I nostri consigli se volete acquistare un libro sull'evoluzione!
Consultate l' elenco periodicamente. Lo aggiorneremo con le ultime novità (segnalate in rosso)!Contiene le sezioni:Da non perdere – I Classici – Per ragazzi - In lingua inglese - Nuove pubblicazioni - Le bibliografie.
Contributi e segnalazioni sono benvenuti.
Paolo Coccia
Milano, 25 aprile 2007
Qui troverete avvisi, comunicazioni, segnalazioni su tutte le novita' che potrebbero interessarvi: articoli, libri, eventi, temi controversi, bibliografie, dossier, ecc....
Wednesday, April 25, 2007
QUALCHE OSSERVAZIONE CON RIFERIMENTO AL DILUVIO
Tutti voi conoscete il capitano Fitzroy che ha comandato il celebre vascello Beagle con a bordo Darwin. E sapete anche dell'irascibilità che lo contraddistinse durante il viaggio sulla Beagle e anche per il resto della sua vita. Questo carattere associato ad un forte senso religioso avevano plasmato una personalità forte che rivendicò per tutta la vita, con forza, la supremazia delle sacre scritture nella descrizione del mondo ed in particolare del mondo naturale. L'esempio che abbiamo tradotto qui, in versione assolutamente inedita in Italia, rappresenta la testimonianza più efficace e diretta di come una mente ispirata dalle credenze religiose sia stata in grado piegare le osservazioni naturalistiche all'interno delle interpretazioni scritturali.
Nello stesso tempo non possiamo fare a meno di rimanere affascinati dall'acume e dallo sforzo di escogitare dettagliate spiegazioni e interpretazioni sui terremoti, sulle alluvioni e sui cataclismi che sconvolsero il mondo naturale.
Buona lettura.
Fitzroy, Robert 1839. QUALCHE OSSERVAZIONE CON RIFERIMENTO AL DILUVIO. Capitolo XXVIII. Traduzione di Alfonso Vinassa De Regny dall'originale A very few Remarks with reference to the Deluge, pp. 657-683. Capitolo XXVIII del volume Narrative of the surveying voyages of His Majesty's Ships Adventure and Beagle between the years 1826 and 1836, describing their examination of the southern shores of South America, and the Beagle's circumnavigation of the globe. Proceedings of the second expedition, 1831-36, under the command of Captain Robert Fitz-Roy, R.N. London: Henry Colburn. La copia del volume è stata gentilmente fornita dalla The Balfour and Newton Libraries di Cambridge e scannerizzata da John van Wyhe che l'ha riprodotta e archiviata presso il sito web dedicato alle opere complete di Charles Darwin.
Tutti i diritti sono riservati. Ogni richiesta (scritta) per qualunque modalità di riutilizzo va inoltrata a Pikaia. Il traduttore Alfonso Vinassa De Regny acconsente allla pubblicazione e archiviazione del testo presso la testata web Pikaia.
Trovate il testo completo di Fitzroy su Pikaia
Paolo Coccia
Nello stesso tempo non possiamo fare a meno di rimanere affascinati dall'acume e dallo sforzo di escogitare dettagliate spiegazioni e interpretazioni sui terremoti, sulle alluvioni e sui cataclismi che sconvolsero il mondo naturale.
Buona lettura.
Fitzroy, Robert 1839. QUALCHE OSSERVAZIONE CON RIFERIMENTO AL DILUVIO. Capitolo XXVIII. Traduzione di Alfonso Vinassa De Regny dall'originale A very few Remarks with reference to the Deluge, pp. 657-683. Capitolo XXVIII del volume Narrative of the surveying voyages of His Majesty's Ships Adventure and Beagle between the years 1826 and 1836, describing their examination of the southern shores of South America, and the Beagle's circumnavigation of the globe. Proceedings of the second expedition, 1831-36, under the command of Captain Robert Fitz-Roy, R.N. London: Henry Colburn. La copia del volume è stata gentilmente fornita dalla The Balfour and Newton Libraries di Cambridge e scannerizzata da John van Wyhe che l'ha riprodotta e archiviata presso il sito web dedicato alle opere complete di Charles Darwin.
Tutti i diritti sono riservati. Ogni richiesta (scritta) per qualunque modalità di riutilizzo va inoltrata a Pikaia. Il traduttore Alfonso Vinassa De Regny acconsente allla pubblicazione e archiviazione del testo presso la testata web Pikaia.
Trovate il testo completo di Fitzroy su Pikaia
Paolo Coccia
Stephen Jay Gould. Le pietre false di Marrakech
E' imminente la pubblicazione italiana postuma del libro di Stephen Jay Gould. Le pietre false di Marrakech. Traduzione di Libero Sosio. Il Saggiatore, collana La cultura, pp. 480
Sommario dall'edizione originale:
CONTENTS Preface I Episodes in the Birth of PaleontologyThe Nature of Fossils and the History of the Earth 1. The Lying Stones of Marrakech2. The Sharp-Eyed Lynx, Outfoxed by Nature3. How the Vulva Stone Became a Brachiopod II Present at the Creation How France's Three Finest Scientists Established Natural History in an Age of Revolution 4. Inventing Natural History in Style 5. The Proof of Lavoisier's Plates 6. A Tree Grows in Paris: Lamark's Division of Worms and Revision of Nature III Darwin's Century-- And Ours Lessons from Britain's Four Greatest Victorian Naturalists 7. Lyell's Pillars of Wisdom 8. A Sly Dullard Named Darwin: Recognizing the Multiple Facets of Genius 9. An Awful Terrible dinosaurian Irony 10. Second-Guessing the Future IV Six Little Pieces on the Meaning and Location of Excellence Substrate and Accomplishment 11. Drink Deep, or Taste Not the Pierian Spring 12. Requiem Eternal 13. More Power to Him De Mortuis When Truly Bonum 14. Bright Star Among Billions 15. The Glory of His Time and Ours 16. This Was a Man V Science in Society 17. A tale of Two Work Sites 18. The Internal Brand of the Scarlet W 19. Dolly's Fashion and Louis's Passion 20. Above All, Do No Harm VI Evolution at all Scales 21. Of Embryos and Ancestors 22. The Paradox of the Visibly Irrelevant 23. Room of One's Own
A Tale of Two Work Sites, Capitolo V. Science in Society. p. 251-268 è stato recentemente tradotto in italiano con il titolo Darwin e l'incendio nella fabbrica di stoffe e pubblicato su MicroMega 2/2007, Almanacco di scienze, pp. 109-126, 2007
....ecco alcuni commenti (anche se datati) all'edizione originale:
Pietro Corsi su Swift
Sito web Nobelief
New York Times
Lo attendiamo tutti con enorme interesse!!!!!!!!
Paolo Coccia
Sommario dall'edizione originale:
CONTENTS Preface I Episodes in the Birth of PaleontologyThe Nature of Fossils and the History of the Earth 1. The Lying Stones of Marrakech2. The Sharp-Eyed Lynx, Outfoxed by Nature3. How the Vulva Stone Became a Brachiopod II Present at the Creation How France's Three Finest Scientists Established Natural History in an Age of Revolution 4. Inventing Natural History in Style 5. The Proof of Lavoisier's Plates 6. A Tree Grows in Paris: Lamark's Division of Worms and Revision of Nature III Darwin's Century-- And Ours Lessons from Britain's Four Greatest Victorian Naturalists 7. Lyell's Pillars of Wisdom 8. A Sly Dullard Named Darwin: Recognizing the Multiple Facets of Genius 9. An Awful Terrible dinosaurian Irony 10. Second-Guessing the Future IV Six Little Pieces on the Meaning and Location of Excellence Substrate and Accomplishment 11. Drink Deep, or Taste Not the Pierian Spring 12. Requiem Eternal 13. More Power to Him De Mortuis When Truly Bonum 14. Bright Star Among Billions 15. The Glory of His Time and Ours 16. This Was a Man V Science in Society 17. A tale of Two Work Sites 18. The Internal Brand of the Scarlet W 19. Dolly's Fashion and Louis's Passion 20. Above All, Do No Harm VI Evolution at all Scales 21. Of Embryos and Ancestors 22. The Paradox of the Visibly Irrelevant 23. Room of One's Own
A Tale of Two Work Sites, Capitolo V. Science in Society. p. 251-268 è stato recentemente tradotto in italiano con il titolo Darwin e l'incendio nella fabbrica di stoffe e pubblicato su MicroMega 2/2007, Almanacco di scienze, pp. 109-126, 2007
....ecco alcuni commenti (anche se datati) all'edizione originale:
Pietro Corsi su Swift
Sito web Nobelief
New York Times
Lo attendiamo tutti con enorme interesse!!!!!!!!
Paolo Coccia
Un articolo sulla crisi della biodiversita' scritto da Ed. Wilson
L'articolo ha per titolo Acting Now To Save Life On Earth e proviene dal The Seattle Post-Intelligencer.
E' accessibile al sito http://www.commondreams.org/archive/2007/04/21/675/ e inizia con questo paragrafo:Except for giant meteorite strikes or other such catastrophes, Earth has never experienced anything like the contemporary human juggernaut. We are in a bottleneck of overpopulation and wasteful consumption that could push half of Earth’s species to extinction in this century.As the newest reports of the Intergovernmental Panel on Climate Change stress, we are carelessly destabilizing the planetary surface in ways harmful to our own welfare. Paramount is the irreversible loss of natural ecosystems and species that make up the human life-support system........................
Francesco Santini
E' accessibile al sito http://www.commondreams.org/archive/2007/04/21/675/ e inizia con questo paragrafo:Except for giant meteorite strikes or other such catastrophes, Earth has never experienced anything like the contemporary human juggernaut. We are in a bottleneck of overpopulation and wasteful consumption that could push half of Earth’s species to extinction in this century.As the newest reports of the Intergovernmental Panel on Climate Change stress, we are carelessly destabilizing the planetary surface in ways harmful to our own welfare. Paramount is the irreversible loss of natural ecosystems and species that make up the human life-support system........................
Francesco Santini
Foresta preistorica
Ritrovata una foresta fossile risalente al periodo Carbonifero. E' costituita da svariate specie di piante estinte e si estende su un quadrato di circa 10Km di lato.
Una straordinaria scoperta sconvolge la paleobotanica: è stata ritrovata un'intera foresta fossilizzata datata circa 300 milioni di anni fa, nel Carbonifero. Questo ritrovamento, avvenuto all'interno di una miniera di carbone nello stato americano dell'Illinois, sebbene non rappresenti la foresta fossile più antica mai scoperta, ricopre una grande importanza per la comprensione di come appariva la copertura vegetale del periodo.
La desrizione dei fossili è stata pubblicata da Howard Falcon-Lang dell' Università di Bristol sulla rivista Geology, della Geological Society of America. La foresta è caratterizzata dalla presenza composita di innumerevoli piante ormai estinte, anche se la biodiversità sembra decisamente inferiore a quella attuale. Spiccano, ad esempio, felci ed equiseti dalle dimensioni arboree e alberi dai tronchi larghi 2m e alti circa 40m ma privi di rami e fronde. Con grande sorpresa dei ricercatori sono state ritrovate anche piante simili a mangrovie, organismi che si credeva si fossero sviluppati successivamente. Non mancano inoltre i fossili di alcuni animali, quali libellule dall'apertura alare di 60cm ed euripteridi, gli artropodi simili a scorpioni dalla lunghezza corporea che poteva raggiungere anche i 3m.
La foresta sarebbe sprofondata in seguito ad un imponente terremoto avvenuto circa 300 milioni di anni fa, rimanendo sepolta sotto un letto di fango che ne ha consentito la conservazione fino ad oggi.
L'importanza della scoperta si può capire anche dalle dimensioni: infatti, si tratta della più grande foresta fossile mai trovata, coprendo una superficie di circa 10.000 ettari, un'area quadrata di circa 10Km per lato.
Da oggi sarà dunque più facile ricostruire la composizione delle foreste pluviali del Carbonifero e capire in che modo si è evoluta la complessità e la grande diversità delle foreste attuali nel corso di milioni di anni.
Andrea Romano
Una straordinaria scoperta sconvolge la paleobotanica: è stata ritrovata un'intera foresta fossilizzata datata circa 300 milioni di anni fa, nel Carbonifero. Questo ritrovamento, avvenuto all'interno di una miniera di carbone nello stato americano dell'Illinois, sebbene non rappresenti la foresta fossile più antica mai scoperta, ricopre una grande importanza per la comprensione di come appariva la copertura vegetale del periodo.
La desrizione dei fossili è stata pubblicata da Howard Falcon-Lang dell' Università di Bristol sulla rivista Geology, della Geological Society of America. La foresta è caratterizzata dalla presenza composita di innumerevoli piante ormai estinte, anche se la biodiversità sembra decisamente inferiore a quella attuale. Spiccano, ad esempio, felci ed equiseti dalle dimensioni arboree e alberi dai tronchi larghi 2m e alti circa 40m ma privi di rami e fronde. Con grande sorpresa dei ricercatori sono state ritrovate anche piante simili a mangrovie, organismi che si credeva si fossero sviluppati successivamente. Non mancano inoltre i fossili di alcuni animali, quali libellule dall'apertura alare di 60cm ed euripteridi, gli artropodi simili a scorpioni dalla lunghezza corporea che poteva raggiungere anche i 3m.
La foresta sarebbe sprofondata in seguito ad un imponente terremoto avvenuto circa 300 milioni di anni fa, rimanendo sepolta sotto un letto di fango che ne ha consentito la conservazione fino ad oggi.
L'importanza della scoperta si può capire anche dalle dimensioni: infatti, si tratta della più grande foresta fossile mai trovata, coprendo una superficie di circa 10.000 ettari, un'area quadrata di circa 10Km per lato.
Da oggi sarà dunque più facile ricostruire la composizione delle foreste pluviali del Carbonifero e capire in che modo si è evoluta la complessità e la grande diversità delle foreste attuali nel corso di milioni di anni.
Andrea Romano
Un francobollo italiano per Darwin
Anche il Ministero delle Comunicazioni nel 2009 celebrerà Darwin con un francobollo.
Ma già da ora parte con il piede sbagliato. Nel 2009 ricorrerà il bicentenario della nascita di Darwin e non il centenario.
Propongo di non divulgare la notizia.....se anche il francobollo dovesse riportare l'errore si ripeterà quello compiuto molti anni fa con il Gronchi rosa!!!!! con supervalutazioni alle stelle!!!!!!Propongo di prenotare subito pacchi di francobolli!!!!!!
Dal sito web Assodigitale riporto:
L’organo tecnico in materia di filatelia del Ministero delle Comunicazioni, la Consulta per l’emissione delle carte valori postali e la filatelia, presieduta dal Ministro Paolo Gentiloni, si è riunita per approvare il Programma delle emissioni 2008, avviare quello del 2009 ed esprimere parere sulle proposte di politica filatelica del Ministero.
Per l’anno 2009, oltre alle emissioni di rito (Europa 2009, che avrà per tema la Astronomia, Giornata della Filatelia, Manifestazione filatelica Nazionale) ricevono il parere favorevole della Consulta anche proposte dedicate al centenario della nascita del teorico dell’evoluzione della specie Charles Darwin, al 50° anniversario della morte di Don Luigi Sturzo, e all’ “l’insurrezione delle donne carraresi”, un episodio di determinante partecipazione delle donne alla resistenza all’occupazione nazista nella città di Carrara.
Paolo Coccia
Ma già da ora parte con il piede sbagliato. Nel 2009 ricorrerà il bicentenario della nascita di Darwin e non il centenario.
Propongo di non divulgare la notizia.....se anche il francobollo dovesse riportare l'errore si ripeterà quello compiuto molti anni fa con il Gronchi rosa!!!!! con supervalutazioni alle stelle!!!!!!Propongo di prenotare subito pacchi di francobolli!!!!!!
Dal sito web Assodigitale riporto:
L’organo tecnico in materia di filatelia del Ministero delle Comunicazioni, la Consulta per l’emissione delle carte valori postali e la filatelia, presieduta dal Ministro Paolo Gentiloni, si è riunita per approvare il Programma delle emissioni 2008, avviare quello del 2009 ed esprimere parere sulle proposte di politica filatelica del Ministero.
Per l’anno 2009, oltre alle emissioni di rito (Europa 2009, che avrà per tema la Astronomia, Giornata della Filatelia, Manifestazione filatelica Nazionale) ricevono il parere favorevole della Consulta anche proposte dedicate al centenario della nascita del teorico dell’evoluzione della specie Charles Darwin, al 50° anniversario della morte di Don Luigi Sturzo, e all’ “l’insurrezione delle donne carraresi”, un episodio di determinante partecipazione delle donne alla resistenza all’occupazione nazista nella città di Carrara.
Paolo Coccia
Pillole di Scienza
Alcuni studenti del Master in Comunicazione della Scienza della Sissa di Trieste hanno realizzato degli interessanti contributi scaricabili in podcasting sul sito di FormicaBlu.
Se dico Darwin cosa dici?
Cosa viene in mente alla gente quando si nominano Darwin o altri scienziati famosi? Che posto occupano questi personaggi nell’immaginario collettivo? Abbiamo scelto quattro scienziati di ieri e oggi e nel parco di Miramare di Trieste abbiamo chiesto ai passanti chi erano Charles Darwin, Gregor Mendel, Albert Einstein e Margherita Hack.
Godcasting
Scienza e fede oppure scienza o fede? Un dibattito che torna di attualità grazie al nuovo libro di Joseph Ratzinger, aka Papa Benedetto XVI, appena pubblicato in Germania. Per Ratzinger, la scienza è strutturalmente incapace di rispondere alle questioni filosofiche relative all’origine dell’uomo e dell’universo. Cosa ne pensa la nuova generazione di scienziati? La sintesi tra scienza e fede è possibile oppure è muro contro muro? Ne parliamo con Chiara Ceci e Andrea Bernagozzi, dell’Università degli Studi di Milano, e con una personalità delle alte sfere. Anzi, le altissime.E altri ancora...
Chiara Ceci
Se dico Darwin cosa dici?
Cosa viene in mente alla gente quando si nominano Darwin o altri scienziati famosi? Che posto occupano questi personaggi nell’immaginario collettivo? Abbiamo scelto quattro scienziati di ieri e oggi e nel parco di Miramare di Trieste abbiamo chiesto ai passanti chi erano Charles Darwin, Gregor Mendel, Albert Einstein e Margherita Hack.
Godcasting
Scienza e fede oppure scienza o fede? Un dibattito che torna di attualità grazie al nuovo libro di Joseph Ratzinger, aka Papa Benedetto XVI, appena pubblicato in Germania. Per Ratzinger, la scienza è strutturalmente incapace di rispondere alle questioni filosofiche relative all’origine dell’uomo e dell’universo. Cosa ne pensa la nuova generazione di scienziati? La sintesi tra scienza e fede è possibile oppure è muro contro muro? Ne parliamo con Chiara Ceci e Andrea Bernagozzi, dell’Università degli Studi di Milano, e con una personalità delle alte sfere. Anzi, le altissime.E altri ancora...
Chiara Ceci
Aumentano i gorilla di montagna!
Un censimento effettuato in Uganda ha rilevato l'aumento di circa il 6% delle popolazioni di gorilla di montagna.
Finalmente una buona notizia dal mondo della conservazione della fauna selvatica: le popolazioni del gorilla di montagna (Gorilla gorilla beringei) starebbero attraversando una fase di incremento demografico. Questa informazione perviene dall'ultimo censimento effettuato nel Bwindi Impenetrable National Park, in Uganda, tra i mesi di aprile e giugno del 2006. La popolazione di gorilla residente in questo parco sarebbe aumentata di circa il 6% dal momento dell'ultima stima demografica eseguita, risalente al 2002.
Secondo l'ultimo censimento, che ha visto per la prima volta l'utilizzo di analisi genetiche su campioni fecali per l'identificazione individuale, nel parco ugandese si conterebbe oggi una popolazione di 340 gorilla. Questo dato si contrappone ai 320 individui contati nel 2002 e i 300 nel 1997, a segnalare come la popolazione sia in salute. Il censimento ha anche previsto la divisione degli individui in fasce di età, sottolineando la presenza di numerosi giovani e piccoli ancora dipendenti dalle madri. Questo rappresenta senz'altro un ulteriore dato confortante. Inoltre, è stata segnalata la presenza di alcuni gruppi in zone fin'ora mai abitate.
Questo andamento positivo rispecchia quello di un'altra regione abitata storicamente dai gorilla e situata ai confini di Uganda, Rwanda e Repubblica Democratica del Congo. Nel complesso, nelle due zone si contano circa 720 esemplari, un risultato dei grandi sforzi per la conservazione di questi straordinari Primati. Si tratta, infatti, di uno dei pochi casi conosciuti in cui piccole popolazioni di Primati in pericolo siano in fase di crescita positiva.
Alla ricerca hanno preso parte numerose associazioni per la conservazione e la protezione delle specie animali, tra cui l' Uganda Wildlife Authority (http://www.uwa.or.ug/bwindi.html), la Wildlife Conservation Society (http://www.wcs.org/), il Max Planck Institute of Anthropology (http://www.eva.mpg.de/index.htm), l' Institute of Tropical Forest Conservation (http://www.itfc.org/index.htm), International Gorilla Conservation Programme (IGCP) e il World Wide Fund for Nature (WWF).
Andrea Romano
Finalmente una buona notizia dal mondo della conservazione della fauna selvatica: le popolazioni del gorilla di montagna (Gorilla gorilla beringei) starebbero attraversando una fase di incremento demografico. Questa informazione perviene dall'ultimo censimento effettuato nel Bwindi Impenetrable National Park, in Uganda, tra i mesi di aprile e giugno del 2006. La popolazione di gorilla residente in questo parco sarebbe aumentata di circa il 6% dal momento dell'ultima stima demografica eseguita, risalente al 2002.
Secondo l'ultimo censimento, che ha visto per la prima volta l'utilizzo di analisi genetiche su campioni fecali per l'identificazione individuale, nel parco ugandese si conterebbe oggi una popolazione di 340 gorilla. Questo dato si contrappone ai 320 individui contati nel 2002 e i 300 nel 1997, a segnalare come la popolazione sia in salute. Il censimento ha anche previsto la divisione degli individui in fasce di età, sottolineando la presenza di numerosi giovani e piccoli ancora dipendenti dalle madri. Questo rappresenta senz'altro un ulteriore dato confortante. Inoltre, è stata segnalata la presenza di alcuni gruppi in zone fin'ora mai abitate.
Questo andamento positivo rispecchia quello di un'altra regione abitata storicamente dai gorilla e situata ai confini di Uganda, Rwanda e Repubblica Democratica del Congo. Nel complesso, nelle due zone si contano circa 720 esemplari, un risultato dei grandi sforzi per la conservazione di questi straordinari Primati. Si tratta, infatti, di uno dei pochi casi conosciuti in cui piccole popolazioni di Primati in pericolo siano in fase di crescita positiva.
Alla ricerca hanno preso parte numerose associazioni per la conservazione e la protezione delle specie animali, tra cui l' Uganda Wildlife Authority (http://www.uwa.or.ug/bwindi.html), la Wildlife Conservation Society (http://www.wcs.org/), il Max Planck Institute of Anthropology (http://www.eva.mpg.de/index.htm), l' Institute of Tropical Forest Conservation (http://www.itfc.org/index.htm), International Gorilla Conservation Programme (IGCP) e il World Wide Fund for Nature (WWF).
Andrea Romano
I tre scimpanzè
Uno studio molecolare conferma la presenza di tre sottospecie ben definite del mammifero filogeneticamente più vicino a noi.
L'opinione tradizionale che vuole lo scimpanzè suddiviso in tre sottospecie, sulla base dei diversi areali di distribuzione, trova un'importante conferma da un'analisi molecolare sul genoma di questi Primati. Infatti, uno studio condotto da ricercatori di diverse università, tra cui l' Università di Chicago e pubblicato su PLoS Genetics, ha determinato che alla divisione geografica corrisponde una consistente diversità genetica, sufficiente per designarle come vere e proprie sottospecie: la popolazione più occidentale (Pan troglodytes verus), quella centrale (P. t. troglodytes) e quella orientale (P. t. schweinfurthii).
Tramite lo studio e l'analisi di DNA mitocondriale (mtDNA) e del cromosoma Y ricavati da 84 esemplari di sesso ed età differenti appartenenti alle diverse popolazioni, i ricercatori hanno potuto ipotizzare il periodo in cui le popolazioni si separarono. L'analisi ha preso in considerazione anche 6 individui di bonobo (Pan paniscus), la specie filogeneticamente più vicina allo scimpanzè. I risultati indicano che le popolazioni centrale e orientale risultano geneticamente più vicine tra loro rispetto a quella occidentale. La differenza tra bonomo e scimpanzè risulta ovviamente maggiore, anche se pari solamente a circa lo 0,3% dell'intero patrimonio genetico. Inoltre, lo studio evidenzia anche una minima percentuale di ibridi, a conferma del fatto che la differenza genetica sia dovuta all'isolamento fisico per la formazione di barriere naturali, in particolare fiumi, che gli scimpanzè difficilmente sono in grado di attraversare.
Nel complesso, questo studio potrà avere importanti ripercussioni in ambito conservazionistico, in quanto sarà necessario proteggere le tre differenti popolazioni nei tre differenti habitat, piuttosto che solamente uno.
L'articolo "Genetic Structure of Chimpanzee Population" è disponibile sul sito di PLoS Genetics.
Andrea Romano
L'opinione tradizionale che vuole lo scimpanzè suddiviso in tre sottospecie, sulla base dei diversi areali di distribuzione, trova un'importante conferma da un'analisi molecolare sul genoma di questi Primati. Infatti, uno studio condotto da ricercatori di diverse università, tra cui l' Università di Chicago e pubblicato su PLoS Genetics, ha determinato che alla divisione geografica corrisponde una consistente diversità genetica, sufficiente per designarle come vere e proprie sottospecie: la popolazione più occidentale (Pan troglodytes verus), quella centrale (P. t. troglodytes) e quella orientale (P. t. schweinfurthii).
Tramite lo studio e l'analisi di DNA mitocondriale (mtDNA) e del cromosoma Y ricavati da 84 esemplari di sesso ed età differenti appartenenti alle diverse popolazioni, i ricercatori hanno potuto ipotizzare il periodo in cui le popolazioni si separarono. L'analisi ha preso in considerazione anche 6 individui di bonobo (Pan paniscus), la specie filogeneticamente più vicina allo scimpanzè. I risultati indicano che le popolazioni centrale e orientale risultano geneticamente più vicine tra loro rispetto a quella occidentale. La differenza tra bonomo e scimpanzè risulta ovviamente maggiore, anche se pari solamente a circa lo 0,3% dell'intero patrimonio genetico. Inoltre, lo studio evidenzia anche una minima percentuale di ibridi, a conferma del fatto che la differenza genetica sia dovuta all'isolamento fisico per la formazione di barriere naturali, in particolare fiumi, che gli scimpanzè difficilmente sono in grado di attraversare.
Nel complesso, questo studio potrà avere importanti ripercussioni in ambito conservazionistico, in quanto sarà necessario proteggere le tre differenti popolazioni nei tre differenti habitat, piuttosto che solamente uno.
L'articolo "Genetic Structure of Chimpanzee Population" è disponibile sul sito di PLoS Genetics.
Andrea Romano
Altri contributi a Darwin in medicina
Non solo libri per capire il rapporto tra Darwin e la medicina
A partire dal contributo di Zampieri, è possibile rintracciare in rete o nelle librerie numerosi documenti che arricchiscono la nostra conoscenza della medicina darwiniana. Per esempio il libro di Gilberto Corbellini "EBM. Medicina basata sull'evoluzione" (già segnalato nei nostri consigli di lettura del 15 aprile), in cui lo storico della medicina cerca di instillare la teoria darwiniana anche nella medicina moderna. Oppure nell'articolo di Plos biology "Does medicine without evolution make sense?", un invito anche ai medici a allargare le loro conoscenze alla biologia teorica. E infine, ecco un podcast, Berkeley Groks; nella puntata del 28 febbraio scorso (il link indirizza direttamente a un file MP3) un'intervista a Sharon Moalem, un medico statunitense, che parla del suo libro "Survival of the sickest"; in esso cerca di spiegare molte malattie con prospettiva darwiniana.
Marco Ferrari
A partire dal contributo di Zampieri, è possibile rintracciare in rete o nelle librerie numerosi documenti che arricchiscono la nostra conoscenza della medicina darwiniana. Per esempio il libro di Gilberto Corbellini "EBM. Medicina basata sull'evoluzione" (già segnalato nei nostri consigli di lettura del 15 aprile), in cui lo storico della medicina cerca di instillare la teoria darwiniana anche nella medicina moderna. Oppure nell'articolo di Plos biology "Does medicine without evolution make sense?", un invito anche ai medici a allargare le loro conoscenze alla biologia teorica. E infine, ecco un podcast, Berkeley Groks; nella puntata del 28 febbraio scorso (il link indirizza direttamente a un file MP3) un'intervista a Sharon Moalem, un medico statunitense, che parla del suo libro "Survival of the sickest"; in esso cerca di spiegare molte malattie con prospettiva darwiniana.
Marco Ferrari
Steve Jones alla Royal Society
Conferenza di Steve Jones su "Creazionismo ed evoluzionismo"
A questo indirizzo potete trovare una lunga e interessantissima conferenza, tenuta alla Royal Society, di Steve Jones. Autore di moltissimi libri, brillanti e profondi allo stesso tempo, sull'evoluzione, Steve Jones parla sull'argomento "Perché il creazionismo è sbagliato e l'evoluzione è giusta". La particolarità è che la presentazione è perfetta, perché c'è il video, ovviamente l'audio e anche la presentazione con le slide. E' necessaria probabilmente una banda larga, ma il tutto è godibilissimo.
Marco Ferrari
A questo indirizzo potete trovare una lunga e interessantissima conferenza, tenuta alla Royal Society, di Steve Jones. Autore di moltissimi libri, brillanti e profondi allo stesso tempo, sull'evoluzione, Steve Jones parla sull'argomento "Perché il creazionismo è sbagliato e l'evoluzione è giusta". La particolarità è che la presentazione è perfetta, perché c'è il video, ovviamente l'audio e anche la presentazione con le slide. E' necessaria probabilmente una banda larga, ma il tutto è godibilissimo.
Marco Ferrari
Scappa, pesciolino, scappa!
Non erraticamente, pero', ma secondo un ordine cronologico ben preciso!
E' il Centro Marino Internazionale sito in provincia di Oristano, in Sardegna, ad aver portato a termina questa ricerca, diretta dallo zoologo Paolo Domenici e presentata all'ultimo Meeting annuale della Society for Experimental Biology, tenutosi a Glasgow meno di un mese fa. Domenici e' un esperto di comportamento, biomeccanica e fisiologia comportamentale dei pesci e si occupa principalmente di locomozione e comportamento anti-predazione. In questo studio i ricercatori hanno simulato attacchi ad intervalli regolari di dieci minuti di un predatore aereo, e hanno registrato con una fotocamera ad alta velocita' la reazione di sette piccoli banchi costituiti ognuno da dieci muggini dorati (Liza aurata). L'esperimento ha permesso di scoprire che esiste un ordine cronologico di fuga ben preciso e cioe' che alcuni individui fuggono per primi, avendo cosi' una possibilita' superiore di salvezza e determinando la conseguente risposta del resto del banco. L'ordine cronologico di fuga e' inoltre rispettato nei vari eventi di attacco che si succedono.
Secondo i ricercatori, cio' puo' suggerire che i membri del banco possiedano una gerarchia ben determinata, che porta alcuni di essi ad avere la "precedenza" quando si tratta di scampare all'attacco di un predatore: si tratta ora di verificare questa interessante ipotesi attraverso ulteriori indagini.
Paola Nardi
E' il Centro Marino Internazionale sito in provincia di Oristano, in Sardegna, ad aver portato a termina questa ricerca, diretta dallo zoologo Paolo Domenici e presentata all'ultimo Meeting annuale della Society for Experimental Biology, tenutosi a Glasgow meno di un mese fa. Domenici e' un esperto di comportamento, biomeccanica e fisiologia comportamentale dei pesci e si occupa principalmente di locomozione e comportamento anti-predazione. In questo studio i ricercatori hanno simulato attacchi ad intervalli regolari di dieci minuti di un predatore aereo, e hanno registrato con una fotocamera ad alta velocita' la reazione di sette piccoli banchi costituiti ognuno da dieci muggini dorati (Liza aurata). L'esperimento ha permesso di scoprire che esiste un ordine cronologico di fuga ben preciso e cioe' che alcuni individui fuggono per primi, avendo cosi' una possibilita' superiore di salvezza e determinando la conseguente risposta del resto del banco. L'ordine cronologico di fuga e' inoltre rispettato nei vari eventi di attacco che si succedono.
Secondo i ricercatori, cio' puo' suggerire che i membri del banco possiedano una gerarchia ben determinata, che porta alcuni di essi ad avere la "precedenza" quando si tratta di scampare all'attacco di un predatore: si tratta ora di verificare questa interessante ipotesi attraverso ulteriori indagini.
Paola Nardi
Scappa, pesciolino, scappa!
Non erraticamente, pero', ma secondo un ordine cronologico ben preciso!
E' il Centro Marino Internazionale sito in provincia di Oristano, in Sardegna, ad aver portato a termina questa ricerca, diretta dallo zoologo Paolo Domenici e presentata all'ultimo Meeting annuale della Society for Experimental Biology, tenutosi a Glasgow meno di un mese fa. Domenici e' un esperto di comportamento, biomeccanica e fisiologia comportamentale dei pesci e si occupa principalmente di locomozione e comportamento anti-predazione. In questo studio i ricercatori hanno simulato attacchi ad intervalli regolari di dieci minuti di un predatore aereo, e hanno registrato con una fotocamera ad alta velocita' la reazione di sette piccoli banchi costituiti ognuno da dieci muggini dorati (Liza aurata). L'esperimento ha permesso di scoprire che esiste un ordine cronologico di fuga ben preciso e cioe' che alcuni individui fuggono per primi, avendo cosi' una possibilita' superiore di salvezza e determinando la conseguente risposta del resto del banco. L'ordine cronologico di fuga e' inoltre rispettato nei vari eventi di attacco che si succedono.
Secondo i ricercatori, cio' puo' suggerire che i membri del banco possiedano una gerarchia ben determinata, che porta alcuni di essi ad avere la "precedenza" quando si tratta di scampare all'attacco di un predatore: si tratta ora di verificare questa interessante ipotesi attraverso ulteriori indagini.
Paola Nardi
E' il Centro Marino Internazionale sito in provincia di Oristano, in Sardegna, ad aver portato a termina questa ricerca, diretta dallo zoologo Paolo Domenici e presentata all'ultimo Meeting annuale della Society for Experimental Biology, tenutosi a Glasgow meno di un mese fa. Domenici e' un esperto di comportamento, biomeccanica e fisiologia comportamentale dei pesci e si occupa principalmente di locomozione e comportamento anti-predazione. In questo studio i ricercatori hanno simulato attacchi ad intervalli regolari di dieci minuti di un predatore aereo, e hanno registrato con una fotocamera ad alta velocita' la reazione di sette piccoli banchi costituiti ognuno da dieci muggini dorati (Liza aurata). L'esperimento ha permesso di scoprire che esiste un ordine cronologico di fuga ben preciso e cioe' che alcuni individui fuggono per primi, avendo cosi' una possibilita' superiore di salvezza e determinando la conseguente risposta del resto del banco. L'ordine cronologico di fuga e' inoltre rispettato nei vari eventi di attacco che si succedono.
Secondo i ricercatori, cio' puo' suggerire che i membri del banco possiedano una gerarchia ben determinata, che porta alcuni di essi ad avere la "precedenza" quando si tratta di scampare all'attacco di un predatore: si tratta ora di verificare questa interessante ipotesi attraverso ulteriori indagini.
Paola Nardi
È uscito lo speciale di Newton dedicato all’evoluzione dell’uomo
Oltre centoquaranta pagine di approfondimenti sulla nostra storia e sulle scoperte scientifiche che hanno portato a Homo sapiens
Quali sono state le tappe del nostro cammino evolutivo e come sono avvenute? Quali sono stati i principali protagonisti? La risposta a queste domande è il filo conduttore che accompagna attraverso le pagine dello speciale di Newton dedicato all’evoluzione dell’uomo. Si scopre così che la nostra storia non è il frutto di una lenta e lineare progressione verso la perfezione ma che, come tutte le altre specie, Homo sapiens è il risultato di una storia evolutiva che vede numerosi protagonisti – un vero e proprio cespuglio di ominidi - che hanno coabitato la terra e che si sono avvicendati nel tempo.
Grazie alle numerose scoperte di resti fossili si ha uno sguardo attento verso l”altra umanità” che ha vissuto sul nostro pianeta prima di noi, da Lucy, la nostra prima antenata bipede, scoperta nella zona dell'Afar (Etiopia)nel 1974, al ragazzo del Turkana, trovato in Kenya nel 1984, fino al recente rinvenimento nel 2000 a Dikika (Afar, Etiopia) di Selam, una “cucciola” di Australopitecus afarensis.E in più, tutte le straordinarie modificazioni del fisico che hanno portato all’uomo moderno e le origini e l’evoluzione degli organi, dall’intestino, che ha una storia di oltre 500 milioni di anni, al mento e alle labbra che risalgono a “soli” 7 milioni e 200mila anni.Oltre al cammino dell’uomo dall’Africa alla conquista dei continenti e alla storia del nostro “cugino” Neandertal, si ha uno sguardo attento ai traguardi della genetica e dell’antropologia molecolare e una riflessione sul futuro dell’uomo.
Questo è il sommario
Anna Pisapia
Quali sono state le tappe del nostro cammino evolutivo e come sono avvenute? Quali sono stati i principali protagonisti? La risposta a queste domande è il filo conduttore che accompagna attraverso le pagine dello speciale di Newton dedicato all’evoluzione dell’uomo. Si scopre così che la nostra storia non è il frutto di una lenta e lineare progressione verso la perfezione ma che, come tutte le altre specie, Homo sapiens è il risultato di una storia evolutiva che vede numerosi protagonisti – un vero e proprio cespuglio di ominidi - che hanno coabitato la terra e che si sono avvicendati nel tempo.
Grazie alle numerose scoperte di resti fossili si ha uno sguardo attento verso l”altra umanità” che ha vissuto sul nostro pianeta prima di noi, da Lucy, la nostra prima antenata bipede, scoperta nella zona dell'Afar (Etiopia)nel 1974, al ragazzo del Turkana, trovato in Kenya nel 1984, fino al recente rinvenimento nel 2000 a Dikika (Afar, Etiopia) di Selam, una “cucciola” di Australopitecus afarensis.E in più, tutte le straordinarie modificazioni del fisico che hanno portato all’uomo moderno e le origini e l’evoluzione degli organi, dall’intestino, che ha una storia di oltre 500 milioni di anni, al mento e alle labbra che risalgono a “soli” 7 milioni e 200mila anni.Oltre al cammino dell’uomo dall’Africa alla conquista dei continenti e alla storia del nostro “cugino” Neandertal, si ha uno sguardo attento ai traguardi della genetica e dell’antropologia molecolare e una riflessione sul futuro dell’uomo.
Questo è il sommario
Anna Pisapia
Gli spostamenti degli oranghi
Uno studio sottolinea come la modalità di spostamento tra alberi messa in atto dagli oranghi sia la meno dispendiosa in termini di energie consumate rispetto alle altre possibili.
Tutti gli appassionati di documentari sugli animali conoscono il tipico modo degli oranghi (Pongo pygmaeus) di muoversi di albero in albero. Quando si trovano alla sommità di un albero utilizzano un ramo flessibile per dondolarsi verso un albero adiacente. Questo modo di locomozione è certamente utile agli oranghi per evitare la predazione senza dover giungere al suolo, dove sarebbero senz'altro più vulnerabili. Uno studio pubblicato su Biology Letters indica che il dondolio, non solo è un metodo sicuro per muoversi nella giungla, ma è anche la modalità di locomozione meno dispendiosa.
Infatti, i ricercatori dell' Università di Birmingham guidati da Susannah Thorpe hanno calcolato la spesa energetica media di varie modalità di spostamento tra alberi diversi. Ebbene, con il dondolio gli oranghi consumano fino alla metà delle energie che spenderebbero saltando tra rami di alberi vicini e circa un decimo se il passaggio tra gli alberi avvenisse salendo e scendendo da essi. Gli oranghi, vivendo quasi solo sugli alberi, hanno evoluto una strategia economica e molto efficiente per superare le distanze tra alberi senza dover scendere a terra e rischiare di essere predati.
Andrea Romano
Tutti gli appassionati di documentari sugli animali conoscono il tipico modo degli oranghi (Pongo pygmaeus) di muoversi di albero in albero. Quando si trovano alla sommità di un albero utilizzano un ramo flessibile per dondolarsi verso un albero adiacente. Questo modo di locomozione è certamente utile agli oranghi per evitare la predazione senza dover giungere al suolo, dove sarebbero senz'altro più vulnerabili. Uno studio pubblicato su Biology Letters indica che il dondolio, non solo è un metodo sicuro per muoversi nella giungla, ma è anche la modalità di locomozione meno dispendiosa.
Infatti, i ricercatori dell' Università di Birmingham guidati da Susannah Thorpe hanno calcolato la spesa energetica media di varie modalità di spostamento tra alberi diversi. Ebbene, con il dondolio gli oranghi consumano fino alla metà delle energie che spenderebbero saltando tra rami di alberi vicini e circa un decimo se il passaggio tra gli alberi avvenisse salendo e scendendo da essi. Gli oranghi, vivendo quasi solo sugli alberi, hanno evoluto una strategia economica e molto efficiente per superare le distanze tra alberi senza dover scendere a terra e rischiare di essere predati.
Andrea Romano
Le mamme umane li preferiscono poco pelosi!
Sono i loro cuccioli, naturalmente, secondo un'ardita ipotesi di selezione parentale presentata dalla famosa psicologa americana Judith Rich-Harris.
La rivista scientifica Medical Hypotheses, ha recentemente annunciato il vincitore del David Horrobin Prize, che viene assegnato annualmente per il contributo piu' interessante nel campo delle teorie biomediche. Il premio e' intitolato al noto e controverso ricercatore David Horrobin, scomparso da qualche anno: autore scientifico estremamente prolifico (piu' di ottocento lavori pubblicati, insieme a una dozzina di libri) e grande esperto di metabolismo degli acidi grassi, egli ha avuto il grande coraggio di avanzare ipotesi davvero rivoluzionarie, fondando proprio la rivista Medical Hypotheses con l'intento di stimolare contributi originali e non scontati in campo biomedico. La Rich Harris, gia' autrice di due libri divulgativi su temi genetici e culturali quali The Nurture Assumption e No Two Alike, ha vinto con un suo lavoro intitolato "Parental selection: a third selection process in the evolution of human hairlessness and skin color".
Secondo l'autrice, la selezione parentale (specialmente materna) e' un terzo tipo di selezione (dopo quella naturale e quella sessuale) che gioca un ruolo importante in campo evolutivo, e nel caso di Homo sapiens moderno avrebbe rapidamente portato, insieme alla selezione sessuale, alla perdita della peluria caratteristica dei mammiferi, peculiarita' questa sopravvisuta tra tutti gli altri primati attuali. Le mamme preistoriche dunque, quando chiamate a decidere quali piccoli far sopravvivere, avrebbero preferito decisamente quelli da loro giudicati piu' attraenti, cioe' quelli particolarmente glabri, favorendo cosi' la diffusione di un fenotipo con quelle caratteristiche. E giusto per essere ancora piu' provocatoria, la Harris avanza l'ipotesi che i Neanderthal fossero particolarmente pelosi per sopravvivere alle temperature glaciali: in questo modo essi sarebbero caduti letteralmente preda dei sapiens, essendo da questi ultimi considerati veri e propri animali. Anche la pelle chiara tra le popolazioni umane settentrionali, secondo la Harris, potrebbe essere stata selezionata allo stesso modo: una preferenza sessuale maschile per compagne con pelle chiara, accompagnata da una preferenza delle madri per figlie con la stessa caratteristica.
Il breve saggio, ben scritto e argomentato, contiene soprattutto temi etnologici e culturali ma si chiude con un accenno alla necessita' e insieme alla possibilita' di verificare le ipotesi enunciate: per fare cio' la Harris spera che prima o poi emerga da un ghiacciaio il corpo di un Neanderthal ben conservato.... oppure, molto piu' realisticamente, spera di potersi affidare a studi di biologia molecolare, per capire da quando e quanto velocemente si sia verificata l'evoluzione di certe caratteristiche fenotipiche umane.
Paola Nardi
La rivista scientifica Medical Hypotheses, ha recentemente annunciato il vincitore del David Horrobin Prize, che viene assegnato annualmente per il contributo piu' interessante nel campo delle teorie biomediche. Il premio e' intitolato al noto e controverso ricercatore David Horrobin, scomparso da qualche anno: autore scientifico estremamente prolifico (piu' di ottocento lavori pubblicati, insieme a una dozzina di libri) e grande esperto di metabolismo degli acidi grassi, egli ha avuto il grande coraggio di avanzare ipotesi davvero rivoluzionarie, fondando proprio la rivista Medical Hypotheses con l'intento di stimolare contributi originali e non scontati in campo biomedico. La Rich Harris, gia' autrice di due libri divulgativi su temi genetici e culturali quali The Nurture Assumption e No Two Alike, ha vinto con un suo lavoro intitolato "Parental selection: a third selection process in the evolution of human hairlessness and skin color".
Secondo l'autrice, la selezione parentale (specialmente materna) e' un terzo tipo di selezione (dopo quella naturale e quella sessuale) che gioca un ruolo importante in campo evolutivo, e nel caso di Homo sapiens moderno avrebbe rapidamente portato, insieme alla selezione sessuale, alla perdita della peluria caratteristica dei mammiferi, peculiarita' questa sopravvisuta tra tutti gli altri primati attuali. Le mamme preistoriche dunque, quando chiamate a decidere quali piccoli far sopravvivere, avrebbero preferito decisamente quelli da loro giudicati piu' attraenti, cioe' quelli particolarmente glabri, favorendo cosi' la diffusione di un fenotipo con quelle caratteristiche. E giusto per essere ancora piu' provocatoria, la Harris avanza l'ipotesi che i Neanderthal fossero particolarmente pelosi per sopravvivere alle temperature glaciali: in questo modo essi sarebbero caduti letteralmente preda dei sapiens, essendo da questi ultimi considerati veri e propri animali. Anche la pelle chiara tra le popolazioni umane settentrionali, secondo la Harris, potrebbe essere stata selezionata allo stesso modo: una preferenza sessuale maschile per compagne con pelle chiara, accompagnata da una preferenza delle madri per figlie con la stessa caratteristica.
Il breve saggio, ben scritto e argomentato, contiene soprattutto temi etnologici e culturali ma si chiude con un accenno alla necessita' e insieme alla possibilita' di verificare le ipotesi enunciate: per fare cio' la Harris spera che prima o poi emerga da un ghiacciaio il corpo di un Neanderthal ben conservato.... oppure, molto piu' realisticamente, spera di potersi affidare a studi di biologia molecolare, per capire da quando e quanto velocemente si sia verificata l'evoluzione di certe caratteristiche fenotipiche umane.
Paola Nardi
Il morso dei primi anfibi
I primi anfibi colonizzarono le terre emerse dopo aver modificato la modalità di alimentazione. Cominciarono a mordere...
Il passaggio dei vertebrati dalle acque alle terre emerse potrebbe essere avvenuto in seguito alla modificazione del modo di nutrirsi da parte dei primi anfibi. Infatti, secondo un recente studio condotto da ricercatori dell' Università di Harvard e pubblicato su PNAS, Acanthostega, il primo anfibio apparso sulla terra circa 375 milioni di anni fa, avrebbe catturato le sue prede addentandole piuttosto che risucchiandole con la bocca. Questa modalità sembra essere più adeguata ad una caccia sulle terre emerse piuttosto che in acqua, ambiente più favorevole alla predazione tramite risucchio.
I ricercatori hanno analizzato le forme, le posizioni relative di alcune ossa del cranio ed i movimenti che esse compiono quando sono impegnati nelle diverse modalità di alimentazione, riuscendo a determinare da queste se un animale si nutre mordendo o risucchiando le prede. Tramite questa analisi, che ha previsto inoltre il confronto fra un pesce tutt'ora esistente, il dipnoo Polypterus, l'anfibio terrestre ormai estinto Phonerpeton, Acanthostega e il suo antenato pisciforme Eusthenopteron, i paleontologi hanno sancito che il primo anfibio apparso sulla terra si nutriva come i moderni coccodrilli, addentando le prede. Questa modificazione nella predazione potrebbe aver spinto questi organismi a cacciare appena fuori dall'acqua, guidandoli verso la colonizzazione di un nuovo ambiente.
L'uscita dall'acqua per il foraggiamento, quindi, rappresenterebbe il primo adattamento verso l'evoluzione di creature completamente terrestri, seguito poi da ulteriori modificazioni morfologiche e fisiologiche (ad esempio cambiamenti nella locomozione, nella respirazione, nella riproduzione...) che favorirono la conquista dell'infinità di nicchie ecologiche fornite dalle terre emerse.
Andrea Romano
Il passaggio dei vertebrati dalle acque alle terre emerse potrebbe essere avvenuto in seguito alla modificazione del modo di nutrirsi da parte dei primi anfibi. Infatti, secondo un recente studio condotto da ricercatori dell' Università di Harvard e pubblicato su PNAS, Acanthostega, il primo anfibio apparso sulla terra circa 375 milioni di anni fa, avrebbe catturato le sue prede addentandole piuttosto che risucchiandole con la bocca. Questa modalità sembra essere più adeguata ad una caccia sulle terre emerse piuttosto che in acqua, ambiente più favorevole alla predazione tramite risucchio.
I ricercatori hanno analizzato le forme, le posizioni relative di alcune ossa del cranio ed i movimenti che esse compiono quando sono impegnati nelle diverse modalità di alimentazione, riuscendo a determinare da queste se un animale si nutre mordendo o risucchiando le prede. Tramite questa analisi, che ha previsto inoltre il confronto fra un pesce tutt'ora esistente, il dipnoo Polypterus, l'anfibio terrestre ormai estinto Phonerpeton, Acanthostega e il suo antenato pisciforme Eusthenopteron, i paleontologi hanno sancito che il primo anfibio apparso sulla terra si nutriva come i moderni coccodrilli, addentando le prede. Questa modificazione nella predazione potrebbe aver spinto questi organismi a cacciare appena fuori dall'acqua, guidandoli verso la colonizzazione di un nuovo ambiente.
L'uscita dall'acqua per il foraggiamento, quindi, rappresenterebbe il primo adattamento verso l'evoluzione di creature completamente terrestri, seguito poi da ulteriori modificazioni morfologiche e fisiologiche (ad esempio cambiamenti nella locomozione, nella respirazione, nella riproduzione...) che favorirono la conquista dell'infinità di nicchie ecologiche fornite dalle terre emerse.
Andrea Romano
Piccoli cervelli per grandi costruzioni
L'uomo è il più abile costruttore tra i viventi? James L. Gould e Carol Grant Gould forniscono una possibile risposta nel loro interessantissimo libro intitolato " Animal Architects: Building and the Evolution of Intelligence" edito da Basic Book Inc.
Possiamo considerare l’uomo come detentore del primato di “migliore costruttore” in natura? A questa domanda la maggior parte delle persone risponderebbe molto probabilmente “si!” e citerebbe come esempi un’ampia pletora di oggetti realizzati dall’uomo (grattacieli, cattedrali, ponti, etc…) attestanti le enormi abilità di artigiano dell’Homo sapiens. Ma l’uomo ha realmente questo primato? Sicuramente ha dimostrato di avere le capacità di costruire oggetti la cui complessità è andata crescendo nel tempo, generazione dopo generazione, ma stiamo oggettivamente costruendo i migliori progetti tra i viventi?
Guardando con attenzione al mondo che ci circonda si possono facilmente trovare esempi in grado di dimostrare la fallacia di questa affermazione. Pensate, ad esempio, ai termitai: strutture perfettamente efficienti, climatizzate (senza alcun rischio di black out estivi!!) e caratterizzate da un’enorme stabilità e solidità. Se misurassimo i termitai, ne troveremmo alcuni in grado di arrivare sino a 6 metri di altezza, che, facendo le debite proporzioni, sarebbero equivalenti a grattacieli alti 4 km, ovvero altezze tali da fare impallidire gli ingegneri che hanno progettato l’Empire State Building (alto poco più di 440 metri) e la Sears Tower (alta 520 metri circa).
E cosa dire degli alveari e dell’elevatissima precisione con cui sono realizzati? Come possono gli insetti realizzare progetti così complessi? Dove risiede l’intelligenza necessaria a realizzare simili strutture? Per rispondere a queste domande James L. Gould (esperto di comportamento animale e Professore di Ecologia e Biologia Evoluzionistica presso la prestigiosa Princeton University) e Carol Grant Gould (giornalista scientifica) hanno recentemente pubblicato un interessantissimo libro (disponibile per ora solamente in inglese) intitolato “Animal Architects: Building and the Evolution of Intelligence” edito da Basic Book Inc.
Nel loro libro, gli Autori mostrano come gli animali possano produrre molte strutture e biomateriali di grande complessità e che al momento non hanno uguali tra i prodotti umani. Gli esempi che gli Autori citano sono numerosi e vanno dalla seta usata per realizzare la ragnatela dai ragni e dalle farfalle per i bozzoli, per passare in rassegna anche i nidi di numerosi uccelli e le tane di altri animali. Alcuni degli esempi presentati sono tali da far sì che anche il lettore più fazioso (in senso antropocentrico) non possa vedere vacillare il proprio ego ed il sentirsi “il primo della classe”.
Il libro non è tuttavia una semplice carrellata di costrutti animali, ma rappresenta anche una continua ricerca di capire dove e come si origini l’intelligenza necessaria per realizzare simili progetti. Per gli autori è evidente che dietro questi “edifici” non si nasconde un disegno frutto di una mente cosciente, ma un programma predefinito. Tuttavia, a questo riguardo, non può non sorprendere il fatto che simili abilità siano dovute ad una sorta di “pilota automatico” di cui questi animali sono dotati.
Un ulteriore aspetto di interesse (e che potrebbe spiegare gli incredibili risultati raggiunti) è che l’evoluzione ha permesso a questi animali di migliorare sempre più le proprie abilità grazie alla selezione a cui è stato sottoposto il programma genetico in cui risiede il loro “pilota automatico”. E’ quindi interessante notare come il libero arbitrio, tipico della nostra specie, abbia permesso la costruzione di oggetti complessi grazie al trasferimento di abilità da una generazione all’altra tramite una sorta di eredità culturale (che Dawkins direbbe essere dovuta a memi) e che il tutto si regga su una memoria culturale volatile, a differenza degli animali in cui queste abilità, pur se definite a priori e non modificabili arbitrariamente, sono stabilmente scritte nel genoma e per questo selezionate da milioni di anni.
L’ultimo colpo inferto da Gould & Gould all’ego dell’uomo come maestro artigiano viene dal gusto estetico, poiché anche nel regno animale esistono precisi canoni estetici che portano, ad esempio, numerosi uccelli ad ornare con fiori, piume, ossa e conchiglie i propri nidi al fine di attirare una compagna. Colpisce quindi come animali ed uomo, pur se dotati di diverse tipologie di intelligenza alla fine ricorrano agli stessi strumenti per “attirare” una compagna.
Mauro Mandrioli
James L. Gould e Carol Grant Gould
“Animal Architects: Building and the Evolution of Intelligence”
Basic Book Inc, 324pp (2007)
Prezzo Ufficiale: 26.95$ (ma in realtà è reperibile anche a prezzi di gran lunga più ridotti).
Possiamo considerare l’uomo come detentore del primato di “migliore costruttore” in natura? A questa domanda la maggior parte delle persone risponderebbe molto probabilmente “si!” e citerebbe come esempi un’ampia pletora di oggetti realizzati dall’uomo (grattacieli, cattedrali, ponti, etc…) attestanti le enormi abilità di artigiano dell’Homo sapiens. Ma l’uomo ha realmente questo primato? Sicuramente ha dimostrato di avere le capacità di costruire oggetti la cui complessità è andata crescendo nel tempo, generazione dopo generazione, ma stiamo oggettivamente costruendo i migliori progetti tra i viventi?
Guardando con attenzione al mondo che ci circonda si possono facilmente trovare esempi in grado di dimostrare la fallacia di questa affermazione. Pensate, ad esempio, ai termitai: strutture perfettamente efficienti, climatizzate (senza alcun rischio di black out estivi!!) e caratterizzate da un’enorme stabilità e solidità. Se misurassimo i termitai, ne troveremmo alcuni in grado di arrivare sino a 6 metri di altezza, che, facendo le debite proporzioni, sarebbero equivalenti a grattacieli alti 4 km, ovvero altezze tali da fare impallidire gli ingegneri che hanno progettato l’Empire State Building (alto poco più di 440 metri) e la Sears Tower (alta 520 metri circa).
E cosa dire degli alveari e dell’elevatissima precisione con cui sono realizzati? Come possono gli insetti realizzare progetti così complessi? Dove risiede l’intelligenza necessaria a realizzare simili strutture? Per rispondere a queste domande James L. Gould (esperto di comportamento animale e Professore di Ecologia e Biologia Evoluzionistica presso la prestigiosa Princeton University) e Carol Grant Gould (giornalista scientifica) hanno recentemente pubblicato un interessantissimo libro (disponibile per ora solamente in inglese) intitolato “Animal Architects: Building and the Evolution of Intelligence” edito da Basic Book Inc.
Nel loro libro, gli Autori mostrano come gli animali possano produrre molte strutture e biomateriali di grande complessità e che al momento non hanno uguali tra i prodotti umani. Gli esempi che gli Autori citano sono numerosi e vanno dalla seta usata per realizzare la ragnatela dai ragni e dalle farfalle per i bozzoli, per passare in rassegna anche i nidi di numerosi uccelli e le tane di altri animali. Alcuni degli esempi presentati sono tali da far sì che anche il lettore più fazioso (in senso antropocentrico) non possa vedere vacillare il proprio ego ed il sentirsi “il primo della classe”.
Il libro non è tuttavia una semplice carrellata di costrutti animali, ma rappresenta anche una continua ricerca di capire dove e come si origini l’intelligenza necessaria per realizzare simili progetti. Per gli autori è evidente che dietro questi “edifici” non si nasconde un disegno frutto di una mente cosciente, ma un programma predefinito. Tuttavia, a questo riguardo, non può non sorprendere il fatto che simili abilità siano dovute ad una sorta di “pilota automatico” di cui questi animali sono dotati.
Un ulteriore aspetto di interesse (e che potrebbe spiegare gli incredibili risultati raggiunti) è che l’evoluzione ha permesso a questi animali di migliorare sempre più le proprie abilità grazie alla selezione a cui è stato sottoposto il programma genetico in cui risiede il loro “pilota automatico”. E’ quindi interessante notare come il libero arbitrio, tipico della nostra specie, abbia permesso la costruzione di oggetti complessi grazie al trasferimento di abilità da una generazione all’altra tramite una sorta di eredità culturale (che Dawkins direbbe essere dovuta a memi) e che il tutto si regga su una memoria culturale volatile, a differenza degli animali in cui queste abilità, pur se definite a priori e non modificabili arbitrariamente, sono stabilmente scritte nel genoma e per questo selezionate da milioni di anni.
L’ultimo colpo inferto da Gould & Gould all’ego dell’uomo come maestro artigiano viene dal gusto estetico, poiché anche nel regno animale esistono precisi canoni estetici che portano, ad esempio, numerosi uccelli ad ornare con fiori, piume, ossa e conchiglie i propri nidi al fine di attirare una compagna. Colpisce quindi come animali ed uomo, pur se dotati di diverse tipologie di intelligenza alla fine ricorrano agli stessi strumenti per “attirare” una compagna.
Mauro Mandrioli
James L. Gould e Carol Grant Gould
“Animal Architects: Building and the Evolution of Intelligence”
Basic Book Inc, 324pp (2007)
Prezzo Ufficiale: 26.95$ (ma in realtà è reperibile anche a prezzi di gran lunga più ridotti).
Il diario di bordo redatto da Darwin, giorno per giorno, durante il viaggio sulla Beagle
Un altro tassello per comporre il quadro completo delle opere di Darwin presenti sul web a testo completo.
In questo caso l'autore Roger R. sta pazientemente archiviando i testi di Darwin redatti, giorno dopo giorno, durante il viaggio sul Beagle. Alla data odierna sono stati archiviati complessivamente circa quattro mesi di traversata.
Paolo Coccia
In questo caso l'autore Roger R. sta pazientemente archiviando i testi di Darwin redatti, giorno dopo giorno, durante il viaggio sul Beagle. Alla data odierna sono stati archiviati complessivamente circa quattro mesi di traversata.
Paolo Coccia
I believe in science
Una maglietta in difesa della scienza
Presso il sito web http://www.ibelieveinscience.com/ è in vendita la maglietta a sostegno della scienza. Così recita il testo contenuto nel sito:The tree sprouts from the dot in the letter i, which is meant to represent the idea of the single common ancestor. Arrows and leaves signify continuing evolution and growth, and the statement I believe in science makes a firm declaration without openly bashing those with opposing viewpoints on the origins of life.
Paolo Coccia
Presso il sito web http://www.ibelieveinscience.com/ è in vendita la maglietta a sostegno della scienza. Così recita il testo contenuto nel sito:The tree sprouts from the dot in the letter i, which is meant to represent the idea of the single common ancestor. Arrows and leaves signify continuing evolution and growth, and the statement I believe in science makes a firm declaration without openly bashing those with opposing viewpoints on the origins of life.
Paolo Coccia
Omofonie e Kakografie
(Son riportate parole o frasi tratte da compiti scritti di biologia generale o di antropologia svolti da studenti universitari al primo anno)
feet-back
Anthropoigea ...
pietre tipo felci
mano opponibile
quadripede
celebrale
branchiazione
i cuspidi
A.afanensis
H.rudolforus
H.hergianser
lobi oculari
diffesa Ingridi
squoiare
proscime (=proscimmie)
biologigi
Sardenia
Attorno al nucleo cellulare ruotano elettroni, neuroni e protoni
Si evidenzia l'esistenza di problemi nella comprensione di quanto studiato e nell'uso dei termini. Occorre prendere atto che ci possono essere, dal punto di vista del docente, situazioni difficili e risolvibili solo con iniziative mirate al singolo studente. Poco può fare il docente per risolvere questi problemi (di solito conseguenza di una formazione pecedente per mille motivi, magari non imputabili allo studente, non adeguata agli studi universitari) se lo studente non ne prende atto e decide di impegnarsi e di chiedere un aiuto, magari inizialmente anche ai compagni di corso, per risolverli.
Puo' essere utile e magari necessario:
Abituarsi a consultare costantemente Glossari (ce ne sono anche on line: - Ecologia - Genetica - Filogenesi - (Antropologia - Antropologi - Antropometria- Etnologia - Paleoantropologia))
Consultare Glossari on line anche in Inglese: Natural sciences - Primatological definitions - Primate evolution - Biology - Biology - Paleoanthropology - Paleoanthropology - Anthropology
Leggere più (e meglio) libri sulle discipline che si è scelto di studiare all'università, al di là dell'impegno richiesto per superare gli esami. I libri, frutto in genere di un accurato lavoro di progettazione, stesura e verifica, sono lo strumento migliore per imparare, e non sono sostituibili con altri strumenti didattici (che di solito hanno un livello di approfondimento minore), utili comunque come strumento per avvicinarsi ai libri.
Considerare che ci sono evidentemente anche differenze fra gli studenti che derivano dalla formazione preuniversitaria; possono essere penalizzanti anche in futuro se non vengono evidenziate, affrontate e risolte il più rapidamente possibile.
Verificare e migliorare le proprie strategie di apprendimento, consultando gratuitamente gli esperti.
Daniele Formenti
feet-back
Anthropoigea ...
pietre tipo felci
mano opponibile
quadripede
celebrale
branchiazione
i cuspidi
A.afanensis
H.rudolforus
H.hergianser
lobi oculari
diffesa Ingridi
squoiare
proscime (=proscimmie)
biologigi
Sardenia
Attorno al nucleo cellulare ruotano elettroni, neuroni e protoni
Si evidenzia l'esistenza di problemi nella comprensione di quanto studiato e nell'uso dei termini. Occorre prendere atto che ci possono essere, dal punto di vista del docente, situazioni difficili e risolvibili solo con iniziative mirate al singolo studente. Poco può fare il docente per risolvere questi problemi (di solito conseguenza di una formazione pecedente per mille motivi, magari non imputabili allo studente, non adeguata agli studi universitari) se lo studente non ne prende atto e decide di impegnarsi e di chiedere un aiuto, magari inizialmente anche ai compagni di corso, per risolverli.
Puo' essere utile e magari necessario:
Abituarsi a consultare costantemente Glossari (ce ne sono anche on line: - Ecologia - Genetica - Filogenesi - (Antropologia - Antropologi - Antropometria- Etnologia - Paleoantropologia))
Consultare Glossari on line anche in Inglese: Natural sciences - Primatological definitions - Primate evolution - Biology - Biology - Paleoanthropology - Paleoanthropology - Anthropology
Leggere più (e meglio) libri sulle discipline che si è scelto di studiare all'università, al di là dell'impegno richiesto per superare gli esami. I libri, frutto in genere di un accurato lavoro di progettazione, stesura e verifica, sono lo strumento migliore per imparare, e non sono sostituibili con altri strumenti didattici (che di solito hanno un livello di approfondimento minore), utili comunque come strumento per avvicinarsi ai libri.
Considerare che ci sono evidentemente anche differenze fra gli studenti che derivano dalla formazione preuniversitaria; possono essere penalizzanti anche in futuro se non vengono evidenziate, affrontate e risolte il più rapidamente possibile.
Verificare e migliorare le proprie strategie di apprendimento, consultando gratuitamente gli esperti.
Daniele Formenti
Sequenziata proteina del Tirannosauro
E' stata sequenziata una molecola di collagene rinvenuta in un fossile di Tyrannosaurus rex risalente a circa 68 milioni da anni fa. Fino ad oggi si pensava che le molecole organiche potessero conservarsi nei fossili non oltre 1 milione di anni.
Un gruppo di ricercatori della North Carolina State University (NCSU) e della Harvard Medical School, guidato da Mary Schweitzer e finanziato dal National Science Foundation (NSF), ha recuperato una proteina da un tessuto molle di un Tyrannosaurus rex vissuto circa 68 milioni di anni fa. La notizia, apparsa sulle pagine della rivista Science, ha dell'incredibile, in quanto fino ad oggi la comunità paleontologica mondiale era concorde sulla durata di massimo 1 milioni di anni dei tessuti organici all'interno dei resti fossili. Infatti, durante la fossilizzazione, i tessuti cominciano ad essere sostituiti da sostanze minerali e si credeva impossibile che il mantenimento di materiale organico potesse durare molto tempo dopo la fine del processo di sostituzione.
La proteina proviene da un osso della gamba di un Tirannosauro rinvenuto nei sedimenti di Hell Creek, nel Montana. A prima vista gli studiosi hanno pensato che poteva trattarsi di collagene, una proteina fibrosa molto abbondante nei tessuti ossei. Tuttavia, per l'identificazione sono state effettuate numerose analisi, dall'osservazione al microscopio elettronico al trattamento con differenti anticorpi in grado di reagire con la presunta molecola, fino all'utilizzo di una tecnica di spettroscopia di massa. Quest'ultima analisi ha dato la prova definitiva che la proteina in questione era davvero collagene.
Successivamente la proteina è stata sequenziata da un team di esperti e inserita in un database contente le sequenze geniche di numerose specie attuali. Dai risultati dell'allineamento emerge un'elevata similarità con l'omologa proteina di pollo, confermando l'ipotesi che vede i dinosauri strettamente imparentati agli uccelli attuali.
Nel complesso, questa scoperta potrebbe rappresentare un punto di partenza verso analisi più approfondite dei fossili ben conservati alla ricerca di altro materiale organico che potrebbe risultare utile nelle ricostruzioni filogenetiche.
La foto è tratta di Wikipedia.
Andrea Romano
Un gruppo di ricercatori della North Carolina State University (NCSU) e della Harvard Medical School, guidato da Mary Schweitzer e finanziato dal National Science Foundation (NSF), ha recuperato una proteina da un tessuto molle di un Tyrannosaurus rex vissuto circa 68 milioni di anni fa. La notizia, apparsa sulle pagine della rivista Science, ha dell'incredibile, in quanto fino ad oggi la comunità paleontologica mondiale era concorde sulla durata di massimo 1 milioni di anni dei tessuti organici all'interno dei resti fossili. Infatti, durante la fossilizzazione, i tessuti cominciano ad essere sostituiti da sostanze minerali e si credeva impossibile che il mantenimento di materiale organico potesse durare molto tempo dopo la fine del processo di sostituzione.
La proteina proviene da un osso della gamba di un Tirannosauro rinvenuto nei sedimenti di Hell Creek, nel Montana. A prima vista gli studiosi hanno pensato che poteva trattarsi di collagene, una proteina fibrosa molto abbondante nei tessuti ossei. Tuttavia, per l'identificazione sono state effettuate numerose analisi, dall'osservazione al microscopio elettronico al trattamento con differenti anticorpi in grado di reagire con la presunta molecola, fino all'utilizzo di una tecnica di spettroscopia di massa. Quest'ultima analisi ha dato la prova definitiva che la proteina in questione era davvero collagene.
Successivamente la proteina è stata sequenziata da un team di esperti e inserita in un database contente le sequenze geniche di numerose specie attuali. Dai risultati dell'allineamento emerge un'elevata similarità con l'omologa proteina di pollo, confermando l'ipotesi che vede i dinosauri strettamente imparentati agli uccelli attuali.
Nel complesso, questa scoperta potrebbe rappresentare un punto di partenza verso analisi più approfondite dei fossili ben conservati alla ricerca di altro materiale organico che potrebbe risultare utile nelle ricostruzioni filogenetiche.
La foto è tratta di Wikipedia.
Andrea Romano
Le migrazioni delle megattere
La migrazione più lunga tra i mammiferi è messa in atto dalle megattere che si spostano dalle acque dell'Antartide a quelle delle zone più temperate dell'America Centrale durante i mesi dell' inverno australe.
Uno studio, condotto da Kristin Rasmussen e collaboratori del Cascadia Research Collective, ha documentato la migrazione più lunga operata da una specie di mammiferi. La specie in questione è la megattera (Megaptera novaeangliae) e la distanza percorsa raggiunge gli 8400 Km, pari alla distanza tra l'Antartide e le coste centroamericane del Costarica.
I ricercatori hanno monitorato numerosi individui di megattera, di età e sesso differenti, dalle madri con i piccoli ai gruppi costituiti solo da maschi, tramite procedure di fotoidentificazione. Hanno quindi verificato che gli spostamenti verso le zone equatoriali (entro i 20 gradi di latitudine di entrambi gli emisferi) avvengono durante l'inverno australe, mentre verso l'Antartide nei mesi estivi.
Questo comportamento può rinforzare l'ipotesi, caldeggiata da molti anni ma mai dimostrata, che le megattere migrino durante i mesi invernali per svernare in zone dove l'acqua è più calda e ricca di nutrienti. Infatti, la temperatura media delle zone di svernamento, comprese tra l'Ecuador e la Costarica, è compresa tra 24 e 28 C e le coste pacifiche dell'America Centrale sono interessate da un intenso fenomeno di upwelling, caratterizzato dalla risalita di nutrienti dai fondali per mezzo delle correnti sottomarine. Le megattere, così, si sposterebbero nelle regioni calde per consumare minori risorse energetiche nei processi di termoregolazione e ottenere maggiori quantità di cibo. Gli individui che maggiormente beneficiano di tale comportamento sarebbero i giovani ancora in fase di crescita che potrebbero utilizzare le energie risparmiate nei processi metabolici per aumentare di dimensioni ed ottenere in futuro un maggior successo riproduttivo.
Sarebbe proprio questo vantaggio, affermano i ricercatori, che spinge questa lunghissima migrazione, altrimenti difficilmente spiegabile.
L'articolo è apparso sulla rivista Biology Letters.
Andrea Romano
Uno studio, condotto da Kristin Rasmussen e collaboratori del Cascadia Research Collective, ha documentato la migrazione più lunga operata da una specie di mammiferi. La specie in questione è la megattera (Megaptera novaeangliae) e la distanza percorsa raggiunge gli 8400 Km, pari alla distanza tra l'Antartide e le coste centroamericane del Costarica.
I ricercatori hanno monitorato numerosi individui di megattera, di età e sesso differenti, dalle madri con i piccoli ai gruppi costituiti solo da maschi, tramite procedure di fotoidentificazione. Hanno quindi verificato che gli spostamenti verso le zone equatoriali (entro i 20 gradi di latitudine di entrambi gli emisferi) avvengono durante l'inverno australe, mentre verso l'Antartide nei mesi estivi.
Questo comportamento può rinforzare l'ipotesi, caldeggiata da molti anni ma mai dimostrata, che le megattere migrino durante i mesi invernali per svernare in zone dove l'acqua è più calda e ricca di nutrienti. Infatti, la temperatura media delle zone di svernamento, comprese tra l'Ecuador e la Costarica, è compresa tra 24 e 28 C e le coste pacifiche dell'America Centrale sono interessate da un intenso fenomeno di upwelling, caratterizzato dalla risalita di nutrienti dai fondali per mezzo delle correnti sottomarine. Le megattere, così, si sposterebbero nelle regioni calde per consumare minori risorse energetiche nei processi di termoregolazione e ottenere maggiori quantità di cibo. Gli individui che maggiormente beneficiano di tale comportamento sarebbero i giovani ancora in fase di crescita che potrebbero utilizzare le energie risparmiate nei processi metabolici per aumentare di dimensioni ed ottenere in futuro un maggior successo riproduttivo.
Sarebbe proprio questo vantaggio, affermano i ricercatori, che spinge questa lunghissima migrazione, altrimenti difficilmente spiegabile.
L'articolo è apparso sulla rivista Biology Letters.
Andrea Romano
The official Stephen Jay Gould archive
E' finalmente in cantiere il sito ufficiale del compianto S.J. Gould. Collegatevi all'indirizzo web sjgarchive e sfogliate le sezioni ancora in costruzione ma già ricche di documenti, testi e informazioni su Gould.
Potete iniziare a sfogliare una breve biografia. Nella sezione cyberOFFICE potete sfogliare e seguire le lezioni del corso di Harvard, History of Earth and Life (B16). Nella sezione cyberAUDITORIUM potete assistere a 20 Lectures del 2002. Nella sezione cyberLIBRARY sono attualmente disponibili integralmente due suoi libri: Ontogeny and Phylogeny e Time's Arrow Time's Cycle. E infine segnalo la sezione News Headlines con, ovviamente, gli annunci di news scientifiche pubblicate su riviste e quotidiani americani.
Tenete d'occhio il sito per monitorare i successivi aggiornamenti che non si faranno attendere!!!!!!!
Paolo Coccia
Potete iniziare a sfogliare una breve biografia. Nella sezione cyberOFFICE potete sfogliare e seguire le lezioni del corso di Harvard, History of Earth and Life (B16). Nella sezione cyberAUDITORIUM potete assistere a 20 Lectures del 2002. Nella sezione cyberLIBRARY sono attualmente disponibili integralmente due suoi libri: Ontogeny and Phylogeny e Time's Arrow Time's Cycle. E infine segnalo la sezione News Headlines con, ovviamente, gli annunci di news scientifiche pubblicate su riviste e quotidiani americani.
Tenete d'occhio il sito per monitorare i successivi aggiornamenti che non si faranno attendere!!!!!!!
Paolo Coccia
Afidi, batteri e tolleranza alle alte temperature
Una singola mutazione puntiforme in un batterio controlla la tolleranza alle alte temperature della specie di afide con cui ha una relazione simbiontica.
Una singola mutazione puntiforme in un organismo è in grado di influenzare la fitness di un'altro di una specie differente. Questo fenomeno si manifesta nell'associazione simbiontica tra l'afide Acyrthosiphon pisum e i batteri che vivono al suo interno della specie Buchnera aphidicola. Essi forniscono all'ospite gli aminoacidi che l'afide non è in grado di sintetizzare ed in cambio ottengono fonti di carbonio e un luogo dove proliferare.
Uno studio, pubblicato sulla rivista open access PLoS Biology e condotto dalla biologa Helen Dunbar e colleghi dell'Università dell'Arizona, ha focalizzato l'attenzione sul modo in cui i batteri Buchera influiscono sulla fitness degli afidi in base alla temperatura a cui sono esposti. Infatti, questi batteri in presenza di alte temperature sono in grado di attivare geni "heat shock" che producono proteine capaci di resistere alla degradazione da calore. I ricercatori hanno quindi incubato per alcune ore a 35 °C vari ceppi di Buchera aphidicola: alcuni producevano molte proteine "heat shock" mentre altri no. Una successiva analisi molecolare ha sottolineato che i diversi ceppi batterici differivano a livello di DNA solamente per una piccola delezione, pari ad una sola base, nella regione regolatrice di tali geni.
Quali sono però le conseguenze di tale diversità nei batteri sull'ospite A. pisum? Ebbene, gli afidi simbionti con i batteri che presentano la delezione risultano avere un tasso riproduttivo significativamente inferiore ad alte temperature, come conseguenza della morte di molti batteri, e una minore vitalità. La compromissione della sopravvivenza di questa specie di afidi alle alte temperature deriva, quindi, non da una mutazione nel genoma degli afidi stessi, bensì in quello del batterio con il quale essi sono in simbiosi.
Tuttavia, essendo questa mutazione molto comune nelle popolazioni naturali, i ricercatori si sono chiesti in che modo essa potrebbe conferire, in altre condizioni, un vantaggio tale da essere mantenuta e fissata nel genoma della specie. Un'ulteriore analisi ha messo in evidenza che la stessa mutazione, molto negativa ad alte temperature, è in grado di conferire un notevole vantaggio riproduttivo nell'optimum termico dei batteri pari a circa 15-20 °C. Infatti, tra i 15 e i 20 °C, gli afidi contenenti batteri con la delezione si riproducono molto più velocemente degli altri. Lo stesso gene, dunque, in determinate condizioni ambientali sembra penalizzare sopravvivenza e riproduzione mentre in altre le favorisce, mantenendosi quindi nella popolazione.
Questo studio mette in luce ancora una volta l'importanza e la complessità delle relazioni tra le diverse specie in natura e la possibilità che le condizioni ambientali siano determinanti nel mantenimento di un elevato polimorfismo nelle popolazioni.
Dunbar HE, Wilson ACC, Ferguson NR, Moran NA (2007) Aphid thermal tolerance is governed by a point mutation in bacterial symbionts. PLoS Biol 5(5), e96
Andrea Romano
Una singola mutazione puntiforme in un organismo è in grado di influenzare la fitness di un'altro di una specie differente. Questo fenomeno si manifesta nell'associazione simbiontica tra l'afide Acyrthosiphon pisum e i batteri che vivono al suo interno della specie Buchnera aphidicola. Essi forniscono all'ospite gli aminoacidi che l'afide non è in grado di sintetizzare ed in cambio ottengono fonti di carbonio e un luogo dove proliferare.
Uno studio, pubblicato sulla rivista open access PLoS Biology e condotto dalla biologa Helen Dunbar e colleghi dell'Università dell'Arizona, ha focalizzato l'attenzione sul modo in cui i batteri Buchera influiscono sulla fitness degli afidi in base alla temperatura a cui sono esposti. Infatti, questi batteri in presenza di alte temperature sono in grado di attivare geni "heat shock" che producono proteine capaci di resistere alla degradazione da calore. I ricercatori hanno quindi incubato per alcune ore a 35 °C vari ceppi di Buchera aphidicola: alcuni producevano molte proteine "heat shock" mentre altri no. Una successiva analisi molecolare ha sottolineato che i diversi ceppi batterici differivano a livello di DNA solamente per una piccola delezione, pari ad una sola base, nella regione regolatrice di tali geni.
Quali sono però le conseguenze di tale diversità nei batteri sull'ospite A. pisum? Ebbene, gli afidi simbionti con i batteri che presentano la delezione risultano avere un tasso riproduttivo significativamente inferiore ad alte temperature, come conseguenza della morte di molti batteri, e una minore vitalità. La compromissione della sopravvivenza di questa specie di afidi alle alte temperature deriva, quindi, non da una mutazione nel genoma degli afidi stessi, bensì in quello del batterio con il quale essi sono in simbiosi.
Tuttavia, essendo questa mutazione molto comune nelle popolazioni naturali, i ricercatori si sono chiesti in che modo essa potrebbe conferire, in altre condizioni, un vantaggio tale da essere mantenuta e fissata nel genoma della specie. Un'ulteriore analisi ha messo in evidenza che la stessa mutazione, molto negativa ad alte temperature, è in grado di conferire un notevole vantaggio riproduttivo nell'optimum termico dei batteri pari a circa 15-20 °C. Infatti, tra i 15 e i 20 °C, gli afidi contenenti batteri con la delezione si riproducono molto più velocemente degli altri. Lo stesso gene, dunque, in determinate condizioni ambientali sembra penalizzare sopravvivenza e riproduzione mentre in altre le favorisce, mantenendosi quindi nella popolazione.
Questo studio mette in luce ancora una volta l'importanza e la complessità delle relazioni tra le diverse specie in natura e la possibilità che le condizioni ambientali siano determinanti nel mantenimento di un elevato polimorfismo nelle popolazioni.
Dunbar HE, Wilson ACC, Ferguson NR, Moran NA (2007) Aphid thermal tolerance is governed by a point mutation in bacterial symbionts. PLoS Biol 5(5), e96
Andrea Romano
Il libro che vorrei
Quante volte siamo usciti da una libreria senza il libro che stavamo cercando, perché ancora nessuno l’ha mai scritto? Quante volte avremmo voluto leggere un libro che molto probabilmente non esiste ancora?
Adesso è possibile chiedere quel libro. Come? Attraverso una cartolina elettronica da inviare a FEST, la Fiera Italiana dell'editoria scientifica Trieste. Basta un minuto per farci conoscere il libro di scienza dei vostri desideri! E chissà, forse un editore trasformerà in realtà il libro che non c’è.
Chiara Ceci
Adesso è possibile chiedere quel libro. Come? Attraverso una cartolina elettronica da inviare a FEST, la Fiera Italiana dell'editoria scientifica Trieste. Basta un minuto per farci conoscere il libro di scienza dei vostri desideri! E chissà, forse un editore trasformerà in realtà il libro che non c’è.
Chiara Ceci
Qualche cenno sullo sviluppo della medicina darwiniana
Fabio Zampieri, ricercatore in storia del pensiero medico e biologico (che ora studia al Wellcome Trust Center in UK), ha scritto un articolo per Pikaia, sulla medicina darwiniana, che volentieri pubblichiamo. Eccolo!
Paolo Coccia
Paolo Coccia
Segnalazioni di pubblicazioni italiane sull'evoluzione
la Rivista dei Libri, Le Scienze, L'Arco di Giano, Darwin, L’Ateo
la Rivista dei Libri, aprile 2007
Gilberto Corbellini
Evoluzione e politica, recensione dei libri di Telmo Pievani, Creazione senza Dio, Torino, Einaudi e Michael Shermer, Why Darwin Matters. The Case Against Intelligent Design, New York, Times Books
dal sito web riporto:
Un equivoco di fondo alimenta il dibattito italiano sull'evoluzionismo, che a tratti cerca di scimiottare la battaglia culturale, questa sí cruenta, in corso negli Stati Uniti tra neocreazionisti ed evoluzionisti. L'equivoco consiste nell'assumere, da parte di alcuni intellettuali italiani, non la difesa della libertà di studiare scientificamente l'evoluzione biologica della specie umana, indipendentemente da quello che ne potrebbe venir fuori, ma di una particolare interpretazione filosofica e politica dell'evoluzionismo. Di un evoluzionismo "politicamente corretto", proposto come espressione della laicità e del pluralismo della scienza: qualora insegnato e divulgato, dovrebbe quasi necessariamente produrre l'adesione a un sistema di valori democratico-progressisti, e dimostrarsi al tempo stesso compatibile con una funzione moralmente positiva della religione.
LE SCIENZE, Aprile 2007
Carl Zimmer
Evoluti per il cancro?
La selezione naturale non ha eliminato il cancro dalla nostra specie, ma anzi sembra aver conservato alcuni geni che contribuiscono a renderlo più aggressivo
Assassinio nel Mesozoico
Raymond R. Rogers e David W. Krause
Era un vecchio caso irrisolto: le ossa avevano 70 milioni di anni. Ma c'erano indizi chiave che rivelavano l'identità del killer
Le iguane di Cerro Dragón
Gabriele Gentile
Le popolazioni di iguane delle Galápagos, decimate fino agli anni settanta, stanno rifiorendo. Ma con quali conseguenze sulla diversità genetica?
Il potere dell'RNA
Ronald R. Breaker e Jeffrey E. Barrick
La scoperta di molecole sopravvissute a un mondo dominato dall'RNA apre la strada a nuovi metodi per combattere le malattie moderne
L'Arco di Giano - n°49, 2006
DOSSIER - Vecchiaia e qualità della vita a cura di Bernardino Fantini e Matteo Borri
Le età della vita Uno sguardo storico
Bernardino Fantini
Le basi biologiche dell’invecchiamento
Silvia Sorce, Michela G. Schäppi, Karl-Heinz Krause
Darwin, Numero 18 - Anno 4 - III/IV 2007
In questo numero, selezione di articoli pubblicati:
Darwin Day 2007
L'alba dell'uomo
Etologia. Intelligenti come scimpanzé P. F. Ferrari
Biologia. Dure polemiche per le pecore gay A. Scotto
Il clima prossimo venturo M. Luzzatto
Il fiore che ha fatto tremare Mendel A. Meldolesi
Gli uomini di Flores sfidano l'antropologia T. M. Powledge
L’Ateo n. 1/2007
Insegnare scienze naturali nella scuola superiore italiana
Alessandra Magistrelli
Antropologia culturale e antropologia biologica: pro e contro Darwin
Carlo Talenti
Natura e cultura: prove (malriuscite) di sintesi
Luigi Cavallaro
L’animale uomo tra natura e cultura. Una bibliografia ragionata
Ferdinando Vidoni
Paolo Coccia
la Rivista dei Libri, aprile 2007
Gilberto Corbellini
Evoluzione e politica, recensione dei libri di Telmo Pievani, Creazione senza Dio, Torino, Einaudi e Michael Shermer, Why Darwin Matters. The Case Against Intelligent Design, New York, Times Books
dal sito web riporto:
Un equivoco di fondo alimenta il dibattito italiano sull'evoluzionismo, che a tratti cerca di scimiottare la battaglia culturale, questa sí cruenta, in corso negli Stati Uniti tra neocreazionisti ed evoluzionisti. L'equivoco consiste nell'assumere, da parte di alcuni intellettuali italiani, non la difesa della libertà di studiare scientificamente l'evoluzione biologica della specie umana, indipendentemente da quello che ne potrebbe venir fuori, ma di una particolare interpretazione filosofica e politica dell'evoluzionismo. Di un evoluzionismo "politicamente corretto", proposto come espressione della laicità e del pluralismo della scienza: qualora insegnato e divulgato, dovrebbe quasi necessariamente produrre l'adesione a un sistema di valori democratico-progressisti, e dimostrarsi al tempo stesso compatibile con una funzione moralmente positiva della religione.
LE SCIENZE, Aprile 2007
Carl Zimmer
Evoluti per il cancro?
La selezione naturale non ha eliminato il cancro dalla nostra specie, ma anzi sembra aver conservato alcuni geni che contribuiscono a renderlo più aggressivo
Assassinio nel Mesozoico
Raymond R. Rogers e David W. Krause
Era un vecchio caso irrisolto: le ossa avevano 70 milioni di anni. Ma c'erano indizi chiave che rivelavano l'identità del killer
Le iguane di Cerro Dragón
Gabriele Gentile
Le popolazioni di iguane delle Galápagos, decimate fino agli anni settanta, stanno rifiorendo. Ma con quali conseguenze sulla diversità genetica?
Il potere dell'RNA
Ronald R. Breaker e Jeffrey E. Barrick
La scoperta di molecole sopravvissute a un mondo dominato dall'RNA apre la strada a nuovi metodi per combattere le malattie moderne
L'Arco di Giano - n°49, 2006
DOSSIER - Vecchiaia e qualità della vita a cura di Bernardino Fantini e Matteo Borri
Le età della vita Uno sguardo storico
Bernardino Fantini
Le basi biologiche dell’invecchiamento
Silvia Sorce, Michela G. Schäppi, Karl-Heinz Krause
Darwin, Numero 18 - Anno 4 - III/IV 2007
In questo numero, selezione di articoli pubblicati:
Darwin Day 2007
L'alba dell'uomo
Etologia. Intelligenti come scimpanzé P. F. Ferrari
Biologia. Dure polemiche per le pecore gay A. Scotto
Il clima prossimo venturo M. Luzzatto
Il fiore che ha fatto tremare Mendel A. Meldolesi
Gli uomini di Flores sfidano l'antropologia T. M. Powledge
L’Ateo n. 1/2007
Insegnare scienze naturali nella scuola superiore italiana
Alessandra Magistrelli
Antropologia culturale e antropologia biologica: pro e contro Darwin
Carlo Talenti
Natura e cultura: prove (malriuscite) di sintesi
Luigi Cavallaro
L’animale uomo tra natura e cultura. Una bibliografia ragionata
Ferdinando Vidoni
Paolo Coccia
A.A.A. cercasi partner
Un recente articolo pubblicato sulla rivista Nature mostra come nel moscerino della frutta, Drosophila melanogaster, un unico recettore per feromoni sia alla base della scelta del partner.
Riconoscere e scegliere il partner con cui accoppiarsi è per tutti gli animali un momento estremamente importante, motivo per cui ciascuna specie ha sviluppato meccanismi di riconoscimento e corteggiamento specie-specifici.
Da diversi anni è noto, ad esempio, che nel moscerino della frutta, Drosophila melanogaster, i maschi producono e rilasciano con il liquido seminale una sostanza volatile, l’11-cis-vaccenil acetato (cVA), in grado di agire come feromone. Tuttavia, sinora non era ben chiaro come esso agisse, poiché sembrava aver effetti sia sui maschi che sulle femmine. A tale riguardo, la rivista Nature ha recentemente pubblicato un interessante articolo relativo al riconoscimento sessuale in Drosophila. In particolare, Amina Kurtovic, Alexandre Widmer e Barry Dickson hanno dimostrato che il cVA è in grado di modificare il comportamento sessuale sia di maschi che di femmine e che in entrambi i sessi tale molecola viene riconosciuta e legata da uno stesso recettore, denominato Or67d.
Uno degli aspetti più interessanti deriva dal fatto che i maschi utilizzano questo feromone per distinguere le femmine vergini (con cui si accoppiano) rispetto alle femmine che hanno già avuto precedenti accoppiamenti e con cui non è vantaggioso accoppiarsi. Questo risultato è stato ottenuto creando in laboratorio maschi mutanti che, essendo privi del recettore Or67d, non possono “sentire” l’odore tipico del cVA. In questo caso, quindi, i maschi non solo perdevano la capacità di riconoscere femmine vergini da femmine che si erano già accoppiate, ma iniziavano addirittura a corteggiare altri maschi. In modo del tutto analogo, se femmine vergini venivano cosparse di cVA, esse erano “scartate” dai maschi di controllo (che le confondevano con femmine già fecondate), mentre venivano fecondate da maschi mutanti privi del recettore Or67d.
Per quanto riguarda invece il comportamento sessuale femminile, in presenza di cVA le femmine risultavano stimolate ad accoppiarsi, mentre questo comportamento era immediatamente perso in femmine mutanti che erano state private del recettore Or67d. Nelle femmine quindi il feromone cVA renderebbe le femmine più recettive al corteggiamento da parte del maschio.
In modo sorprendente quindi sia i maschi che le femmine utilizzano una stessa molecola ed uno stesso recettore per regolare il proprio comportamento sessuale. La differenza nel comportamento risiede quindi non a livello recettoriale, ma nel modo in cui è interpretato a livello neuronale il segnale che parte dal recettore. A conferma di questa ipotesi, i geni per i recettori di feromoni di altri insetti sono stati inseriti nel genoma di Drosophila. A seguito di tale modificazione, i moscerini transgenici iniziavano a “rispondere” anche ad odoranti propri di altre specie modificando il proprio comportamento sessuale ad indicare che il segnale, partito dal neo-recettore introdotto sperimentalmente, era stato elaborato a livello neuronale.
Mauro Mandrioli
Amina Kurtovic, Alexandre Widmer e Barry Dickson (2007) A single class of olfactory neurons mediates behavioural responses to a Drosophila pheromone. Nature, vol. 446, pp. 542-546
Riconoscere e scegliere il partner con cui accoppiarsi è per tutti gli animali un momento estremamente importante, motivo per cui ciascuna specie ha sviluppato meccanismi di riconoscimento e corteggiamento specie-specifici.
Da diversi anni è noto, ad esempio, che nel moscerino della frutta, Drosophila melanogaster, i maschi producono e rilasciano con il liquido seminale una sostanza volatile, l’11-cis-vaccenil acetato (cVA), in grado di agire come feromone. Tuttavia, sinora non era ben chiaro come esso agisse, poiché sembrava aver effetti sia sui maschi che sulle femmine. A tale riguardo, la rivista Nature ha recentemente pubblicato un interessante articolo relativo al riconoscimento sessuale in Drosophila. In particolare, Amina Kurtovic, Alexandre Widmer e Barry Dickson hanno dimostrato che il cVA è in grado di modificare il comportamento sessuale sia di maschi che di femmine e che in entrambi i sessi tale molecola viene riconosciuta e legata da uno stesso recettore, denominato Or67d.
Uno degli aspetti più interessanti deriva dal fatto che i maschi utilizzano questo feromone per distinguere le femmine vergini (con cui si accoppiano) rispetto alle femmine che hanno già avuto precedenti accoppiamenti e con cui non è vantaggioso accoppiarsi. Questo risultato è stato ottenuto creando in laboratorio maschi mutanti che, essendo privi del recettore Or67d, non possono “sentire” l’odore tipico del cVA. In questo caso, quindi, i maschi non solo perdevano la capacità di riconoscere femmine vergini da femmine che si erano già accoppiate, ma iniziavano addirittura a corteggiare altri maschi. In modo del tutto analogo, se femmine vergini venivano cosparse di cVA, esse erano “scartate” dai maschi di controllo (che le confondevano con femmine già fecondate), mentre venivano fecondate da maschi mutanti privi del recettore Or67d.
Per quanto riguarda invece il comportamento sessuale femminile, in presenza di cVA le femmine risultavano stimolate ad accoppiarsi, mentre questo comportamento era immediatamente perso in femmine mutanti che erano state private del recettore Or67d. Nelle femmine quindi il feromone cVA renderebbe le femmine più recettive al corteggiamento da parte del maschio.
In modo sorprendente quindi sia i maschi che le femmine utilizzano una stessa molecola ed uno stesso recettore per regolare il proprio comportamento sessuale. La differenza nel comportamento risiede quindi non a livello recettoriale, ma nel modo in cui è interpretato a livello neuronale il segnale che parte dal recettore. A conferma di questa ipotesi, i geni per i recettori di feromoni di altri insetti sono stati inseriti nel genoma di Drosophila. A seguito di tale modificazione, i moscerini transgenici iniziavano a “rispondere” anche ad odoranti propri di altre specie modificando il proprio comportamento sessuale ad indicare che il segnale, partito dal neo-recettore introdotto sperimentalmente, era stato elaborato a livello neuronale.
Mauro Mandrioli
Amina Kurtovic, Alexandre Widmer e Barry Dickson (2007) A single class of olfactory neurons mediates behavioural responses to a Drosophila pheromone. Nature, vol. 446, pp. 542-546
Nuovi organismi modello (e una nuova agenda) per l'evo-devo
Lanciato alle pagine di Nature Reviews Genetics un pressante appello da parte degli studiosi che si occupano della nuova e rivoluzionaria disciplina biologica dell'evo-devo.
La biologia evolutiva dello sviluppo, meglio conosciuta come evo-devo, necessita in tempi stretti di nuovi organismi modello, che aiutino i ricercatori attualmente impegnati in questo modernissimo campo biologico a fare luce sui numerosi aspetti che ancora necessitano di risposte e razionalizzazioni. Lo sostengono esplicitamente gli inglesi Ronald Jenner and Matthew Wills, dell'Universita' di Bath, in un articolo che compare sulla prestigiosa rivista. L'evo-devo basa infatti i suoi studi essenzialmente su sei organismi modello, quattro dei quali (rana, pesce zebra, pollo e topo) appartenenti al subphylum dei vertebrati: gli altri due sono il celeberrimo moscerino della frutta e l'altrettanto famoso verme nematode Caenorhabditis elegans. Come e' possibile razionalizzare la biologia evolutiva e dello sviluppo di ben 35 phyla, quando gli organismi modello utilizzati sperimentalmente appartengono soltanto a tre di questi grandi raggruppamenti?
Gia' da qualche anno gli studiosi stanno premendo perche' si adottino nuovi organismi modello, appartenenti a diversi altri phyla; gli autori del presente articolo richiamano tuttavia ad una maggiore attenzione quando si tratta di selezionare nuovi e significativi organismi modello. Si tratta infatti di dettare regole generali e condivise per individuare e scegliere i giusti modelli, ragionando prima di tutto sugli obbiettivi che ci si pone con la propria ricerca, soprattutto quando questa sia principalmente orientata verso implicazioni evolutive; nel massimizzare la distribuzione filogenetica senza criterio si corre il rischio di mettere in risalto la diversita', senza pero' che questo porti necessariamente a nuove e generali scoperte in campo piu' strettamente evolutivo. Un altro rischio e' quello di scegliere un organismo modello in quanto ritenuto rappresentante di un antenato comune a molti gruppi: in questo caso si costruisce quello che Jenner e Wills definiscono un basal bias, cioe' un preconcetto di base che guidera' (nel bene o nel male) tutte le speculazioni successive.
Secondo gli autori, una scelta assennata di nuovi organismi modello deve, ad esempio, tenere conto delle informazioni disponibili con le nuove tecniche di calcolo della variazione genetica che un genoma ha subìto nel tempo. I fondi generalmente disponibili in questo campo sono limitati in relazione alle necessita', e quindi occorre "razionalizzare" la spesa avendo ben in mente cio' che si vuole studiare, senza sprecare preziose risorse allargando senza criterio la base degli organismi modello: ecco perche' Jenner e Wills chiedono a gran voce che la comunita' scientifica dell'evo-devo fissi con chiarezza l'agenda della propria ricerca.
Paola Nardi
La biologia evolutiva dello sviluppo, meglio conosciuta come evo-devo, necessita in tempi stretti di nuovi organismi modello, che aiutino i ricercatori attualmente impegnati in questo modernissimo campo biologico a fare luce sui numerosi aspetti che ancora necessitano di risposte e razionalizzazioni. Lo sostengono esplicitamente gli inglesi Ronald Jenner and Matthew Wills, dell'Universita' di Bath, in un articolo che compare sulla prestigiosa rivista. L'evo-devo basa infatti i suoi studi essenzialmente su sei organismi modello, quattro dei quali (rana, pesce zebra, pollo e topo) appartenenti al subphylum dei vertebrati: gli altri due sono il celeberrimo moscerino della frutta e l'altrettanto famoso verme nematode Caenorhabditis elegans. Come e' possibile razionalizzare la biologia evolutiva e dello sviluppo di ben 35 phyla, quando gli organismi modello utilizzati sperimentalmente appartengono soltanto a tre di questi grandi raggruppamenti?
Gia' da qualche anno gli studiosi stanno premendo perche' si adottino nuovi organismi modello, appartenenti a diversi altri phyla; gli autori del presente articolo richiamano tuttavia ad una maggiore attenzione quando si tratta di selezionare nuovi e significativi organismi modello. Si tratta infatti di dettare regole generali e condivise per individuare e scegliere i giusti modelli, ragionando prima di tutto sugli obbiettivi che ci si pone con la propria ricerca, soprattutto quando questa sia principalmente orientata verso implicazioni evolutive; nel massimizzare la distribuzione filogenetica senza criterio si corre il rischio di mettere in risalto la diversita', senza pero' che questo porti necessariamente a nuove e generali scoperte in campo piu' strettamente evolutivo. Un altro rischio e' quello di scegliere un organismo modello in quanto ritenuto rappresentante di un antenato comune a molti gruppi: in questo caso si costruisce quello che Jenner e Wills definiscono un basal bias, cioe' un preconcetto di base che guidera' (nel bene o nel male) tutte le speculazioni successive.
Secondo gli autori, una scelta assennata di nuovi organismi modello deve, ad esempio, tenere conto delle informazioni disponibili con le nuove tecniche di calcolo della variazione genetica che un genoma ha subìto nel tempo. I fondi generalmente disponibili in questo campo sono limitati in relazione alle necessita', e quindi occorre "razionalizzare" la spesa avendo ben in mente cio' che si vuole studiare, senza sprecare preziose risorse allargando senza criterio la base degli organismi modello: ecco perche' Jenner e Wills chiedono a gran voce che la comunita' scientifica dell'evo-devo fissi con chiarezza l'agenda della propria ricerca.
Paola Nardi
In uscita “Il rabdomante”, una pellicola futuristica (ma non troppo!) di Felice Cattani
La prima nazionale si terrà il prossimo 12 aprile alle ore 21, a Torino.
A meno da un mese dalla Giornata Mondiale per l’Acqua, che si è tenuta lo scorso 22 marzo, esce a Torino un film che racconta le difficoltà di una terra privata del suo bene più prezioso, l’acqua, e le vicende del rabdomante Felice, unico essere umano ad aver mantenuto la capacità di dialogare con l’ambiente.
Sfondo della narrazione non è un Paese del terzo mondo, ma l’Italia Meridionale, dominata dalla polvere e dal racket della malavita organizzata, che ha preso il controllo delle poche risorse idriche del territorio.
Un film forte, che ci mostra alcune delle possibili, e non così futuribili, conseguenze dei nostri comportamenti quotidiani. Per riflettere e far riflettere.
L’evento è promosso dal’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholé Futuro onlus, da il Pianeta azzurro e dalla Circoscrizione 8 del Comune di Torino. Tutti sono invitati a partecipare. L’ingresso è gratuito fino a esaurimento posti.
Cosa: “Il randomante”, di Felice Cattani
Dove: Teatro Nuovo, Corso Massimo D’Azeglio 17, Torino
Quando: giovedì 12 aprile, ore 21
Stefania Somarè
A meno da un mese dalla Giornata Mondiale per l’Acqua, che si è tenuta lo scorso 22 marzo, esce a Torino un film che racconta le difficoltà di una terra privata del suo bene più prezioso, l’acqua, e le vicende del rabdomante Felice, unico essere umano ad aver mantenuto la capacità di dialogare con l’ambiente.
Sfondo della narrazione non è un Paese del terzo mondo, ma l’Italia Meridionale, dominata dalla polvere e dal racket della malavita organizzata, che ha preso il controllo delle poche risorse idriche del territorio.
Un film forte, che ci mostra alcune delle possibili, e non così futuribili, conseguenze dei nostri comportamenti quotidiani. Per riflettere e far riflettere.
L’evento è promosso dal’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholé Futuro onlus, da il Pianeta azzurro e dalla Circoscrizione 8 del Comune di Torino. Tutti sono invitati a partecipare. L’ingresso è gratuito fino a esaurimento posti.
Cosa: “Il randomante”, di Felice Cattani
Dove: Teatro Nuovo, Corso Massimo D’Azeglio 17, Torino
Quando: giovedì 12 aprile, ore 21
Stefania Somarè
Vent’anni di solitudine
Immaginate – per alcuni lettori non sarà difficile – di lavorare duramente, da diversi anni, a una ricerca. Immaginate di arrivare a un’intuizione originale e fortemente corroborata dai vostri numerosissimi dati. Aspettereste il 2029 per pubblicarla? Ben pochi lo farebbero. Per questo da lungo tempo gli storici si interrogano sul perché Charles Darwin abbia atteso ben ventidue anni prima di dare alle stampe l’ Origine delle specie, la celeberrima opera sull’evoluzione per selezione naturale: una teoria la cui elaborazione iniziò nel 1837, mentre il volume fu pubblicato solo nel 1859.
È opinione diffusa che il lungo intervallo tra la nascita della teoria e la sua pubblicazione sia dipeso da un timore di Darwin a diffondere un lavoro che, senz’altro, avrebbe scosso fortemente le coscienze e soprattutto avrebbe trovato una forte opposizione da parte della Chiesa e dall’establishment in genere; ma lo storico della scienza John van Wyhe ha recentemente evidenziato come in realtà non esista alcuna evidenza a favore di questa teoria. Se le cose stessero realmente così, dice van Wyhe, Darwin avrebbe guardato al divario temporale per lo meno come a un “ritardo”, o tale lo avrebbero considerato i suoi contemporanei; invece, in nessuno degli scritti dell’epoca né Darwin né altri posero la questione in tali termini: solamente dagli anni Quaranta del ‘900 si inizia a diffondere l’idea di una posticipazione forzata della pubblicazione. Per di più, lo stesso Darwin non ebbe mai alcuna esitazione a parlare diffusamente della propria teoria nelle lettere ai propri amici e colleghi.Quale fu dunque il motivo di tale attesa? Secondo van Wyhe, in realtà Charles Darwin ritenne necessario raccogliere quanti più dati e prove possibili, e completare alcune sue ricerche parallele tra cui un importante studio sui Cirripedi. Nessuno scandalo, dunque, ma “semplicemente” la volontà di presentare uno studio dettagliato e completo.Diversi ricercatori non concordano però con l’ipotesi di van Wyhe: tra questi, David Kohn, editor della Darwin Digital Library of Evolution, considera “semplicistico” il tipo di indagine svolto; Kohn sostiene che Darwin non poté certo ignorare l’importanza sociale della sua scoperta, come emerge esplicitamente dall’introduzione della successiva opera L’origine dell’uomo.Il dibattito è ancora aperto; a noi basta che, in un modo o nell’altro, l’opera sia stata pubblicata!
Paolo Cocco
Riferimenti:• Odling-Smee L (2007) Darwin and the 20-year publication gap. Nature 446: 478-479.• Van Wyhe J (2007) Mind the gap: did Darwin avoid publishing his theory for many years? Notes Rec. R. Soc. (Published on-line) DOI: 10.1098/rsnr.2006.0171
È opinione diffusa che il lungo intervallo tra la nascita della teoria e la sua pubblicazione sia dipeso da un timore di Darwin a diffondere un lavoro che, senz’altro, avrebbe scosso fortemente le coscienze e soprattutto avrebbe trovato una forte opposizione da parte della Chiesa e dall’establishment in genere; ma lo storico della scienza John van Wyhe ha recentemente evidenziato come in realtà non esista alcuna evidenza a favore di questa teoria. Se le cose stessero realmente così, dice van Wyhe, Darwin avrebbe guardato al divario temporale per lo meno come a un “ritardo”, o tale lo avrebbero considerato i suoi contemporanei; invece, in nessuno degli scritti dell’epoca né Darwin né altri posero la questione in tali termini: solamente dagli anni Quaranta del ‘900 si inizia a diffondere l’idea di una posticipazione forzata della pubblicazione. Per di più, lo stesso Darwin non ebbe mai alcuna esitazione a parlare diffusamente della propria teoria nelle lettere ai propri amici e colleghi.Quale fu dunque il motivo di tale attesa? Secondo van Wyhe, in realtà Charles Darwin ritenne necessario raccogliere quanti più dati e prove possibili, e completare alcune sue ricerche parallele tra cui un importante studio sui Cirripedi. Nessuno scandalo, dunque, ma “semplicemente” la volontà di presentare uno studio dettagliato e completo.Diversi ricercatori non concordano però con l’ipotesi di van Wyhe: tra questi, David Kohn, editor della Darwin Digital Library of Evolution, considera “semplicistico” il tipo di indagine svolto; Kohn sostiene che Darwin non poté certo ignorare l’importanza sociale della sua scoperta, come emerge esplicitamente dall’introduzione della successiva opera L’origine dell’uomo.Il dibattito è ancora aperto; a noi basta che, in un modo o nell’altro, l’opera sia stata pubblicata!
Paolo Cocco
Riferimenti:• Odling-Smee L (2007) Darwin and the 20-year publication gap. Nature 446: 478-479.• Van Wyhe J (2007) Mind the gap: did Darwin avoid publishing his theory for many years? Notes Rec. R. Soc. (Published on-line) DOI: 10.1098/rsnr.2006.0171
Come sopravvivere ai freddi polari
Non potendo allontanarsi dai climi freddi due piccoli invertebrati hanno evoluto straordinarie tecniche per sopravvivere alle temperature degli inverni polari.
Come fanno i piccoli invertebrati a superare gli inverni polari non essendo in grado di allontanarsi dalle zone fredde e non potendo regolare il proprio metabolismo e la propria temperatura corporea? La risposta perviene da un gruppo di ricercatori capeggiato dal Dr. Melody Clarck dell'Antarctic Survey che ha presentato la propria ricerca al Society for Experimental Biology's Annual Meeting di Glasgow.
Lo studio prende in considerazione due piccoli artropodi appartenenti all'ordine Collembola, quali Onychiurus arcticus e Cryptopygus antarcticus, che vivono agli antipodi l'uno dell'altro ma che devono affrontare lo stesso problema: superare le temperature dell'inverno polare. I due piccoli animaletti utilizzano due strategie differenti ma entramnbe ingegnose ed estremamente affascinanti.
Il primo disidrata il suo corpo man mano che le temperature diminuiscono tramite un gradiente di diffusione che si instaura tra l'animale e l'ambiente circostante, fino a prosciugarsi completamente. Se mantenesse anche solo una goccia d'acqua nel corpo rischierebbe di congelarsi e di distruggere le sue strutture interne.
Il secondo, invece, per proteggersi dal freddo antartico, concentra all'interno del suo corpo grandi quantità di sostanze che diminuiscono la temperatura di congelamento dell'acqua fino a circa -30 gradi, impedendogli quindi di ghiacciare.
Andrea Romano
Come fanno i piccoli invertebrati a superare gli inverni polari non essendo in grado di allontanarsi dalle zone fredde e non potendo regolare il proprio metabolismo e la propria temperatura corporea? La risposta perviene da un gruppo di ricercatori capeggiato dal Dr. Melody Clarck dell'Antarctic Survey che ha presentato la propria ricerca al Society for Experimental Biology's Annual Meeting di Glasgow.
Lo studio prende in considerazione due piccoli artropodi appartenenti all'ordine Collembola, quali Onychiurus arcticus e Cryptopygus antarcticus, che vivono agli antipodi l'uno dell'altro ma che devono affrontare lo stesso problema: superare le temperature dell'inverno polare. I due piccoli animaletti utilizzano due strategie differenti ma entramnbe ingegnose ed estremamente affascinanti.
Il primo disidrata il suo corpo man mano che le temperature diminuiscono tramite un gradiente di diffusione che si instaura tra l'animale e l'ambiente circostante, fino a prosciugarsi completamente. Se mantenesse anche solo una goccia d'acqua nel corpo rischierebbe di congelarsi e di distruggere le sue strutture interne.
Il secondo, invece, per proteggersi dal freddo antartico, concentra all'interno del suo corpo grandi quantità di sostanze che diminuiscono la temperatura di congelamento dell'acqua fino a circa -30 gradi, impedendogli quindi di ghiacciare.
Andrea Romano
Vespe e batteri
La vespa europea Philantus triangulum coltiva i batteri e li utilizza per la difesa delle proprie larve da funghi patogeni.
Un gruppo di ricercatori del Biocenter dell'Università di Würzburg, in Germania, ha scoperto un caso molto particolare di simbiosi tra un insetto e un ceppo di batteri. I protagonisti sono una vespa europea (Philantus triangulum) e una specie batterica appartenente al genere Strptomyces, in grado di produrre sostanze antibiotiche.
In particolare, una femmina gravida di vespa coltiva all'interno di specifiche ghiandole posizionate vicino alle antenne una popolazione di questi batteri che vengono utilizzati per la protezione delle larve da eventuali infezioni fungine. Successivamente la madre applica una soluzione contenente questi batteri antibiotici sulla seta dei bozzoli prodotti dalle larve. Questa protezione, come dimostrato da uno studio sperimentale, risulta molto efficace aumentando considerevolmente le probabilità di sopravvivenza delle future vespe.
Questo lavoro, pubblicato sulla rivista Current biology, è stato presentato il giorno 1 aprile all' Experimental Biology's Annual Main Meeting di Glasgow.
Andrea Romano
Un gruppo di ricercatori del Biocenter dell'Università di Würzburg, in Germania, ha scoperto un caso molto particolare di simbiosi tra un insetto e un ceppo di batteri. I protagonisti sono una vespa europea (Philantus triangulum) e una specie batterica appartenente al genere Strptomyces, in grado di produrre sostanze antibiotiche.
In particolare, una femmina gravida di vespa coltiva all'interno di specifiche ghiandole posizionate vicino alle antenne una popolazione di questi batteri che vengono utilizzati per la protezione delle larve da eventuali infezioni fungine. Successivamente la madre applica una soluzione contenente questi batteri antibiotici sulla seta dei bozzoli prodotti dalle larve. Questa protezione, come dimostrato da uno studio sperimentale, risulta molto efficace aumentando considerevolmente le probabilità di sopravvivenza delle future vespe.
Questo lavoro, pubblicato sulla rivista Current biology, è stato presentato il giorno 1 aprile all' Experimental Biology's Annual Main Meeting di Glasgow.
Andrea Romano
I geni mitonucleari delle piante: tra mitocondrio e nucleo
Una scoperta sorprendente viene dall'analisi di dati genetici di piante angiosperme appartenenti a ben 170 diversi generi: moltissime specie che si riproducono per clonazione o auto-impollinazione hanno trasferito la funzionalita' di un grande numero di geni mitocondriali nel nucleo delle loro cellule, dando origine ai cosiddetti geni mitonucleari.
Lo annuncia il biologo evolutivo Michael J. Wade, della Indiana University, dalle pagine di Science. La scoperta e' per l'appunto sorprendente, in quanto questi organismi sembrerebbero beneficiare poco o nulla di tale trasferimento, visto che sembra mancare il vantaggio piu' evidente, e cioe' la ricombinazione sessuale. E allora, perche' portarsi in un genoma complesso quale quello nucleare, se non c'e' apparentemente alcun vantaggio? Qual e' il significato evolutivo di questo fenomeno? Secondo l'autore e i suoi collaboratori, i geni mitocondriali che nel corso dell'evoluzione hanno avuto maggiore successo si sono combinati con geni nucleari correlati che ne hanno favorito il trasferimento funzionale, e dato che con le modalita' riproduttive di queste piante ci sono scarsissime possibilita' di ricombinazione, con la potenziale possibilita' di perdita della funzionalita' (viene anzi favorito il fenomeno della co-eredita' di tali combinazioni mitonucleari), questo meccanismo si e' affermato nel corso dell'evoluzione.
L'autore attende la conferma alle sue speculazioni sull'evoluzione dell'architettura del genoma guidata dalla co-eredita' delle combinazioni mitonucleari attraverso studi analoghi sui trasferimenti genici tra cloroplasti e nucleo, oppure di geni nucleari fra i vari cromosomi del genoma, nonche' tra i genomi di ospiti ed endosimbionti.
Paola Nardi
Lo annuncia il biologo evolutivo Michael J. Wade, della Indiana University, dalle pagine di Science. La scoperta e' per l'appunto sorprendente, in quanto questi organismi sembrerebbero beneficiare poco o nulla di tale trasferimento, visto che sembra mancare il vantaggio piu' evidente, e cioe' la ricombinazione sessuale. E allora, perche' portarsi in un genoma complesso quale quello nucleare, se non c'e' apparentemente alcun vantaggio? Qual e' il significato evolutivo di questo fenomeno? Secondo l'autore e i suoi collaboratori, i geni mitocondriali che nel corso dell'evoluzione hanno avuto maggiore successo si sono combinati con geni nucleari correlati che ne hanno favorito il trasferimento funzionale, e dato che con le modalita' riproduttive di queste piante ci sono scarsissime possibilita' di ricombinazione, con la potenziale possibilita' di perdita della funzionalita' (viene anzi favorito il fenomeno della co-eredita' di tali combinazioni mitonucleari), questo meccanismo si e' affermato nel corso dell'evoluzione.
L'autore attende la conferma alle sue speculazioni sull'evoluzione dell'architettura del genoma guidata dalla co-eredita' delle combinazioni mitonucleari attraverso studi analoghi sui trasferimenti genici tra cloroplasti e nucleo, oppure di geni nucleari fra i vari cromosomi del genoma, nonche' tra i genomi di ospiti ed endosimbionti.
Paola Nardi
Una nuova sintesi in biologia evoluzionistica: la micro-evo-devo
La rivista Genetica dedica uno speciale alla “micro-evo-devo” (micro-evolution of development) nata dall’integrazione della genetica quantitativa e di popolazione alla biologia evoluzionistica dello sviluppo (evo-devo).
La recente storia delle bioscienze è stata testimone di una progressiva frammentazione di grandi tematiche in numerosi ambiti di ricerca indipendenti e spesso scarsamente comunicanti tra loro. Negli ultimi anni, la biologia evoluzionistica si è invece caratterizzata per la tendenza ad integrare aspetti provenienti da più discipline, favorendo una loro interazione e sintesi. L’ultimo di questi eventi di sintesi ha visto l’unificazione della biologia evoluzionistica e dello sviluppo a dare un’unica disciplina, denominata evo-devo, che ha profondamente modificato il modo di pensare l’evoluzione dei viventi in termini di origine, definizione e realizzazione dei piani corporei e dei processi implicati nello sviluppo.
A distanza di pochi anni dall’origine della sintesi evo-devo, assistiamo oggi ad un ulteriore arricchimento della biologia evoluzionistica grazie all’incorporazione dei principi della genetica quantitativa e di popolazione nel già ricco contesto dell’evo-devo a dare una nuova disciplina denominata micro-evo-devo. A questa nuova sintesi è dedicato un numero speciale della rivista Genetica . L’idea di base di questa nuova integrazione è studiare e comprendere l’evoluzione dei processi di sviluppo come oggetto di forze di selezione che agiscono anche a livello di popolazioni.
Indice del fascicolo:• Norman Johnson - The Micro-evolution of development, pp. 1-5.• Matthew Hahn - Detecting natural selection on cis-regulatory DNA, pp. 7-18.• Kristen Shepard - The molecular population genetics of shoot development in Arabidopsis thaliana, pp. 19-36.• Jeffery Demuth, Michael Wade - Maternal expression increases the rate of bicoid evolution by relaxing selective constraint, pp. 37-43.• Eric Haag - Compensatory vs. pseudocompensatory evolution in molecular and developmental interactions, pp. 45-55.• Norman Johnson, Adam Porter - Evolution of branched regulatory genetic pathways: directional selection on pleiotropic loci accelerates developmental system drift, pp. 57-70.• Daniel Ortíz-Barrientos, Brian Counterman, Mohamed Noor - Gene expression divergence and the origin of hybrid dysfunctions, pp. 71-81.• Mark Siegal, Daniel Promislow, Aviv Bergman - Functional and evolutionary inference in gene networks: does topology matter? pp. 83-103.• William Cresko, Katrina McGuigan, Patrick Phillips, John Postlethwait - Studies of threespine stickleback developmental evolution: progress and promise, pp. 105-126.
Mauro Mandrioli
La recente storia delle bioscienze è stata testimone di una progressiva frammentazione di grandi tematiche in numerosi ambiti di ricerca indipendenti e spesso scarsamente comunicanti tra loro. Negli ultimi anni, la biologia evoluzionistica si è invece caratterizzata per la tendenza ad integrare aspetti provenienti da più discipline, favorendo una loro interazione e sintesi. L’ultimo di questi eventi di sintesi ha visto l’unificazione della biologia evoluzionistica e dello sviluppo a dare un’unica disciplina, denominata evo-devo, che ha profondamente modificato il modo di pensare l’evoluzione dei viventi in termini di origine, definizione e realizzazione dei piani corporei e dei processi implicati nello sviluppo.
A distanza di pochi anni dall’origine della sintesi evo-devo, assistiamo oggi ad un ulteriore arricchimento della biologia evoluzionistica grazie all’incorporazione dei principi della genetica quantitativa e di popolazione nel già ricco contesto dell’evo-devo a dare una nuova disciplina denominata micro-evo-devo. A questa nuova sintesi è dedicato un numero speciale della rivista Genetica . L’idea di base di questa nuova integrazione è studiare e comprendere l’evoluzione dei processi di sviluppo come oggetto di forze di selezione che agiscono anche a livello di popolazioni.
Indice del fascicolo:• Norman Johnson - The Micro-evolution of development, pp. 1-5.• Matthew Hahn - Detecting natural selection on cis-regulatory DNA, pp. 7-18.• Kristen Shepard - The molecular population genetics of shoot development in Arabidopsis thaliana, pp. 19-36.• Jeffery Demuth, Michael Wade - Maternal expression increases the rate of bicoid evolution by relaxing selective constraint, pp. 37-43.• Eric Haag - Compensatory vs. pseudocompensatory evolution in molecular and developmental interactions, pp. 45-55.• Norman Johnson, Adam Porter - Evolution of branched regulatory genetic pathways: directional selection on pleiotropic loci accelerates developmental system drift, pp. 57-70.• Daniel Ortíz-Barrientos, Brian Counterman, Mohamed Noor - Gene expression divergence and the origin of hybrid dysfunctions, pp. 71-81.• Mark Siegal, Daniel Promislow, Aviv Bergman - Functional and evolutionary inference in gene networks: does topology matter? pp. 83-103.• William Cresko, Katrina McGuigan, Patrick Phillips, John Postlethwait - Studies of threespine stickleback developmental evolution: progress and promise, pp. 105-126.
Mauro Mandrioli
Marsupiale ritrovato
Ricompare un piccolo marsupiale australiano creduto estinto. Erano più di cento anni che non ne veniva avvistato un esemplare.
Una specie australiana che era ritenuta estinta da ormai 106 anni è riapparsa inaspettatamente. Si tratta di un piccolo marsupiale, il peramele o bandicot dai piedi di porco (Chaeropus ecaudatus), dotato di lunghe orecchie da dei coniglio, zampe sottili e unghie simili a zoccoli, la cui sopravvivenza era stata messa in pericolo dalla modificazione dell'habitat.
Nel numero odierno di Nature Zoology: Australia and Surrounding Islands, un gruppo di ricercatori, capeggiato dal biologo Peter Shadbolt dell'University of Queenstown in New Zealand, ha elencato tre testimonianze che documentano che questo strano animale continua ad esistere. Innanzitutto, una fotografia scattata da un turista americano durante un'escursione; in secondo luogo una registrazione del richiamo di questa specie durante l'incisione all'aperto dell'ultimo album del famoso gruppo australiano AC/DC. Infine, in un video di un uomo che viene colpito dal suo stesso boomerang compare un animale dalle caratteristiche compatibili con il bandicot.
Queste testimonianze hanno convinto la Canada's National Wildlife Alliance che inizierà una campagna di ricerca di altri esemplari per convincere gli scettici ed eventualmente per valutare lo stato di salute della popolazione.
Andrea Romano
Una specie australiana che era ritenuta estinta da ormai 106 anni è riapparsa inaspettatamente. Si tratta di un piccolo marsupiale, il peramele o bandicot dai piedi di porco (Chaeropus ecaudatus), dotato di lunghe orecchie da dei coniglio, zampe sottili e unghie simili a zoccoli, la cui sopravvivenza era stata messa in pericolo dalla modificazione dell'habitat.
Nel numero odierno di Nature Zoology: Australia and Surrounding Islands, un gruppo di ricercatori, capeggiato dal biologo Peter Shadbolt dell'University of Queenstown in New Zealand, ha elencato tre testimonianze che documentano che questo strano animale continua ad esistere. Innanzitutto, una fotografia scattata da un turista americano durante un'escursione; in secondo luogo una registrazione del richiamo di questa specie durante l'incisione all'aperto dell'ultimo album del famoso gruppo australiano AC/DC. Infine, in un video di un uomo che viene colpito dal suo stesso boomerang compare un animale dalle caratteristiche compatibili con il bandicot.
Queste testimonianze hanno convinto la Canada's National Wildlife Alliance che inizierà una campagna di ricerca di altri esemplari per convincere gli scettici ed eventualmente per valutare lo stato di salute della popolazione.
Andrea Romano
La nuova arma segreta dei creazionisti: il burro di arachidi.....
Chuck Missler takes the misunderstanding of Evolution to a whole new level:
http://www.devilducky.com/media/59847/
Francesco Santini
http://www.devilducky.com/media/59847/
Francesco Santini
Sono cavoli amari!
La genetica delle popolazioni ci aiuta a svelare i misteri adattativi delle nostre scelte alimentari.
Gli esseri umani sono naturalmente portati ad apprezzare il gusto dolce, legato alla capacita' di procurarsi un nutrimento ricco di energia quale quello dei carboidrati. La sensibilita' e spesso il senso di disgusto nei confronti dell'amaro si sono invece evoluti come sistema di difesa contro veleni e tossine ambientali, sviluppati in gran parte dalle piante per difendersi dall'attacco degli animali vegetariani.
Dal punto di vista fisiologico, i gusti vengono percepiti sulla lingua in virtu' di specifici recettori resi funzionali dalle proteine prodotte da relativi geni. Il genetista delle popolazioni Stephen Wooding, del UT Southwestern Medical Center di Dallas, sta studiando le variazioni genetiche in una popolazione umana che determinano una diversa percezione del gusto amaro. Gia' negli anni trenta del Novecento alcuni scienziati sottoposero un campione di popolazione all'assaggio di una molecola sintetica amara denominata PTC (feniltiocarbammide), scoprendo che la diversa percezione o abilita' di riconoscere il gusto amaro era controllato geneticamente: ci sarebbero poi voluti piu' di settant'anni per scoprire il gene responsabile della sensibilita' alla PCT . Oggi si sa che ben 25 geni funzionali e altri 8 pseudogeni, riuniti nella famiglia T2R, sono implicati nella sensibilita' all'amaro: le proteine prodotte legano infatti le molecole delle sostanze amare disperse nella saliva che vanno a stimolare le opportune papille gustative.
E proprio analizzando le piccole variazioni che questi geni hanno subìto nel tempo, Wooding ha scoperto che nel corso dell'evoluzione ha avuto luogo un processo di "bilanciamento" della selezione naturale, specialmente tra i primati: oggi ci ritroviamo infatti con forme differenti degli stessi geni che convivono stabilmente nel pool genico di una popolazione, e che determinano l'esistenza di individui che riescono distintamente a percepire l'amaro, mentre altri hanno perso questa capacita'. Questo perche' dal punto di vista evolutivo, la sensibilita' o meno al gusto amaro non si e' rivelata una questione di sopravvivenza della specie: in questo caso, infatti, le varianti non sensibili all'amaro sarebbero rapidamente scomparse da pool genico. Potrebbero inoltre essere presenti piu' fattori interagenti: ad esempio, coloro che non sono particolarmente sensibili all'amaro potrebbero presentare una particolare sensibilita' ad altre sostanze, risultando cosi' protetti da esse. Inoltre le varianti umane non sensibili all'amaro potrebbero aver tratto giovamento dalla cura con fitofarmaci di sapore amaro, come ad esempio il chinino ed altri agenti antimalarici. La ricerca in questo campo e' piu' che mai attiva: si sta sondando la variabilita' dei vari geni T2R al variare del gene del recettore della PCT.
E poi, a prescindere dall'abilita' o meno di percepire il gusto amaro, e' interessante indagare sulle ragioni culturali che oggi influenzano le nostre scelte alimentari, portandoci ad amare oppure ad odiare alimenti come i cavoletti di Bruxelles: l'autore, ad esempio, si e' scoperto geneticamente sensibile alla PCT e si dichiara un discreto amante dell'amaro.
Lo studio di Wooding e' stato presentato all'ultimo meeting annuale della prestigiosa American Association for the Advancement of Science, tenutosi lo scorso febbraio a San Francisco, con un seminario dal titolo “Evolution: A Study in Bad Taste?”
Paola Nardi
Gli esseri umani sono naturalmente portati ad apprezzare il gusto dolce, legato alla capacita' di procurarsi un nutrimento ricco di energia quale quello dei carboidrati. La sensibilita' e spesso il senso di disgusto nei confronti dell'amaro si sono invece evoluti come sistema di difesa contro veleni e tossine ambientali, sviluppati in gran parte dalle piante per difendersi dall'attacco degli animali vegetariani.
Dal punto di vista fisiologico, i gusti vengono percepiti sulla lingua in virtu' di specifici recettori resi funzionali dalle proteine prodotte da relativi geni. Il genetista delle popolazioni Stephen Wooding, del UT Southwestern Medical Center di Dallas, sta studiando le variazioni genetiche in una popolazione umana che determinano una diversa percezione del gusto amaro. Gia' negli anni trenta del Novecento alcuni scienziati sottoposero un campione di popolazione all'assaggio di una molecola sintetica amara denominata PTC (feniltiocarbammide), scoprendo che la diversa percezione o abilita' di riconoscere il gusto amaro era controllato geneticamente: ci sarebbero poi voluti piu' di settant'anni per scoprire il gene responsabile della sensibilita' alla PCT . Oggi si sa che ben 25 geni funzionali e altri 8 pseudogeni, riuniti nella famiglia T2R, sono implicati nella sensibilita' all'amaro: le proteine prodotte legano infatti le molecole delle sostanze amare disperse nella saliva che vanno a stimolare le opportune papille gustative.
E proprio analizzando le piccole variazioni che questi geni hanno subìto nel tempo, Wooding ha scoperto che nel corso dell'evoluzione ha avuto luogo un processo di "bilanciamento" della selezione naturale, specialmente tra i primati: oggi ci ritroviamo infatti con forme differenti degli stessi geni che convivono stabilmente nel pool genico di una popolazione, e che determinano l'esistenza di individui che riescono distintamente a percepire l'amaro, mentre altri hanno perso questa capacita'. Questo perche' dal punto di vista evolutivo, la sensibilita' o meno al gusto amaro non si e' rivelata una questione di sopravvivenza della specie: in questo caso, infatti, le varianti non sensibili all'amaro sarebbero rapidamente scomparse da pool genico. Potrebbero inoltre essere presenti piu' fattori interagenti: ad esempio, coloro che non sono particolarmente sensibili all'amaro potrebbero presentare una particolare sensibilita' ad altre sostanze, risultando cosi' protetti da esse. Inoltre le varianti umane non sensibili all'amaro potrebbero aver tratto giovamento dalla cura con fitofarmaci di sapore amaro, come ad esempio il chinino ed altri agenti antimalarici. La ricerca in questo campo e' piu' che mai attiva: si sta sondando la variabilita' dei vari geni T2R al variare del gene del recettore della PCT.
E poi, a prescindere dall'abilita' o meno di percepire il gusto amaro, e' interessante indagare sulle ragioni culturali che oggi influenzano le nostre scelte alimentari, portandoci ad amare oppure ad odiare alimenti come i cavoletti di Bruxelles: l'autore, ad esempio, si e' scoperto geneticamente sensibile alla PCT e si dichiara un discreto amante dell'amaro.
Lo studio di Wooding e' stato presentato all'ultimo meeting annuale della prestigiosa American Association for the Advancement of Science, tenutosi lo scorso febbraio a San Francisco, con un seminario dal titolo “Evolution: A Study in Bad Taste?”
Paola Nardi
Come ti aiuto a conquistare una femmina
Nel manachino dalla coda lanceolata una coppia di maschi corteggia una femmina tramite una danza molto elaborata ma solo il maschio alfa si riproduce. Cosa porta il maschio beta ad aiutare il rivale?
Nel regno animale esistono numerosi esempi di comportamenti cooperativi tra membri della medesima specie. In particolare si assiste a molte situazioni in cui alcuni individui concorrono nell'incrementare il successo riproduttivo di altri componenti della specie. Ne sono un esempio i cosidetti aiutanti o helper che praticano cure parentali nei confronti di prole altrui. Solitamente, però, questi individui possono beneficiare di tali sforzi in diversi modi. Alcuni maschi possono infatti comportarsi da opportunisti e accoppiarsi di nascosto, conseguendo quindi un vantaggio diretto, oppure favorire la riproduzione e la crescita dei piccoli di parenti stretti, aumentando così la propria fitness inclusiva (indiretta).
Sembra, da un recente studio apparso su American Naturalist, che non sia così nel manachino dalla coda lanceolata (Chiroxiphia lanceolata), un uccello che vive nelle foreste centroamericane e che si riproduce in lek. I maschi di questa specie formano coppie che cooperano nella realizzazione di complesse e spettacolari danze di corteggiamento. Le coppie sono sempre costituite da un maschio alfa che, come dimostrato nello studio, beneficia della quasi totalità degli accoppiamenti, ed un maschio beta che non ottiene alcun vantaggio apparente in seguito all'elaborazione del corteggiamento. Infatti, i beta non si accoppiano quasi mai con le femmine (solo il 4%) e non ottengono quindi prole propria. Inoltre, non essendo imparentati con gli alfa non incrementano nemmeno la loro fitness indiretta.
In che modo i maschi beta traggono un vantaggio dal loro comportamento? Lo studio dimostra che, nel caso di decesso dei maschi alfa, gli individui beta hanno molte più possibilità degli altri di aumentare il proprio status sociale e sostituirli nelle gerarchie, con i notevoli vantaggi nella riproduzione che ne derivano. Si tratterebbe dunque di un vantaggio a lungo termine.
Inoltre, poichè solitamente i beta sono più giovani degli alfa si può ipotizzare che il comportamento cooperativo rappresenti una sorta di apprendistato, in cui i meno anziani imparano i display comportamentali necessari per conseguire un alto successo riproduttivo in futuro.
Andrea Romano
Nel regno animale esistono numerosi esempi di comportamenti cooperativi tra membri della medesima specie. In particolare si assiste a molte situazioni in cui alcuni individui concorrono nell'incrementare il successo riproduttivo di altri componenti della specie. Ne sono un esempio i cosidetti aiutanti o helper che praticano cure parentali nei confronti di prole altrui. Solitamente, però, questi individui possono beneficiare di tali sforzi in diversi modi. Alcuni maschi possono infatti comportarsi da opportunisti e accoppiarsi di nascosto, conseguendo quindi un vantaggio diretto, oppure favorire la riproduzione e la crescita dei piccoli di parenti stretti, aumentando così la propria fitness inclusiva (indiretta).
Sembra, da un recente studio apparso su American Naturalist, che non sia così nel manachino dalla coda lanceolata (Chiroxiphia lanceolata), un uccello che vive nelle foreste centroamericane e che si riproduce in lek. I maschi di questa specie formano coppie che cooperano nella realizzazione di complesse e spettacolari danze di corteggiamento. Le coppie sono sempre costituite da un maschio alfa che, come dimostrato nello studio, beneficia della quasi totalità degli accoppiamenti, ed un maschio beta che non ottiene alcun vantaggio apparente in seguito all'elaborazione del corteggiamento. Infatti, i beta non si accoppiano quasi mai con le femmine (solo il 4%) e non ottengono quindi prole propria. Inoltre, non essendo imparentati con gli alfa non incrementano nemmeno la loro fitness indiretta.
In che modo i maschi beta traggono un vantaggio dal loro comportamento? Lo studio dimostra che, nel caso di decesso dei maschi alfa, gli individui beta hanno molte più possibilità degli altri di aumentare il proprio status sociale e sostituirli nelle gerarchie, con i notevoli vantaggi nella riproduzione che ne derivano. Si tratterebbe dunque di un vantaggio a lungo termine.
Inoltre, poichè solitamente i beta sono più giovani degli alfa si può ipotizzare che il comportamento cooperativo rappresenti una sorta di apprendistato, in cui i meno anziani imparano i display comportamentali necessari per conseguire un alto successo riproduttivo in futuro.
Andrea Romano
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