libro forse più bello di Primo Levi, Il sistema periodico. Prima parte
Origine ed evoluzione del codice genetico di Luciano Cozzi
Una indagine sofisticata del codice genetico con particolare attenzione alle teorie evolutive capaci di spiegare le trasformazioni avvenute nel tempo del DNA riassumibili nei quattro scenari:
L'accidente congelato
La spiegazione sterochimica
La teoria coevolutiva
Le teorie metaboliche
Intrecci tra scienza e narrazione. Il tempo, la biologia e l'insegnamento di Giorgio Matricardi et all.
Spazio in affitto.
Occam di Stefano Dalla Casa
Il racconto dell'esperienza del viaggio alle Galapagos
Paolo Coccia
Dimmi quanto e' grande il tuo sistema dei canali semicircolari e ti diro' come ti muovi!
Alan Walker, professore di antropologia e biologia alla Penn State University ed esperto in locomozione dei primati, ha guidato un nutrito team internazionale di ricercatori all'esame di ben 91 specie di primati, rappresentanti tutte le famiglie di questo ordine (viventi e recentemente estinte), e 119 specie di mammiferi sia arboricoli che terrestri, che vanno dal topo all'elefante: un campionario davvero diversificato per dimensioni corporee, habitat e tipo di locomozione. I risultati della ricerca sono appena stati pubblicati in un articolo di libero accesso sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.
L'ipotesi di partenza affermava che questa struttura, facente parte dell'apparato vestibolare o statocinetico, la quale regola la coordinazione dei muscoli del collo e dell'occhio per il mantenimento della stabilita' delle immagini, dovesse avere un ruolo importante nel determinare le capacita' motorie di un animale, e cioe' la sua abilita' di saltare, planare o volare tra rami o rocce: in pratica l'evoluzione di nuovi modi di muoversi deve necessariamente coincidere con il co-adattamento dell'organo di equilibrio dell'animale. L'apparato vestibolare e' costituito appunto dagli organi otolitici, che misurano i movimenti lineari, e da tre canali semicircolari quasi perpendicolari tra loro e pieni di liquido, che registrano i movimenti rotatori. Lo studio ha richiesto l'analisi delle dimensioni e del raggio di curvatura dei canali di ciascuna specie, misurati con una sofisticata e sensibilissima tecnica di scansione a raggi x. Gli animali in esame erano stati precedentemente classificati in sei gruppi, a seconda delle loro capacita' di movimento.
In effetti, la relazione statistica tra il raggio di curvatura dei canali dell'apparato vestibolare e il modo di locomozione della specie e' risultata particolarmente significativa; maggiore e' la velocita' di movimento e l'agilita' di spostamento di un mammifero e piu' grande e' la dimensione dei canali: naturalmente e' stato introdotto un fattore di scala per tener conto delle diverse masse corporee delle varie specie. Il risultato e' valido sia per i primati che in generale per i mammiferi. Lo studio di Walker ha peraltro un pregio importante, che va al di la' dell'analisi delle specie attuali: esso infatti costituisce un metodo indipendente dall'analisi della struttura degli arti per fare previsioni sulle modalita' di movimento di specie estinte. Sara' cosi' possibile confrontare le conclusioni che si ricavano dall'analisi del sistema dei canali semicircolari con quelle gia' ottenute per altre vie.
Paola Nardi
Saturday, June 23, 2007
Spiegare la scienza con un cruciverba
In questi casi, infatti, ci si trova a fare i conti non solo con probabili lacune di tipo nozionistico, ma anche con un diverso approccio alla scienza, che dimentica la logica per sostituirla con una visione dogmatica, fortemente influenzata dal proprio credo religioso. Diventa quindi fondamentale trovare delle immagini che siano capaci di svelare l’errore di fondo che mina tutte le contestazioni di creazionisti e sostenitori dell’Intelligent Design. Mi riferisco al fatto che queste dimenticano del tutto che le evidenze scientifiche che provano la validità della teoria dell’evoluzione vengono da più campi: Scienze Naturali e Biologiche, Geologia, Cosmologia, per citarne solo alcuni.
In questi giorni stavo riflettendo su questi temi quando un’amica mi ha mandato il link a un blog pubblico, parlandomi di un post interessante – se siete interessati a leggerlo, lo trovate al link http://saintgasoline.com/2007/06/18/if-science-were-a-crossword-puzzle. Sono andata immediatamente a leggere e... ho trovato un’immagine semplice e di sicuro effetto per spiegare la scienza e il suo metodo: il cruciverba.
Il post prende avvio da alcuni scritti di Susan Haack, docente di scienze e filosofia all’Università di Miami (Florida), che ha pubblicato tra gli altri “Evidence and inquiry: towards reconstruction in epistemology” e “Defending Science – Within Reason: Between Scientism and Cynicism”. Qui la scienza viene paragonata a un grande cruciverba: come in un cruciverba, infatti, la ricerca prende avvio da un’ipotesi e dai alcuni tentativi che cercano di verificarla. Di questi, alcuni possono andare a buon fine. Altri no. Ma esattamente come in un cruciverba, più il gioco prosegue, più la direzione dei tentativi viene influenzata dalle conoscenze già acquisite. Così, se pensiamo all’evoluzione, si scopre che la teoria geologica della deriva dei continenti è molto utile per spiegare perché oggi aree del mondo anche molto distanti tra loro, come l’Africa e il Sud America per esempio, sono abitate da specie imparentate le une con le altre. La deriva dei continenti ci dice infatti che ciò avviene perché in tempi antichi questi due continenti erano uniti.
La metafora del cruciverba è utile anche per contrastare i movimenti creazionisti e dell’Intelligent Design: essa dimostra infatti che queste ipotesi, se così le si può chiamare, si fondano su un gioco sporco. I creazionisti e i sostenitori dell’Intelligent Design semplicemente non stanno alle regole, perché non accettano le evidenze già esistenti e fanno di tutto per modificare i dati scientifici così da conformarli a dogmi di fede. Per rimanere nella metafora, non accettano le chiavi del cruciverba che non corrispondono al loro credo. Oppure non rispettano gli spazi a loro disposizione, sostenendo che c’è un errore nello schema da risolvere. E ciò semplicemente non è accettabile.
Per approfondire l’argomento della scienza vista come un grande puzzle, si suggeriscono le pubblicazioni della professoressa Susan Haack, in particolare “Evidence and inquiry: towards reconstruction in epistemology” (Blackwell, Oxford, 1995) e “Defending Science – Within Reason: Between Scientism and Cynicism” (Prometheus, 2003). Per maggiori informazioni sull’autrice e le sue pubblicazioni: http://www.as.miami.edu/phi/haack/
Stefania Somaré
Antrocom, Giornale Online di Antropologia
Gli articoli sono liberamente accessibili e scaricabili.
Ecco la selezione degli articoli di nostro interesse:
ANTROPOLOGIA FISICA
L'Antropologia come storia naturale dell'Uomo di Brunetto Chiarelli
Il linguaggio religioso di Luigi Romano
ECOLOGIA UMANA
Le attività umane e la perdita della biodiversità. La sesta estinzione di Stefania Unida
DIBATTITO
La Scimmia Nuda, una mostra che fa discutere a cura di Moreno Tiziani
Paolo Coccia
Ancora su scienza e religione
Nell'ultimo numero di American scientist c'è un interessante articolo di Gregory W. Graffin, William B. Provine su come i ricercatori statunitensi vedono il rapporto tra religione ed evoluzione. Dove una breve cronistoria di tutti gli altri sondaggi sull'argomento, gli autori incentrano la loro attenzione al Cornell evolution project, che si occupa di come gli evoluzionisti (e solo loro) vedono la religione. I risultati sono a detta degli autori sorprendenti.; per esempio la gran maggioranza dei ricercatori hanno dichiarato di essere "puri naturalisti", cioè di pensare che esista solo il conoscibile, senza necessità di presupporre l'esistenza del soprannaturale. Solo due (su 149) hanno dichiarato di essere teisti, di credere cioè in un Dio "personale". Le sorprese non sono qui, ma nel fatto che pochissimi sono d'accordo con Gould nella sua ipotesi dei Noma (Non Overlapping MAgisteria). Questo perché la gran maggioranza considera la religione un fenomeno originato dall'evoluzione, e quindi degno di essere studiato come altri aspetti della società umana; una posizione che si potrebbe definire sociobiologica, un po' alla Dennet. Solo il 3 per cento dichiara che religione ed evoluzione sono "totalmente d'accordo" (armonious). E' interessante anche la parte del sondaggio che riguarda il libero arbitrio; la maggior parte, ma qui gli autori non sono d'accordo con le risposte (e il perché è il caso di leggerlo on line) afferma che l'uomo è l'unico essere dotato di libero arbitrio. Insomma, un sondaggio estremamente interessante.
Marco Ferrari
Iceberg come punti caldi di biodiversità
Gli imponenti cambiamenti climatici in atto sono all'origine del massiccio scioglimento dei ghiacci polari, con la conseguente formazione di iceberg. Secondo un nuovo studio pubblicato su Science queste enormi isole di ghiaccio che vagano per gli oceani potrebbero avere un forte impatto positivo sulla porzione oceanica limitrofa.
Infatti, durante la loro formazione, gli iceberg intrappolano materiale organico che viene successivamente rilasciato lontano dalle coste durante lo scioglimento. Questo processo provocherebbe un "effetto alone" che favorirebbe la crescita del fitoplancton con conseguenti reazioni a catena sugli organismi consumatori, il krill e i pesci. Inoltre, favorirebbe la massiccia presenza di uccelli marini che trovano abbondanza di cibo e luoghi di ricovero. In un raggio di pochi chilometri intorno agli iceberg, dunque, si assisterebbe alla formazione di "hotspots" ad alta biodiversità.
Per la comprensione dell'impatto degli iceberg sull'aumento della produttività primaria, un gruppo di ricercatori del Monterey Bay Aquarium Research Institute (MBARI), della University of San Diego e della University of South Carolina ha condotto una ricerca multidisciplinare utilizzando fotografie satellitari, raccolta di dati e campioni biologici sul campo e telecamere subacquee per l'ispezione delle cavità sottomarine formatesi nel ghiaccio.
Un risultato importante della ricerca è stato la scoperta di alte concentrazioni di diatomee, organismi che giocano un ruolo chiave nelle zone ad alta produttività primaria, come le regioni di upwelling, e che costituiscono uno degli alimenti preferiti dal krill. Basandosi sulle conseguenze della presenza degli icebrg e sul loro numero in costante aumento, i ricercatori hanno previsto un aumento della produttività primaria del Mare di Weddell, una porzione di oceano Atlantico vicino alle coste dell'Antartide, di circa il 40%, con importanti ripercussioni sul ciclo del carbonio a livello mondiale. Infatti, l'aumento di organismi fotoautotrofi potrebbe aumentare la rimozione dell'anidride carbonica dall'atmosfera ed il suo immagazzinamento sui fondali oceanici.
La ricerca, finanziata dalla National Science Foundation, continuerà nei prossimi anni.
Andrea Romano
Nuove prove sulla diffusione dei mammiferi dopo la scomparsa dei dinosauri
Riguardo il popolamento della terra da parte mammiferi vi è un dibattito aperto tra coloro che sosotengono che la classe di vertebrati a cui noi apparteniamo si sia diffusa a partire dall'estinzione dei dinosauri, circa 65 milioni di anni fa, e coloro che affermano che la radiazione adattativa sia avvenuta molto prima, tra 140 e 80 milioni di anni fa. I dati paleontologici sono in accordo con la prima teoria, mentre quelli molecolari, basati sull'analisi del DNA, con la seconda. Uno studio effettuato da John Wible del Carnegie Museum of Natural History porterebbe un'altra prova a favore della visione dei paleontologi.
Wible ha costruito un albero filogenetico sulla base di 409 caratteri morfologici analizzati su 69 taxa estinti e ancora esistenti di mammiferi placentati, dal momento che sulle 5416 specie di mammiferi conosciuti ben 5080 sono euteri. I risultati portano alla conclusione che nessuna specie di mammiferi placentati moderni si sia evoluta prima della scomparsa dei dinosauri. Il nuovo albero, pubblicato sull'ultimo numero di Nature, indicherebbe inoltre che i mammiferi placentati abbiano attraversato un periodo di imponente radiazione adattativa in tempi molto brevi, diversificandosi e adattandosi all'ambiente lasciato libero dagli antichi dominatori della terra.
Nonostante questa nuova ricerca la diatriba continua. Infatti David Archibald, paleontologo della San Diego State University, sostiene che la diffusione dei mammiferi "è assolutamente correlata all'estinzione dei dinosauri", mentre Stephen O'Brien, biologo evoluzionista del National Cancer Institute, non ne è convinto, affermando che, nonostante l'attendibilità dei dati forniti, "l'interpretazione e le ipotesi che vengono proposte non sono per nulla supportate".
Andrea Romano
I più antichi ornamenti dell'uomo moderno
La scoperta di alcuni gusci di molluschi perforati e utilizzati per la fabbricazione di collane, risalenti a circa 82.000 anni fa, ha mostrato che l'utilizzo di ornamenti nella nostra specie è un fenomeno più antico di quanto si pensasse. Questi reperti, rinvenuti nella Grotta dei Piccioni di Taforalt, nel Marocco nord-orientale, rappresentano infatti la forma di ornamento più antica del mondo.
Insieme allo sviluppo delle arti figurative e alla sepoltura dei defunti, l'uso di ornamenti è stato sempre considerato uno dei passaggi fondamentali nel rpocesso di acquisizione di pensieri simbolici e delle moderne abilità cognitive umane. Per questo motivo, tale scoperta potrebbe aiutare la comprensione dell'evoluzione culturale nell'uomo moderno.
Il ritrovamento è stato effettuato da ricercatori del CNRS in una zona già molto conosciuta per la presenza di numerose tracce di attività ed insediamenti umani, dove sono stati rinvenuti molti utensili e resti di animali; consiste in 13 gusci di conchiglia, appartenenti alla specie Nassarius gibbosulus, deliberatatmente perforati e utilizzati per il confezionamento di una collana. Alcune di essi sono anche ricoperti con un sottile strato di colore rosso.
Lo studio, condotto da Abdeljalil Bouzouggar dell' Institut National des Sciences de l'Archéoloqie et du Patrimoine e Nick Barton dell'University of Oxford e pubblicato sulla rivista PNAS, ha fatto luce su alcuni importanti temi legati alle origini dell'evoluzione della cultura nelle popolazioni umane preistoriche. Infatti, considerando la distanza di circa 40 Km tra la costa mediterranea e l'insediamento della Grotta dei Piccioni, gli autori sostengono che i fabbricatori degli ornamenti abbiano percorso una tale distanza selezionando e trasportato solo le conchiglie adatte, tutte appartenenti alla medesima specie, per farne un uso simbolico. Queste poi sarebbero state lavorate e colorate per poter essere indossate.
Inoltre, queste conchiglie presentano lo stesso tipo di perforazione di molti altre rinvenute in numerosi siti situati intorno al bacino del Mediterraneo, dall' Israele all'Algeria, ad indicare la possibile presenza di una comune tradizione culturale tra le diverse popolazioni umane che abitavano la regione.
La scoperta indica, almeno fino ad ulteriori testimonianze contrarie, che i primi uomini ad evolvere comportamenti simbolici sono vissuti in Africa e non, come si pensava, in Europa o in Medio Oriente.
Andrea Romano
Il ruolo dei musei nell’insegnamento dell’evoluzione
I musei giocano un ruolo estremamente importante nell’insegnamento dell’evoluzione, poiché rappresentano, o possono rappresentare, uno strumento di primo (e talvolta unico!) contatto non solo con gli studenti, ma anche con il pubblico in generale. A chi non è capitato, infatti, di visitare le gallerie di un museo di storia naturale o di zoologia da bambino o come accompagnatore di figli e/o nipoti?
Il ruolo dei musei nell’insegnamento della biologia evoluzionistica viene ad essere oggi più importante che mai data la crescente presenza di iniziative o eventi organizzati per dimostrare che la teoria dell’evoluzione non è realmente in grado di spiegare il mondo che ci circonda.
L’ultimo numero della rivista Evolution presenta un resoconto critico, scritto da July Diamond (University of Nebraska) e Margaret Evans (University of Michigan) ed intitolato Museums teach evolution in cui le due autrici presentano gli esiti del progetto Explore Evolution e discutono come provare a migliorare il modo di presentare l’evoluzione per facilitarne la comprensione.
In particolare, il progetto Explore Evolution è iniziato nel 2003, quando un gruppo di musei americani ha provato ad unire le proprie forze ed idee per rivedere il modo di mostrare l’evoluzione, partendo dalla volontà di organizzare le sale espositive in un percorso guidato che attraesse il visitatore nelle parti iniziali per poi guidarlo verso la comprensione delle teorie evolutive tenendo conto anche delle possibili connotazioni culturali dei visitatori e cercando di spingere il visitatore a realizzare un itinerario ragionato.
Questo approccio è stato seguito anche per sviluppare i percorsi per i ragazzi e per verificare quanto l’imprinting culturale ricevuto nelle scuole potesse modificare l’atteggiamento degli studenti rispetto alle tematiche evoluzionistiche proposte.
La realtà americana è al momento unica nel mondo per l’intensità dello scontro tra evoluzione e neocrezionismo o intelligent design, ma dato il proliferare delle iniziative anti-evoluzionistiche presenti in Europa, potrebbe essere interessante verificare già ora, tramite progetti museali, se queste campagne (spesso sostenute da finanziamenti tanto grandi quanto anonimi) abbiano avuto effetti nel modo in cui ragazzi ed adulti si avvicinano all’evoluzione.
Un altro aspetto di forza del progetto Explore Evolution è legato al fatto che esso derivi dalla partecipazione congiunta di ricercatori, docenti e musei dalla cui collaborazione è nato un progetto di grande interesse e forza comunicativa. Questo apsetto potrebbe essere di grande importanza oggi in Italia dove tanto i musei quanto le università soffrono per carenze sia di organico che di risorse, motivo per cui la collaborazione tra musei ed università potrebbe portare ad enormi vantaggi sia economici che culturali ed al conseguimento di risultati probabilmente non raggiungibili dalle singole strutture operanti in modo indipendente.
Maggiori informazioni sul progetto Explore Evolution sono disponibili (solamente in lingua inglese) all’indirizzo: http://explore-evolution.unl.edu/
Mauro Mandrioli
Diamond J., Evans EM. 2007. Museums teach evolution. Evolution 61: 1500-1506.
Coraggioso rapporto del Consiglio Europeo sul Creazionismo
Riporto il sommario:
The theory of evolution is being attacked by religious fundamentalists who call for creationist theories to be taught in European schools alongside or even in place of it. From a scientific view point there is absolutely no doubt that evolution is a central theory for our understanding of the Universe and of life on Earth.Creationism in any of its forms, such as “intelligent design”, is not based on facts, does not use any scientific reasoning and its contents are pathetically inadequate for science classes.The Assembly calls on education authorities in member States to promote scientific knowledge and the teaching of evolution and to oppose firmly any attempts at teaching creationism as a scientific discipline.
....e l'elenco degli argomenti:
A. Draft resolution
B. Explanatory memorandum by Mr Guy Lengagne, rapporteur
Evolution: a genuine scientific theory
Evolution
Creationism
Creationism in Europe
Creationism and Education: The main creationist initiatives in Europe, overviews and reactions of the scientific and religious communities
Positions adopted by the religious authorities
The position of the Vatican and the Christian religious movements
Reactions of the Muslim organisations
Stance adopted by the international scientific communityConclusion: the denial of evolution is particularly harmful to children’s education
Committee on Culture, Science and Education, 8 June 2007
Divulgatelo, discutetelo, sostenetelo!!!!!!!!!
Paolo Coccia
Tre ulteriori consigli per migliorare l’insegnamento della biologia evoluzionistica
Nel numero di giugno della rivista Evolution, David M. Hillis (Alfred W. Roark Centennial Professor, Università del Texas) presentava dieci proposte volte a migliorare la qualità dei libri di testo relativamente ai capitoli di biologia evoluzionistica. Nonostante il target dichiarato dall’autore, i dieci suggerimenti si prestavano ad essere proposti anche per docenti che affrontano questa tematica a livello scolastico.
A distanza di pochi giorni dalla pubblicazione di questo articolo, mi sono giunti tre ulteriori suggerimenti da parte di colleghi e lettori di Pikaia, motivo per cui le proposte di Hillis potrebbero essere integrate dai seguenti suggerimenti:
1. Evoluzione non significa solo mutazioni. Le mutazioni giocano sicuramente un ruolo chiave nell’evoluzione dei viventi. Può essere, tuttavia, utile presentare anche altri meccanismi implicati nel generare variazioni genetiche. Tra i possibili esempi, molto importante è il ruolo giocato dalle duplicazioni (sia di porzioni geniche che di geni o genomi completi) poiché i tratti duplicati, essendo privi di costrizioni funzionali, possono evolvere più in fretta dei tratti originali, che sono sottoposti ad elevati vincoli.
2. Il genoma non è un insieme di geni indipendenti, ma un’intricata e complessa serie di network genici che interagiscono l’uno con l’altro. La piena comprensione di questo concetto permetterà quindi di capire che una mutazione in un gene, non necessariamente si tradurrà solamente nella presenza di una proteina con sequenza modificata, quanto nella possibilità di avere alterazioni di più ampia scala, dovute alla perturbazione dei network genici, indotte dalla mutazione.
3. L’estinzione non è un fenomeno marginale nell’evoluzione, né una deviazione patologica dei processi evolutivi, ma una parte importante del gioco della vita. Come suggeriva a tale riguardo David Raup, nel suo libro intitolato L’estinzione. Cattivi geni o cattiva sorte? (Einaudi, 1994), i fenomeni di estinzione sono assai più frequenti di quanto non si pensi e si può stimare pari al 99.9% il numero delle specie estinte rispetto a quelle comparse nel corso della storia della vita sulla Terra.
Non concordi o non ritieni realizzabili uno o più dei suggerimenti proposti? Hai ulteriori suggerimenti che vorresti integrassero l’elenco iniziato da Hillis? Ti piacerebbe applicare i suggerimenti, ma hai difficoltà a reperire il materiale necessario? In tutti questi casi, puoi contattarmi all’indirizzo e-mail mailto:mandrioli.mauro@unimo.itper suggerire le tue proposte o indicare i tuoi dubbi. Serviranno ad arricchire l'elenco che continueremo a pubblicare su Pikaia.
Ecco l’elenco aggiornato dei suggerimenti:
1. mostrare che la ricerca in ambito evoluzionistico è vitale ed in continuo aggiornamento;
2. spiegare che l’evoluzione non significa solamente selezione naturale;
3. usare esempi nuovi;
4. mostrare come l’evoluzione non sia solo un capitolo di un libro di testo, ma sia rilevante nelle nostre vite;
5. fare ricorso, quando possibile, ad esempi provenienti dalla science fiction;
6. includere esempi sperimentali;
7. mostrare come la biologia evoluzionistica non sia una disciplina indipendente, ma piuttosto un approccio che permea tutte le discipline biologiche;
8. enfatizzare l’idea della comune discendenza;
9. enfatizzare l’importanza della biodiversità, mostrando che non consiste solamente nella catalogazione e memorizzazione di numerosissimi nomi scientifici;
10. mostrare la scala del tempo su cui agisce l’evoluzione;
11. spiegare che l’evoluzione non significa solamente mutazioni;
12. mostrare che il genoma non è un insieme di geni indipendenti, ma un’intricata e complessa serie di network genici;
13. spiegare che l’estinzione non è un fenomeno marginale nell’evoluzione.
Mauro Mandrioli
Per ulteriori approfondimenti su Pikaia:
Mauro Mandrioli (14-06-2007) - Dieci modi per migliorare l'insegnamento della biologia evoluzionistica
Sunday, June 17, 2007
L'evoluzione della personalita' negli animali
Che il carattere e il temperamento fossero variamente diffusi nel regno animale era piu' che una fondata percezione per molti studiosi: un recentissimo articolo di Nature ha voluto indagare, con l'aiuto di simulazioni al computer, sulle origini evolutive della personalita' negli animali, partendo dall'evidenza che tratti comportamentali distinti sono stati ormai riscontrati all'interno di piu' di sessanta specie animali (dai primati, ai roditori; dagli uccelli, ai pesci, agli insetti e ai molluschi). I ricercatori Max Wolf , Franz Weissing e Olof Leimar suggeriscono il loro modello evolutivo di sviluppo della personalita' animale pubblicando un lavoro dall'eloquente titolo “Life-history trade-offs favour the evolution of animal personalities”.
Gli autori hanno voluto principalmente rispondere a due quesiti fondamentali: come possono personalita' differenti e rigide presentarsi all'interno di una popolazione, quando dal punto di vista adattativo la gara evolutiva dovrebbe essere vinta da un comportamento piu' flessibile, che risponda rapidamente alle necessita' contingenti? E poi: come mai alcuni tratti delle differenti personalita' sembrano ripetersi tra individui di specie anche molto diverse e solo lontanamente imparentate tra loro? Secondo i ricercatori alcuni tratti della la personalita' degli animali vengono modellati da un principio davvero semplice, legato al rischio di mancata riproduzione futura come conseguenza del proprio comportamento; le diverse caratteristiche che concorrono alla formazione delle personalita' riscontrate all'interno di una popolazione animale (ad esempio la propensione all'esplorazione, il grado di aggressivita' intraspecifica e l'atteggiamento di sfida nei confronti dei predatori) sarebbero dunque la conseguenza del compromesso che il singolo individuo realizza tra riproduzione attuale e riproduzione futura. Gli individui che tendono ad investire maggiormente nel successo riproduttivo futuro sono meno inclini a "buttarsi" nelle situazioni incerte e potenzialmente rischiose, mentre quelli che fanno maggior affidamento sulla riproduzione a corto termine si dimostrano piu' aperti e pronti ad accettare un maggior numero di rischi legati alla loro "esuberante" personalita'.
Paola Nardi
Le rana sudamericana che conquistò i Caraibi
Le 162 specie fino ad oggi conosciute di rane caraibiche deriverebbero da una sola specie proveniente dal Sud America che sarebbe giunta nelle isole del Golfo del Messico tra 30 e 50 milioni di anni fa circa. Il successivo fenomeno di radiazione adattativa avrebbe generato il grande numero di specie attuali.
Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e finanziato dalla National Science Foundation, gli individui originari giunsero nelle isole caraibiche grazie al trasporto passivo sulla sommità di zattere naturali trascinate dalle correnti. E’ infatti molto improbabile che questi anfibi siano giunti a nuoto, non essendo in grado di regolare il bilancio idrico-salino in acque marine. Questo risultato si affianca alla precedente dimostrazione che anche le specie residenti in America Centrale radiarono da un’unica popolazione ancestrale proveniente anch'essa dal continente sudamericano.
Per la formulazione di questa ipotesi, un gruppo di ricercatori della Penn State e della University of Kansas ha condotto un’analisi molecolare su sequenze di DNA di circa 300 specie di anuri caraibici, centroamericani e sudamericani. Per il completamento della ricerca sperimentale sono stati necessari circa tre decenni soprattutto perché molte delle specie analizzate abitano in piccole regioni difficilmente accessibili o contano un basso numero di individui. Proprio per questa specializzazione di nicchia e per la loro bassa densità, le rane dei Caraibi sono considerate tra le più a rischio di estinzione a livello mondiale.
Prima di questo studio si credeva che questi animali fossero arrivati nei Caraibi in diverse ondate migratorie e che le specie delle isole occidentali fossero più strettamente imparentate con altre del vicino continente sudamericano piuttosto che con quelle delle Antille orientali.
La dimostrazione che invece derivano tutte da una sola specie ancestrale risulta importante per la comprensione delle dinamiche evolutive e biogeografiche di uno degli arcipelaghi più complessi del mondo.
Andrea Romano
Elementare, Darwin!
Norman Johnson, professore associato alla University of Massachusetts, pubblichera' il prossimo luglio un libro dal titolo Darwinian Detectives: Revisiting the Natural History of Genes and Genomes, edito da Oxford University Press.
Si tratta di un tentativo di avvicinare il pubblico non esperto all'evoluzione cosi' come la si puo' desumere studiando le sequenze del DNA. Temi quali l'evoluzione umana, le pandemie virali, o la costruzione e la rivisitazione dell'albero filogenetico della vita hanno infatti un comune denominatore: sono tutti sostenuti e illuminati dalle attuali modernissime tecniche di ricerca genetica e genomica, che negli ultimi anni si sono proposte di risolvere i principali misteri della biologia molecolare e della genetica dello sviluppo. Cosi' come altri recenti sforzi letterari, l'opera di Johnson vuole dimostrare che la biologia evolutiva e' scienza vera, viva e presente nella nostra vita quotidiana.
Nei vari capitoli potremo leggere, tra l'altro, del confronto tra genoma umano e quello del nostro cugino piu' prossimo, lo scimpanze', di sviluppo del linguaggio e gene FOXP2, del mistero della diversita' della dimensione del genoma tra le varie specie, dell'influenza aviaria e dell'avvincente avventura umana dei Neanderthal.
Paola Nardi
Le pietre false di Marrakech
dalla quarta di copertina...
Avviandosi verso la fine del millennio, ma anche verso la fine della propria esistenza, nei ventitré saggi raccolti in questo volume Stephen J. Gould fissa una precisa cornice di riferimento storica, oltre che teorica, in cui inserire le più "storiche" di tutte le scienze: la paleontologia, la geologia e la teoria dell'evoluzione che, come scriveva Darwin, non è altro che una grandiosa "visione della vita". Il libro si apre gouldianamente con tre sguardi singolari sui fossili: dai falsi venduti oggi ai turisti sprovveduti in Marocco, al mistero della "pietra vulva", ai clamorosi abbagli di Galileo e dei suoi confratelli lincei. Gould gioca come sempre sulla varietà dei toni, sul piacere di scoprire e provocare, sulla critica a ogni ottusità e pregiudizio, e questo lo porta a indagare nuove prospettive sul contributo dato all'evoluzione darwiniana dagli scienziati ottocenteschi. Gould spazia dalla critica al darwinismo sociale e ai pregiudizi di stampo razzista di cui fu intrisa ai suoi albori la genetica, all'avversione per la costruzione di armi sempre più efficienti, prendendo spunto dalla comparsa delle armi chimiche e biologiche durante la Grande Guerra, fino a una visita alla chiesa del Santo Sepolcro divisa tra le varie confessioni cristiane, che si contendono stizzosamente gli spazi dell'edificio sacro.
Stephen Jay Gould, "Le pietre false di Marrakech. Appunti di storia naturale", Il Saggiatore Collana La Cultura pp. 480
Chiara Ceci
Senza sesso e senza cervello
L'eterocefalo glabro (Heterocephalus glaber) è un piccolo roditore africano che vive in grotte e cunicoli scavati nel terreno e presenta caratteristiche del tutto peculiari all'interno della classe dei mammiferi. Infatti, è il solo mammifero terrestre a non essere coperto da una pelliccia e a non possedere la capacità di termoregolarsi autonomamente, con la conseguenza che la temperatura corporea risulta quindi strettamente dipendente da quella ambientale.
Ma sicuramente il tratto maggiormente distintivo di questa specie è la sua organizzazione sociale, molto simile a quella degli imenotteri eusociali, quali ad esempio formiche e api da miele. Come in ogni società eusociale, anche l'eterocefalo glabro presenta una divisione in caste riproduttive e la divisione dei lavori. Esistono infatti individui operai che hanno il compito di scavare le gallerie e andare alla ricerca di cibo, e gruppi adibiti alla difesa e alla protezione della colonia. Anche la funzione riproduttiva è controllata da un ristretto numero di individui: una regina e alcuni maschi riproduttori. Nel complesso solo circa il 20% dell'intera popolazione è stato visto riprodursi.
Uno studio effettuato da ricercatori della University of Massachusetts di Amherst e pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) ha confrontato le dimensioni cerebrali degli individui riproduttori e di quelli che non si riproducono. In seguito ad un'analisi morfometrica il gruppo di ricerca ha concluso che gli individui del secondo gruppo presentano cervelli significativamente più piccoli rispetto agli altri, per una differenza media pari a circa il 17%. Le regioni cerebrali interessate da questo decremento dimensionale sono quelle legate all'aggressività, alle interazioni e ai comportamenti socio-sessuali, regioni strettamente correlate ad un elevato successo riproduttivo.
La selezione naturale avrebbe dunque favorito due diversi genotipi, uno riproduttore e l'altro subordinato e operaio, che generano diversi individui con differenti caratteristiche cerebrali e che sono in grado di mantenere in vita e in salute una colonia eusociale di mammiferi.
Andrea Romano
Il bisnonno gigante degli uccelli
Un gruppo di ricercatori cinesi capeggiato da Xing Xu dell'Institute of Vertebrate Paleontology and Paleoanthropology di Beijing ha scoperto alcune ossa appartenenti ad un dinosauro simile agli uccelli di dimensioni eccezionali. L'esemplare appartiene ad un nuovo genere e una nuova specie ed è stato battezzato Gigantoraptor erlianensis.
Il fossile dovrebbe appartenere ad un organismo vissuto nell'attuale Mongolia circa 85 milioni di anni fa, nel tardo Cretaceo, e la sua descrizione è stata effettuata sulla rivista Nature. Presenta una lunghezza corporea di 8 metri e un'altezza di 3, per un peso stimato di circa 1.400 Kg, circa 35 volte la specie più grossa della sua famiglia: quella degli Oviraptoridae. I ricercatori pensano che G. erlianensis appartenga a questa famiglia per alcune sue caratteristiche corporee, quali gli arti anteriori molto allungati, le zampe posteriori simili a quelle degli uccelli, la mandibola priva di denti e forse un becco.
Non è chiaro, invece, se avesse il corpo ricoperto di penne, ma il confronto con i dinosauri pennuti sembrerebbe avvalorare tale ipotesi. Se questa fosse confermata G. erlianensis rappresenterebbe il dinosauro dotato di penne dalle dimensioni maggiori fino ad oggi conosciuto. Anche la dieta di questa specie rimane un mistero: infatti possiede una testa molto piccola, un lungo collo tipicamente da erbivoro e artigli molto affilati, caratteristici di animali carnivori.
Si è sempre pensato che l'evoluzione delle caratteristiche degli uccelli siano state accompagnate da un costante decremento delle dimensioni corporee, portando alla formazione di specie di piccola taglia, ma considerando quest'ultimo ritrovamento potrebbe non essere necessariamente vero.
Andrea Romano
Dieci modi per migliorare l'insegnamento della biologia evoluzionistica
Il numero di giugno della rivista Evolution presenta un interessante articolo intitolato Making evolution relevant and exciting to biology students, scritto da David M. Hillis (Alfred W. Roark Centennial Professor, Università del Texas), relativo a possibili strategie per migliorare la qualità dei libri di testo di biologia per quanto concerne la biologia evoluzionistica.
Sebbene questi suggerimenti siano stati primariamente pensati per editori ed autori di libri di testo, essi possono a mio parere risultare molto utili anche per i docenti, sia per migliorare (se necessario) le proprie strategie didattiche che per superare eventuali limiti dei libri di testo al momento disponibili.
Il primo consiglio è di mostrare che la ricerca in ambito evoluzionistico è vitale ed in continuo aggiornamento. Questo consiglio deriva dal fatto che spesso l’evoluzione viene spiegata con un approccio storico che di fatto privilegia il lavoro di Darwin a scapito di molto di ciò che è stato fatto dopo. Questo significa che molte delle revisioni o delle successive sintesi in ambito evoluzionistico non vengono considerate. Favorire la presentazione di dati più recenti potrebbe essere utile anche per mostrare come in biologia evoluzionistica si applichino gli stessi approcci metodologici che si utilizzano in altri ambiti di ricerca.
Il secondo suggerimento consiste nello spiegare che evoluzione non significa solamente selezione naturale, ma che esistono numerosi meccanismi che agiscono in parallelo e che come risultato hanno l’evoluzione delle forme dei viventi. Senza voler necessariamente introdurre concetti quali microevoluzione e macroevoluzione (la cui attualità potrebbe essere discutibile) potrebbe per lo meno essere interessante mostrare anche altri meccanismi. Questo tra l’altro permetterebbe agli studenti di capire come alcune critiche all’evoluzione (ad esempio che la teoria di Darwin spiega la microevoluzione, ma non la macroevoluzione) siano assolutamente infondate.
Terzo consiglio: usare esempi nuovi. Molto spesso per comodità ogni docente si “affeziona” ad alcuni esempi che divengono delle vere e proprie icone dell’evoluzione. Il fatto di presentare sempre gli stessi esempi di evoluzione (quale il melanismo in Biston betularia) potrebbero indurre gli studenti a pensare che l’evoluzione può spiegare solo alcuni casi, piuttosto che avere una valenza più generale.
Il quarto consiglio è quello che io prediligo: mostrare come l’evoluzione non sia solo una capitolo di un libro di testo, ma sia rilevante nelle nostre vite. In questo caso gli esempi che si possono citare sono numerosissimi e vanno dalla necessità di modificare le strategie in agricoltura per evitare di selezionare insetti resistenti, alla necessità di usare antibiotici in modo oculato per ridurre il rischio di selezionare superpatogeni resistenti a più farmaci. In questo capitolo può essere anche utile mostrare come nuove patologie per l’uomo possono originarsi ogni giorno perché un virus o un batterio, mutando, ha acquisito la capacità di infettare il nostro corpo, rigettando quindi definitivamente le ormai insopportabili leggende metropolitane che vedrebbero le nuove malattie come frutto di uno scienziato pazzo (generalmente attivo per produrre armi biologiche negli Stati Uniti) che ha deliberatamente creato tali agenti patogeni. Questo potrebbe anche aiutare gli studenti a non credere agli annunci di presunti rischi di nuove epidemie, spesso impropriamente lanciati da alcuni mass media.
Il quinto consiglio è fare ricorso, quando possibile, ad esempi provenienti da science fiction ovvero da telefilm, film o altro materiale molto popolare, dato che questo approccio può migliorare il desiderio di partecipare alla lezione da parte degli studenti.
Sesto consiglio: includere esempi sperimentali. Questo implica mostrare come l’evoluzione, sebbene si realizzi su tempi lunghi, possa essere dimostrata sperimentalmente. Questo non significa dover necessariamente riprodurre in classe un lavoro sperimentale (per cui non tutte le scuole sono attrezzate), ma per lo meno mostrare come l’evoluzione può anche essere evidente anche in vitro o comunque in tempi brevi.
Il settimo consiglio consiste nel mostrare come la biologia evoluzionistica non sia una disciplina indipendente, ma piuttosto un approccio che permea tutte le discipline (dalla genetica, alla biochimica per finire con l’anatomia, la zoologia e l’ecologia). L’evoluzione potrebbe quindi essere un modo per introdurre un approccio comparativo nelle varie discipline.
L’ottavo suggerimento consiste nell’enfatizzare l’idea della comune discendenza. Questo concetto risulta di grande importanza in biologia evoluzionistica sia per mostrare come tutti i viventi condividano un numero più o meno ampio di proprietà, che per spiegare che tutte le specie attualmente viventi derivano da ancestori comuni piuttosto che l’una dall’altra. Come già suggerito, fornire agli studenti questo strumento potrebbe metterli in grado di far fronte a critiche basate su forzature o deformazioni della teoria dell’evoluzione (un esempio è la critica che la teoria dell’evoluzione erroneamente affermerebbe che l’uomo discende dalle scimmie, dando per scontato che siano le specie attuali).
Nono consiglio: enfatizzare l’importanza della biodiversità, mostrando che questa non consiste solamente nella catalogazione e memorizzazione di numerosissimi nomi scientifici di specie.
Decimo ed ultimo suggerimento: mostrare la scala del tempo su cui agisce l’evoluzione. Fare capire agli studenti la corretta dimensione temporale in cui agisce l’evoluzione può non essere facile, ma è assolutamente essenziale per insegnare correttamente l’evoluzione, così come è prassi consolidata nello studio delle ere geologiche. A tale riguardo potrebbe risultare interessante l’esperienza segnalata da Paolo Coccia in un recente articolo apparso su Pikaia, intitolato Un rotolo di carta igienica per rappresentare la storia della vita sulla Terra.
Mauro Mandrioli
David M. Hillis (2007) Making evolution relevant and exciting to biology students. Evolution 61: 1261-1264.
Per ulteriori approfondimenti su Pikaia:
Paolo Coccia (08-06-2007) Un rotolo di carta igienica per rappresentare la storia della vita sulla Terra
Mauro Mandrioli (08-06-2007) Esiste realmente una distinzione tra microevoluzione e macroevoluzione?
Paolo Coccia (28-04-2007) BigPicture on Evolution
Il comportamento antico del callorino dell'Alaska
Lo studio, recentemente pubblicato su PNAS, ricostruisce la biogeografia e l'etologia di Callorhinus ursinus, detto anche otaria orsina o callorino dell'Alaska, un otaride che oggi si riproduce quasi esclusivamente sulle isole Pribilof, nel mare di Bering. Gia' negli anni '90 l'antropologa e archeologa Diane Gifford-Gonzalez e il geologo Paul Koch avevano cercato di razionalizzare alcune evidenze che mostravano l'abbondanza di ossa del callorino in strati antichi della California settentrionale e centrale. Il loro interesse si e' poi trasformato in una serie di collaborazioni con esperti in molti altri campi, culminate poi nelle conoscenze illustrate nell'odierno articolo.
Le evidenze raccolte mostrano che C. ursinus ha avuto in passato numerose e affollate colonie di riproduzione in zone piu' temperate di quelle attuali, che andavano dalla California, al Nord-ovest degli Stati Uniti, alle isole Aleutine, e che in queste colonie le cure parentali duravano molto di piu' dei soli quattro mesi dopo i quali i moderni callorini svezzano i propri cuccioli (caso pressoche' unico tra le quattordici specie odierne di otaridi, se si eccettua una specie antartica): essi partoriscono a luglio e lasciano le fredde acque del mare di Bering prima dell'arrivo dell'inverno, rifugiandosi lungo le coste californiane. Le analisi di abbondanza relativa di isotopi del carbonio e dell'azoto ha inoltre permesso di fare ipotesi sull'alimentazione degli antichi animali e anche sulla loro collocazione geografica, mentre le analisi morfometriche hanno indicato l'eta' alla morte dei soggetti che hanno fornito i reperti ossei studiati. Tutti i dati indicano che C. ursinus viveva stabilmente e si riproduceva in queste zone temperate. Anticamente le popolazioni di C. ursinus si comportavano come gli altri moderni otaridi, allattando i propri piccoli per un periodo che puo' giungere fino a quattordici mesi: alcune evidenze raccolte sembrano indicare che il cambiamento di strategia materna abbia avuto molto a che fare con il brutale contatto con l'uomo.
Questi animali sono stati infatti sottoposti ad una selvaggia decimazione gia' a partire da mille anni fa, probabilmente ad opera delle popolazioni locali della California centro-settentrionale. In periodo storico, e cioe' circa 200 anni fa, l'arrivo di cacciatori russi ed europei ha decretato la scomparsa del callorino dalle altre regioni temperate.
Si apre dunque un interessante dibattito: fino a che punto quello osservato oggi puo' essere considerato un comportamento "naturale" della specie? Sarebbe possibile oggi per il callorino ri-evolvere il comportamento antico che lo ha portato un tempo a stabilirsi con successo lungo le piu' temperate coste californiane? Come era strutturato l'antico ecosistema che vedeva popolazioni di callorini, leoni marini, foche ed elefanti marini interagire nello stesso habitat? Sono domande alle quali la Gifford-Gonzalez e i suoi colleghi cercheranno in futuro di rispondere, aiutati anche da analisi genetiche sulla diversita' delle popolazioni attuali e preistoriche di C. ursinus.
Paola Nardi
Tra Dio e Darwin: Dio nell’evoluzione e l’evoluzione di Dio
A partire dal 2004, e con particolare vigore dal 2006, assistiamo al proliferare di libri in cui alcuni autori si prefiggono di usare Dio per spiegare l’evoluzione ed evoluzionisti che vogliono usare l’evoluzione per spiegare Dio: ma cosa sta succedendo? La risposta è semplice: evoluzione e religione sono sempre più frequentemente viste come strumenti alternativi per spiegare l’origine della vita, motivo per cui una deve necessariamente (ma sarà vero?) includere o falsificare l’altra.
Il rapporto tra questi due “mondi” sembrava avere trovato una apparente pace con la proposta di Stephen J. Gould relativa ai magisteri separati ovvero evoluzione e religione si occupano di oggetti diversi e quindi non vi è conflitto tra di loro. La posizione di Gould, sebbene abbia trovato un discreto numero di sostenitori, ha lasciato molti insoddisfatti, tanto che ecco rischierarsi i due “eserciti”.
Da un lato dello schieramento abbiamo indubbiamente Dennett e Dawkins. Daniel Dennett è un filosofo della scienza americano divenuto molto noto in Italia per la pubblicazione del libro intitolato L'idea pericolosa di Darwin (Boringhieri, 2004). Dennett ha recentemente pubblicato Rompere l’incantesimo: la religione come fenomeno naturale (Raffaello Cortina Editore, 2007) in cui mostra come la fede non sia altro che un risultato dell'evoluzione darwiniana ottenuto a partire da credenze popolari.
In modo analogo Richard Dawkins, notissimo genetista, autore tra l’altro del celeberrimo Il gene egoista, ha pubblicato The God Delusion (che sarà disponibile in italiano a partire dal settembre 2007 con il titolo L’illusione di Dio, edito da Mondadori) in cui l’autore discute in modo molto razionale “l’ipotesi Dio” ovvero come l’idea dell’esistenza di Dio si è fatta spazio nelle nostre menti
Sull’altro lato dello schieramento non si può non citare il recentissimo The edge of Evolution (Free Press, 2007), in cui Michael J. Behe, biochimico americano che rappresenta al momento uno dei più attivi sostenitori dell’intelligent design americano, cerca di mostrare come l’evoluzione non sia altro che un fragile castello di carte se non si inserisce la figura di un Dio progettista che guida i processi evolutivi.
Un elemento curioso che emerge dalla lettura di questi libri (compresi parte dei numerosi commenti che la pubblicazione di questi testi ha suscitato) è che tutti questi testi falliscono nel mettere realmente all’angolo i loro oppositori, oltre che tutti contengono errori più o meno gravi. Un ottimo esempio delle difficoltà incontrate dagli autori nel raggiungere il loro scopo lo si può trovare nel brillante saggio di Massimo Pigliucci intitolato Is Dawkins deluded? When Scientists talk about religion che sarà pubblicato nel numero di luglio/agosto della rivista Skeptical Inquirer, in cui l’autore (notissimo evoluzionista) passa in rassegna i numerosi punti in cui il lavoro di Dawkins risulta meno efficace, se non addirittura debole.
Sul fronte opposto, non possono però neppure passare in silenzio i numerosissimi errori e le difficoltà incontrate da M. J. Behe nel suo ultimo lavoro, come efficacemente mostrato da Sean B. Carroll nella sua recensione intitolata God as genetic engineer apparsa sull’ultimo numero di Science. Oltre agli aspetti scientifici, particolarmente calzante è la domanda che si pone Carroll nel chiedersi perché Behe insista nel cercare di segnalare “buchi” nella teoria dell’evoluzione, quando in realtà tali lacune corrispondono più a mancate citazioni della letteratura scientifica disponibile, piuttosto che in reali punti di debolezza della teoria dell’evoluzione.
Perché questi testi hanno in comune così tante imprecisioni e difficoltà nel raggiungere il proprio target di lavoro? Forse, sebbene questi autori siano sicuramente molto solidi ciascuno nel proprio campo, in questo caso si trovano a “giocare fuori casa” e l’evoluzionista Dawkins (nonostante la storica alleanza con il filosofo Dennett) sembra vacillare sul terreno della filosofia, così come Behe in quello della genetica molecolare.
Tralasciato il lavoro di Behe che è stato già ben discusso da Carroll, come giovane evoluzionista mi sono chiesto dopo la lettura dei libri di Dennett e Dawkins: ma è realmente utile per sostenere l’evoluzione dimostrare che la religione è un virus mentale (o meme se preferite) o che la religione può essere spiegata come fenomeno evolutivo? In un momento storico in cui da numerosi ambienti religiosi vengono attacchi all’evoluzione, non sarebbe forse meglio investire maggiori energie per ottenere una educazione scientifica migliore sia in quantità che in qualità? Nel suo saggio intitolato Fondamentalismo e Scienza (pubblicato su Micromega, vol. 2, 2007) Massimo Pigliucci si dava questa risposta: “Ciò che possiamo e dobbiamo fare – urgentemente - è promuovere ampi sforzi interdisciplinari per istruire scienziati, educatori scientifici ed il pubblico in generale sui modi migliori di vedere il triangolo scienza-società-religione. Da questo dipende niente meno che il futuro della civiltà moderna”.
Mauro Mandrioli
Pigliucci, M. (2007) Is Dawkins deluded? When Scientists talk about religion. Skeptical Inquirer, in stampa.
Carroll, S.B. (2007) God as genetic engineer. Science 316: 1427-1428.
Pigliucci, M. (2007) Fondamentalismo e Scienza. Micromega, vol, 2, pag.28-33.
Evolvibilità: un concetto paradossale o innovativo nella biologia evoluzionistica moderna?
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Paolo Coccia
Esiste realmente una distinzione tra microevoluzione e macroevoluzione?
I termini microevoluzione e macroevoluzione sono stati coniati per la prima volta nel 1927 dall’entomologo russo Iuri'i Filipchenko, il quale li utilizzò nel suo libro Variabilität und Variation, che rappresenta il primo tentativo di conciliare la genetica mendeliana con i principi dell’evoluzione. Si deve però sottolineare che la valenza con cui questi termini venivano usati era differente rispetto a quella attuale anche in considerazione del fatto che molti scienziati russi di inizio secolo non erano affatto sostenitori delle teorie darwiniane.
A partire dagli anni ’40 entrambi questi termini vengono ripresi da Richard Goldschmidt per distinguere fenomeni dovuti alle mutazioni ed alla selezione naturale da fenomeni biologici più complessi e responsabili di quelli che Goldschmidt chiamava evolutionary novelty ovvero quelle strutture o comportamenti che di tanto in tanto compaiono durante l’evoluzione contribuendo in modo importante al successo di chi li possiede. Goldschmidt ritenne necessario distinguere, quindi, i fenomeni microevolutivi da quelli macroevolutivi, perché dei primi si conoscevano le cause, mentre dei secondi no.
Sicuramente, quando a partire dagli anni ’80 diversi Autori, quali Steven Stanley, Stephen J. Gould and Niles Eldredge, hanno iniziato a riutilizzare questi termini avevano in mente un’idea diversa e facevano riferimento, come è ancora oggi, alla microevoluzione come somma di quei processi di evoluzione che agiscono a livello di popolazioni e specie e alla macroevoluzione per indicare quello che accade nel tempo a taxa di ordine superiori quali i generi, le famiglie, etc...
Una semplice distinzione tra micro- e macroevoluzione la troviamo nel libro Evolution di Mark Ridley (2004), in cui l’autore scrive “Macroevolution means evolution on the grand scale, and it is mainly studied in the fossil record. It is contrasted with microevolution, the study of evolution over short time periods, such as that of a human lifetime or less. Microevolution, therefore, refers to changes in gene frequency within a population. [...]. Macroevolutionary events are much more likely to take millions of years. Macroevolution refers to things like the trends in horse evolution [...] or the origin of major groups, or mass extinctions, or the Cambrian explosion [...]. Speciation is the traditional dividing line between micro- and macroevolution”.
E’ realmente ancora attuale questa distinzione tra microevoluzione e macroevoluzione o è possibile e necessario, viste le recenti scoperte in materia di evo-devo e di network genici, ricondurre la macroevoluzione all’interno della microevoluzione?
Un aspetto interessante di questa domanda risiede nel fatto che mantenere o eliminare questa distinzione non ha solamente un valore scientifico, ma potrebbe anche servire per ridurre le possibili ambiguità utilizzate contro l’evoluzione da parte di neocreazionisti o sostenitori dell’intelligent design.
Un invito alla riflessione su questo argomento lo si può trovare nel saggio intitolato “Is there such a thing as macroevolution?” pubblicato da Massimo Pigliucci sulla rivista Skeptical Inquirer.
Particolarmente importante è a mio avviso l’invito ai biologi evoluzionistici con cui Pigliucci conclude il saggio: keeping a constant dialogue with the public is crucial.
Chi più del popolo di Pikaia può concordare con questa affermazione?
Mauro Mandrioli
Massimo Pigliucci (2007) Is there such a thing as macroevolution? Skeptical Inquirer, vol 31, issue 2, pp.18-19.
Casa Darwin. Il male, il bene e l'evoluzione dell'uomo
Riporto dal sito web:
Questo libro è una toccante biografia intima di Darwin, della piccola Annie e dell'intera «tribú» dei Darwin-Wedgwood, scritta da un loro diretto discendente. Ma è anche un affresco a tutto tondo, colto e raffinato, dell'Inghilterra vittoriana, con le sue poesie, le sue chiese, i suoi paesaggi, l'incedere tumultuoso della scienza e dell'industria e i contrasti che certe idee, proprio come quella «pericolosa» di Darwin, hanno portato nelle coscienze dell'epoca. Per giungere fino a noi, ancora sature della loro dirompente carica innovativa.
Randal Keynes
Casa Darwin. Il male, il bene e l'evoluzione dell'uomo, 2007
pp. XVIII-358, Saggi, EINAUDI
Paolo Coccia
Friday, June 08, 2007
Un rotolo di carta igienica per rappresentare la storia della vita sulla Terra
Paolo Coccia
Marcello Sala. IL LINGUAGGIO DELLA TEORIA DELL’EVOLUZIONE nell’educazione e divulgazione scientifica
Comunicare la scienza ai non esperti, situazione che accomuna la cosiddetta “divulgazione” all’educazione scientifica, vuol dire entrare in un doppio vincolo tra le esigenze della correttezza, senza la quale il discorso scientifico cessa di esistere come tale, e quelle della comprensibilità, in assenza della quale viene meno l’altro termine: la comunicazione.
Molto volentieri pubblichiamo il saggio di Marcello Sala che molti di voi già conoscono sia per il sito omonimo cui vi rimandiamo che per i suoi interventi pubblicati su Pikaia e che vi invitiamo a rileggere.
In questo ultimo saggio Marcello Sala ci aiuta a riflettere su alcuni termini del linguaggio evoluzionistico che sono spesso oggetto di incomprensioni e cattiva interpretazione specialmente nel campo della divulgazione scientifica.
Vi lascio alla lettura del saggio!
Paolo Coccia
Su Pikaia potete leggere il saggio.
Si possono identificare i fattori di rischio genetico per le malattie più comuni?
Nel giugno del 2000, Bill Clinton, in qualità di presidente degli Stati Uniti, annunciava assieme a Frank Collins, portavoce del Progetto Genoma Umano, e Craig Venter, presidente della Celera Genomics Corporation, il completamento della prima bozza del genoma umano.
Questo annuncio presentava il progetto genoma umano come un evento in grado di rivoluzionare il modo di studiare le malattie che colpiscono l’uomo, poiché avrebbe reso possibile comprendere i meccanismi genetici di fondo delle malattie ed elaborare nuove cure e nuovi farmaci per prevenirle e combatterle.
A distanza di soli 5 anni, i ricercatori del Wellcome Trust Case Control Consortium (WTCCC) hanno dimostrato come sia realmente possibile pianificare uno screening su vasta scala di genomi umani al fine di identificare geni implicati nell’insorgenza di numerose malattie.
In particolare, in un articolo apparso sull’ultimo numero di Nature, i ricercatori del consorzio WTCCC hanno verificato l’esistenza di marcatori molecolari comuni tra soggetti aventi le stesse malattie. Per conseguire tale risultato sono stati studiati 500.000 loci genetici in 17.000 soggetti alla ricerca di marcatori molecolari per sette malattie comuni: artride reumatoide, ipertensione, morbo di Crohn, patologia arterio-coronarica, disordine bipolare (anche nota come sindrome maniaco-depressiva) e diabete di tipo 1 e 2.
Il disegno sperimentale seguito è molto semplice e consiste nell’esaminare le variazioni genetiche in 500.000 diverse posizioni del genoma in 17.000 soggetti, di cui 14.000 affetti dalle sette malattie in esame e 3.000 soggetti di controllo.
L’idea che esistano marcatori molecolari utilizzabili per diagnosticare specifiche malattie non è nuova, mentre è sicuramente senza precedenti la scala su cui il progetto è seguito non solo per l’elevato numero di pazienti considerati, ma anche per il numero di tratti genetici considerati contemporaneamente per ciascun paziente.
Lo studio presentato dai ricercatori del consorzio WTCCC mostra quindi come sia realmente percorribile nel futuro prossimo l’ipotesi di una medicina personalizzata basata sul patrimonio genetico individuale.
Mauro Mandrioli
The Wellcome Trust Case Control Consortium (2007) Genome-wide association study of 14,000 cases of seven common diseases and 3,000 shared controls. Nature 447: 661-678.
1000 tavole botaniche di Lamarck
Riporto dal sito:
Pour la réalisation de la Botanique de Lamarck, avec la participation de Madame Lucile Allorge du Muséeum d'histoires naturelles et de Monsieur Alzieu, nous avons mis sept ans, au sein d'une filiale Amarca et avons ainsi pu réédité, en couleurs, au pochoir, les 1000 planches.
Buona visione a tutti!
Paolo Coccia
Quanto era veloce il T-rex?
Probabilmente pesava 6 o 8 tonnellate, invece delle 3-4 ipotizzate in precedenza, e una tale massa non è compatibile con movimenti scattanti. Poteva impiegare fino a due secondi per cambiare direzione e probabilmente non superava i 40 km/h. E' un limite intrinseco dei grandi animali essere più lenti. Piu massa significa più muscoli, necessari per muoverla, che a loro volta incrementano la massa. Il lavoro di Hutchinson e dei suoi collaboratori è la prosecuzione di quello iniziato a Stanford nel 2002 ed è ora pubblicato sul Journal of Theoretical Biology. Ecco il link alla notizia della BBC.
Stefano Dalla Casa
Serie TV della PBS: NOVA. Evolution. Darwin's Dangerous Idea
I video iniziano con un Clip che ha come protagonista Bush. I successivi mostrano una breve intervista a Gould e scorci di vita dello stesso Darwin alle prese con i concetti della sua teoria dell'evoluzione, durante una escursione sulle Ande....e altro ancora.
Paolo Coccia
Il popolamento umano del pianeta Terra. The Genetic Map
La Brad Shaw Foundation, in associazione con Stephen Oppenheimer, presenta questo interessante viaggio virtuale che ripercorre le tappe della colonizzazione del mondo da parte dell'uomo a partire da 160.000 anni fa.
The map will show for the first time the interaction of migration and climate over this period. We are the descendants of a few small groups of tropical Africans who united in the face of adversity, not only to the point of survival but to the development of a sophisticated social interaction and culture expressed through many forms. Based on a synthesis of the mtDNA and Y chromosome evidence with archaeology, climatology and fossil study, Stephen Oppenheimer has tracked the routes and timing of migration, placing it in context with ancient rock art around the world.!! Important !! - The Genetic Map section uses pop ups for further reading, please ensure that any pop up blocking software you may have on your computer allows pop up windows from the Bradshaw Foundation domain www.bradshawfoundation.com
Paolo Coccia
In principio Dio creò il cielo e la terra. Riflessioni sulla creazione e il peccato
Dalla quarta di copertina:È compito delle scienze naturali chiarire attraverso quali fattori l’albero della vita si differenzia e si sviluppa, mettendo nuovi rami. Non spetta alla fede. Però possiamo e dobbiamo avere il coraggio di dire che i grandi progetti della vita non sono un prodotto del caso e dell’errore né sono il prodotto di una selezione, cui si attribuiscono predicati divini che in questa sede appaiono illogici, a-scientifici, un mito moderno. I grandi progetti della vita rimandano a una ragione creatrice, ci indicano lo Spirito creatore e lo fanno oggi in maniera più chiara e splendente che mai. Oggi pertanto possiamo dire con una certezza e una gioia nuove: Sì, l’uomo è un progetto di Dio.
Orlando Franceschelli su Il Riformista lo scorso 28 ottobre ha scritto di questo libro: Secondo Benedetto XVI […] le scienze naturali altro non avrebbero fatto che fornire un nuovo racconto della creazione, arricchendolo con immagini grandiose che finalmente porterebbero a "riconoscere il volto del Creatore". […] Un annessione in piena regola della scienza alla teologia della creazione.
Chiara Ceci
Questionario per i docenti di scienze naturali sulla teoria dell'evoluzione
Il questionario composto da 13 domande, si compila in (circa) venti minuti e verrà trattato in modo anonimo; se vorrete compilarlo, vi pregherei però di lasciarmi la vostra email e il nome dell'istituto in cui insegnate - ve lo chiedo per scoraggiare eventuali depistaggi che, come sapete, su internet sono sempre possibili.Confidando nel vostro interesse verso il tema e i risultati dell'indagine, mi auguro vogliate rispondere numerosi alle domande del questionario.Per qualsiasi richiesta di chiarimento, o proposta di collaborazione, sono a vostra disposizione all'indirizzo lorenz.news@tele2.it.Ringrazio il sito di Pikaia e in particolare Paolo Coccia e Telmo Pievani per lo spazio concessomi e per il fattivo supporto che stanno dando al progetto.
Lorenzo Galbiati
Il questionario lo trovate su Pikaia
Come ti segmento un insetto
Claude Desplan e Steve Small, biologi al Centro di Genetica dello Sviluppo della New York University, hanno recentemente pubblicato i risultati della loro avvincente ricerca sulla rivista Science. Lo studio ha avuto come protagonisti due sistemi modello, costituiti dal celeberrimo moscerino della frutta Drosophila melanogaster e dalla vespa parassitoide (che depone cioe' le proprie uova all'interno di pupe di varie mosche) Nasonia vitripennis; due specie le cui strade filogenetiche si separarono circa 250 milioni di anni fa. Le due specie, malgrado il luongo cammino fatto separatamente, presentano a tutt'oggi numerosi aspetti morfologici simili: esse utilizzano gli stessi geni e le stesse interazioni tra geni, ma qualcosa e' cambiato nel modo di sfruttare lo stesso materiale genetico per operare lo sviluppo dell'organismo.
In particolare, il dittero D. melanogaster utilizza un morfogene materno specifico del suo ordine, denominato bicoide (bcd), per promuovere la strutturazione del segmento anteriore dell'embrione durante il simultaneo sviluppo dei segmenti corporei lungo l'asse anteroposteriore: e' il gradiente del prodotto di espressione di questo gene a guidare lo sviluppo anteriore del moscerino. D'altra parte N. vitripennis, appartenente all'ordine degli Imenotteri, non possiede il morfogene bcd: come viene guidata la segmentazione di questo insetto? La vespa ottiene gli stessi risultati utilizzando piu' geni, le cui funzioni rimangono separate e discrete: il gene materno denominato orthodenticle (otd, presente anche in Drosophila e implicato in essa nello sviluppo embrionale del cervello) opera in vece di bcd per cio' che riguarda lo sviluppo anteriore, e regola l'espressione dei geni giant (gt) e hunchback (hb), in modo che testa e torace si sviluppino correttamente. Le stesse due azioni promosse da bcd in D. melanogaster vengono dunque svolte da geni diversi in insetti che non possiedono questo gene.
Studi come questo sono assolutamente benvenuti perche' servono a chiarire, al di la' delle conoscenze sempre piu' approfondite acquisite in decenni su particolari sistemi modello, le diverse dinamiche di sviluppo che hanno avuto modo di evolvere in specie separate da una notevole distanza filogenetica.
Paola Nardi
Bipedi sugli alberi
Partendo dall'osservazione dei movimenti degli orangutan (Pongo pygmaeus) nel loro ambiente naturale, le foreste dell'isola indonesiana di Sumatra, un gruppo di ricercatori della University of Birmingham e della University of Liverpool ha ipotizzato che le prime forme di bipedismo siano comparse nelle scimmie che vivevano sugli alberi circa tra 17 e 24 milioni di anni fa. La comparsa di questo comportamento che è risultato fondamentale per l'evoluzione della nostra specie andrebbe dunque anticipata a quando i nostri progenitori vivevano ancora nelle foreste e non, in accordo con l'ipotesi comunemente accettata, nella savana tra 4 e 8 milioni di anni or sono.
Gli autori dell'articolo, pubblicato su Science, hanno analizzato più di 3.000 movimenti messi in atto dagli orangutan durante la loro vita arboricola, osservando che quando si trovano sui rami sottili, situati nella periferia degli alberi e su cui si raggruppano i frutti di cui si nutrono, utilizzano un sorta di bipedismo. Infatti, si reggono con gli arti anteriori ai rami superiori per camminare agilmente su quelli che si trovano più in basso.
I nostri antenati che vivevano sugli alberi, essendo frugivori, potevano beneficiare di un simile comportamento che potrebbe aver portato, nel corso di milioni di anni, all'evoluzione dell'andatura bipede che ci contraddistingue. I ricercatori propongono che verso la fine del Miocene avvennero cambiamenti climatici che favorirono la formazione di un mosaico di foreste e praterie, a causa del quale i nostri antenati arboricoli furono costretti a scendere a terra abbandonando così le cime degli alberi. Alcuni si specializzarono alla vita al suolo migliorando il bipedismo acquisito precedentemente per la raccolta dei frutti, altri, i progenitori di scimpanzè e gorilla, continuarono ad essere legati agli alberi spostandosi dall'uno all'altro tramite un'andatura sulle nocche.
Se fosse corretto che i primi ominidi scesero dagli alberi non camminando a quattro zampe, bensì già dotati della capacità di effettuare movimenti sui soli arti inferiori, dovrebbero essere modificati i criteri che stabiliscono le caratteristiche distintive degli ominini rispetto alle scimmie. Il bipedismo, dunque, non si configurerebbe più come un attributo tipicamente umano.
Questa visione è supportata da recenti studi che dimostrerebbero la vita forestale di molti nostri antenati bipedi, tra cui il famoso Australopitecus afarensis Lucy, che si riteneva vivessero nella savana.
Andrea Romano
Evoluti per caso
Un articolo su Le Scienze
Telmo Pievani ed Emanuele Serrelli, nel numero di giugno de Le Scienze, raccontano con dovizia di particolari e brillantezza giornalistica il viaggio che, dal 18 febbraio al 1 marzo, ha condotto un buon numero di ricercatori e giornalisti (tra cui chi vi scrive) in giro per l'Ecuador (nella foto, una piccola valle fluviale coperta di foresta), alla ricerca di spunti per "spiegare" biodiversità ed evoluzione in una prossima trasmissione televisiva. L'articolo, di cui potete trovare una sinossi qui, racconta le tappe del viaggio e gli spunti che l'ambiente ha suggerito per spiegare l'evoluzione; il conduttore della spedizione e della trasmissione, Patrizio Roversi, ha infatti intervistato Telmo Pievani, Emanuele Serrelli e Valeria Sala sul campo, in modo che l'evoluzione sia presentata come una cosa viva. Al momento di andare on line, la trasmissione, che si dovrebbe chiamare "Evoluti per caso", dovrebbe andare in onda il prossimo agosto.
Marco Ferrari
Friday, June 01, 2007
La Rivista dei Libri di giugno 2007
Nel fascicolo di giugno segnalo tra gli altri articoli la recensione del libro di Humphrey, Rosso. Uno studio sulla coscienza, Codice, Torino, a cura di John R. Searle dal titolo Una scienza per la coscienza.
Sequenziato il genoma di James Watson
Dopo un lavoro durato due mesi è stato sequenziato l'intero genoma di James Watson, premio Nobel insieme a Francis Crick per aver ricostruito la struttura a doppia elica del DNA nel 1953.
Il sequenziamento è stato eseguito da ricercatori del 454 Life Sciences di Branford e del Baylor College of Medicine di Houston e sarà descritto in una pubblicazione scientifica in tempi brevi.
Oggi non è possibile ricavare informazioni concrete su una persona basandosi esclusivamente sul suo genoma ma in futuro sarà possibile confrontare le sequenze di molti individui, correlando la presenza di certi alleli a quella di eventuali malattie e disturbi. Infatti, nei prossimi anni il National Human Genome Research Institute sta progettando di sequenziare il DNA di migliaia di persone.
Andrea Romano
Promiscuità femminile
La maggior parte dei sistemi socio-sessuali dei carnivori sono basati sulla coppia monogama o, più frequentemente, su gruppi poliginici, in cui un solo o pochi maschi controllano e si accoppiano con numerose femmine. Da uno studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B, sembra che i ghepardi (Acinonyx jubatus) non rientrino in questo schema generale. Infatti, in questa specie la promiscuità è un carattere tipicamente femminile.
Ricercatori del Wildlife Conservation Society e della Zoological Society of London affermano che nelle società dei ghepardi circa il 43% delle cucciolate riceve il contributo genetico di più maschi. Lo studio, condotto nel Serengeti National Park in Tanzania, ha avuto una durata di 9 anni, tempo in cui i ricercatori hanno analizzato geneticamente e confrontato i campioni fecali di tutti gli individui residenti. In questo modo è stato possibile determinare il numero e l'identità dei maschi che hanno contribuito alla cucciolata. Sorprendentemente, solo il 23% dei cuccioli aveva un padre residente nella zona campionata.
Questo risultato è concorde con studi precedenti che stabilirono la dimensione media dei territori e degli home range di maschi e femmine, stabilendo che sono proprio queste ultime a controllare aree di dimensione molto maggiore. Anche questo dato rappresenta un'inversione di tendenza rispetto alla maggioranza dei carnivori.
Le femmine di ghepardo, dunque, controllano territori molto ampi in cui hanno la possibilità di interagire ed accoppiarsi con numerosi maschi, comportamento che consente di mantenere un alto livello di variabilità genetica, fondamentale per una popolazione poco numerosa e a rischio di estinzione.
Queste nuove conoscenze sull'etologia della specie dovranno essere prese in considerazione nell'attuazione di futuri sforzi di protezione e conservazione.
Andrea Romano
GAJARDO REGAZZI! ARISEMO SCHIAVI!!!
GAJARDO REGAZZI! ARISEMO SCHIAVI!!!
Siamo alla fine dell’anno. Tutti gli insegnanti sono, o dovrebbero essere, al loro posto: alunni da interrogare in corner, decenni di Storia da spiegare in un quarto d’ora, le fasi della luna ferme al novilunio, il solito D’Annunzio che non vuole entrare nella zucca dei maturandi, né Hegel, né le funzioni trigonometriche. Ma il supplente, quello vero, quello vocato, anche in questo momento difficile della vita scolastica non perde né humour, né occasione per aggiungere la sua goccia al mare di sapere che ormai riempie le menti dei ragazzi, magari utilizzando gli avvenimenti del giorno.
È questo, ad esempio, il momento buono per entrare in classe a passo rapido esclamando con voce stentorea e in romanesco “ Gajardo regazzi! Arisemo schiavi!”. Sì qui la parlata romanesca è d’obbligo, per cui saranno più avvantaggiati i supplenti del Centro- Sud d’Italia ,tuttavia anche gli altri, facendo esercizi a casa, potranno riuscirci con effetti forse ancor più esilaranti. La frase, vera e ripescata nei ricordi d’infanzia, veniva urlata da un soldato romano in un film comico di tanto tempo fa - ma di cui francamente non ricordo né titolo, né autore - che entrava entusiasta e di corsa nel Senato di Roma annunciando la sconfitta subita dai Romani da parte dei Cartaginesi. Nel film, la frase “Gajardo regazzi ! Arisemo schiavi!” (“Magnifico ragazzi! Siamo di nuovo schiavi!”) era esternata dall’ambasciatore con una incomprensibile allegria, forse perché egli era il primo a dare la notizia - ed essere i primi fa sempre piacere - o forse perché ( interpretando ‘alla romana ’) la schiavitù in fondo in fondo comporta meno responsabilità di quanto non siano richieste all’uomo libero.
Sì, c’è il rischio di prendersi delle frustate o altre punizioni corporali, di essere trattati come vermi, di essere comprati e venduti come fazzoletti da naso, ma vuoi mettere ? Nessun onere, tutto pagato, pensare poco o niente, vita regolare.Ma non c’è niente da fare: all’essere umano piacciono le difficoltà. Ha combattuto la schiavitù e si è complicata la vita con cose quali la libertà, la democrazia, la scienza in cui, per esempio, più passa il tempo e più le teorie si fanno astruse. Prendiamo un nome a caso: la teoria dell’evoluzione. Non era meglio quando si pensava che i ranocchi nascessero dal fango? O che i fossili rappresentassero semplicemente delle curiosità di natura? E come mai si trovano conchiglie e coralli a 4000 m di altitudine? Inshallah, ovvero così vuole la Provvidenza. Amen.
E invece no, ecco Redi che mette in crisi la generazione spontanea, e poi arriva Lamarck a parlare di trasformazione dei viventi, si aggiunge Darwin con la sua selezione naturale, oggi poi sembra quasi che tra i ricercatori esista un accordo a tirar fuori problemi e mai una spiegazione definitiva. Ma forse non tutto è perduto, forse tra un po’ si torna a respirare. E qui il supplente , aprendo la sua ormai leggendaria cartella, tirerà fuori a fatica il primo volume dell’ Atlante della Creazione, oggetto del peso di 5,5 chilogrammi, di migliaia di pagine e figure, scritto da Harun Yahya, un signore turco che ne ha scritti altri sei ( più altri libri in numero sterminato e più o meno tutti sugli stessi argomenti), edito in Ungheria e che già da due anni gira per l’Europa dove viene regalato ( altrimenti costerebbe ben 80 € ) ai professori di Scienze e, in Italia, anche a quelli di Filosofia.
Che c’è scritto? Che l’evoluzione delle specie è un inganno, che solo i fessi ci credono e la studiano ( e qui gli alunni si fanno più attenti), che insieme ad altri flagelli dell’umanità ( comunismo, fascismo, materialismo, terrorismo etc.) sta alla base dei tanti guai che ci affliggono.
I fossili, per esempio, non stanno lì a dirci che moltissime specie sono comparse e poi scomparse per selezione naturale, bensì che …le specie sono apparse dal nulla, già pienamente formate e con le proprie strutture complesse , e non hanno subito alcun cambiamento nei milioni di anni successivi. Ciò è una prova significativa che la vita venne posta in essere dal nulla – in altre parole fu creata. (op.cit.). E su questa solfa fiumi di pagine. Il supplente non darà ragione a Mr. Harun Yahya , si limiterà a mostrarne l’ opera mastodontica ai ragazzi, sperando che questa riesca a spaventarli con la sua sola mole. Suona la campanella, il supplente è soddisfatto: i ragazzi sono stati relativamente zitti, qualcosa è riuscita a dirla e poi, dato che nessuno lo prende mai sul serio,è certo di non aver tradito il Maestro (essendo lui un darwiniano convinto ) dando spazio all’avversario.
Gli si avvicina un tizietto :” Prof. io quel libro ce l’ho a casa. Mio padre l’ha comprato all’edicola perché ha tante figure ed è scritto grande. Secondo lei, se lo porto all’esame come tesina me lo valutano come credito?”.
Alessandra Magistrelli