Autorizzati dagli interessati, volentieri segnaliamo e pubblichiamo la tesi di Massimo Bernardi. Una breve introduzione alla discussione sulla definizione del concetto di specie; tematica della quale Bernardi si occupa anche ora quale studente dell'MSc in "Palaeobiology" presso l'Università di Bristol, UK.
La specie in paleontologia, fra questioni teoriche e scelte operative
Tutor: Prof. Alessandro Minelli, Dipartimento di Biologia, Università di Padova
Anno Accademico 2006/2007
Università degli Studi di Padova, Facoltà di Scienze mm.ff.nn. Laurea di primo livello in Scienze e Tecnologie per la Natura
Indice
Il ‘problema’ della specie
La specie: concetti e definizioni
La specie in paleontologia
Bibliografia
Paolo Coccia
Qui troverete avvisi, comunicazioni, segnalazioni su tutte le novita' che potrebbero interessarvi: articoli, libri, eventi, temi controversi, bibliografie, dossier, ecc....
Wednesday, August 29, 2007
Tinkering: The Microevolution of Development
Symposium on Tinkering: the microevolution of development, Novartis Foundation No. 284, pp. 300. London, 11-13 July 2006. A cura di Gregory Bock e Jamie Goode.
Nel lontano 1977 Francois Jacob scrisse un breve saggio, poi pubblicato da Einaudi sul Bricolage (Tinkering), dal titolo Evolution and Tinkering pubblicato su Science. L'autore sosteneva che l'evoluzione agisce non solo per accumulazione graduale di piccoli cambiamenti ma anche recuperando quanto trova sulla sua strada, ristrutturando e modificando strutture e funzioni adattandole a nuovi scopi. Dopo 30 anni la Novartis Foundation pubblica alcune riflessioni sul concetto del Bricolage applicandolo all'evo-devo!
Dal sito web riporto:
Much recent research in evolutionary developmental biology has focused on the origin of new body plans. However, most evolutionary change at the population and species level consists of tinkering: small-scale alterations in developmental pathways within a single body plan. Such microevolutionary events have been well studied on a population genetic level and from the perspective of adaptive phenotypic evolution, but their developmental mechanisms remain poorly studied. This book explores both theoretical and practical issues of tinkering. It features a wide range of perspectives to address several fundamental questions. How does tinkering occur developmentally, and how is it manifested phenotypically? Are the developmental mechanisms by which tinkering occur different from those that underlie larger evolutionary changes? What are the developmental constraints on tinkering? And how do we test hypotheses about microevolutionary shifts in development from the fossil record?
Sommario:
Daniel E. Lieberman The evolutionary developmental biology of tinkering: an introduction to the challenge.
Manfred D. Laubichler Tinkering: a conceptual and historical evaluation
Rudolf A. Raff and Elizabeth C. Raff Tinkering: new embryos from old-rapidly and cheaply.
James M. Cheverud The relationship between development and evolution through heritable variation.
Adam S. Wilkins Genetic networks as transmitting and amplifying devices for natural genetic tinkering.
Paul M. Brakefield Butterfly eyespot patterns and how evolutionary tinkering yields diversity.
Günter P. Wagner and Anna Marie Pyle Tinkering with transcription factor proteins: the role of transcription factor adaptation in developmental evolution.
Denis Duboule, Basile Tarchini, Jozsef Zàkàny and Marie Kmita Tinkering with constraints in the evolution of the vertebrate limb anterior-posterior polarity.
Irma Thesleff, Elina Järvinen and Marika Suomalainen Affecting tooth morphology and renewal by fine-tuning the signals mediating cell and tissue interactions.
Benedikt Hallgrimsson, Daniel E. Lieberman, Nathan M. Young, Trish Parsons and Steven Wat Evolution of covariance in the mammalian skull.
David L. Stern The developmental genetics of microevolution.
Jukka Jernvall and Isaac Salazar-Ciudad The economy of tinkering mammalian teeth.
Michael A. Bell, Kaitlyn E. Ellis and Howard I. Sirotkin Pelvic skeleton reduction and Pitx1 expression in threespine stickleback populations.
Michael I. Coates, Marcello Ruta and Peter J. Wagner Using patterns of fin and limb phylogeny to test developmental-evolutionary scenarios.
Rebecca R. Ackermann Craniofacial variation and developmental divergence in primate and human evolution.
Paolo Coccia
Nel lontano 1977 Francois Jacob scrisse un breve saggio, poi pubblicato da Einaudi sul Bricolage (Tinkering), dal titolo Evolution and Tinkering pubblicato su Science. L'autore sosteneva che l'evoluzione agisce non solo per accumulazione graduale di piccoli cambiamenti ma anche recuperando quanto trova sulla sua strada, ristrutturando e modificando strutture e funzioni adattandole a nuovi scopi. Dopo 30 anni la Novartis Foundation pubblica alcune riflessioni sul concetto del Bricolage applicandolo all'evo-devo!
Dal sito web riporto:
Much recent research in evolutionary developmental biology has focused on the origin of new body plans. However, most evolutionary change at the population and species level consists of tinkering: small-scale alterations in developmental pathways within a single body plan. Such microevolutionary events have been well studied on a population genetic level and from the perspective of adaptive phenotypic evolution, but their developmental mechanisms remain poorly studied. This book explores both theoretical and practical issues of tinkering. It features a wide range of perspectives to address several fundamental questions. How does tinkering occur developmentally, and how is it manifested phenotypically? Are the developmental mechanisms by which tinkering occur different from those that underlie larger evolutionary changes? What are the developmental constraints on tinkering? And how do we test hypotheses about microevolutionary shifts in development from the fossil record?
Sommario:
Daniel E. Lieberman The evolutionary developmental biology of tinkering: an introduction to the challenge.
Manfred D. Laubichler Tinkering: a conceptual and historical evaluation
Rudolf A. Raff and Elizabeth C. Raff Tinkering: new embryos from old-rapidly and cheaply.
James M. Cheverud The relationship between development and evolution through heritable variation.
Adam S. Wilkins Genetic networks as transmitting and amplifying devices for natural genetic tinkering.
Paul M. Brakefield Butterfly eyespot patterns and how evolutionary tinkering yields diversity.
Günter P. Wagner and Anna Marie Pyle Tinkering with transcription factor proteins: the role of transcription factor adaptation in developmental evolution.
Denis Duboule, Basile Tarchini, Jozsef Zàkàny and Marie Kmita Tinkering with constraints in the evolution of the vertebrate limb anterior-posterior polarity.
Irma Thesleff, Elina Järvinen and Marika Suomalainen Affecting tooth morphology and renewal by fine-tuning the signals mediating cell and tissue interactions.
Benedikt Hallgrimsson, Daniel E. Lieberman, Nathan M. Young, Trish Parsons and Steven Wat Evolution of covariance in the mammalian skull.
David L. Stern The developmental genetics of microevolution.
Jukka Jernvall and Isaac Salazar-Ciudad The economy of tinkering mammalian teeth.
Michael A. Bell, Kaitlyn E. Ellis and Howard I. Sirotkin Pelvic skeleton reduction and Pitx1 expression in threespine stickleback populations.
Michael I. Coates, Marcello Ruta and Peter J. Wagner Using patterns of fin and limb phylogeny to test developmental-evolutionary scenarios.
Rebecca R. Ackermann Craniofacial variation and developmental divergence in primate and human evolution.
Paolo Coccia
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Bibliografia delle opere di S.J. Gould tradotte in italiano. Versione agosto 2007
Ho aggiunto la seguente citazione bibliografica con l'indice completo:
Tesi di Laurea di Ilenia Berlingeri CONTINGENZA E DETERMINISMO NELLE TEORIE EVOLUTIVE. L’approccio neodarwinista di Stephen Jay Gould. ANNO ACCADEMICO 2006-2007.
Paolo Coccia
La bibliografia completa e’ redatta da Paolo Coccia e Marco Ferraguti utilizzando il web e le opere di Gould che ciascuno di noi possiede. L’elenco è continuamente aggiornato con nuove traduzioni e con il reperimento di articoli e testi ancora non rintracciati. Vi invitiamo a farci pervenire pubblicazioni, articoli, testi a noi ancora sconosciuti al fine di segnalarli in questo documento che pertanto va considerato come un "work in progress". Copyright, P. Coccia e M. Ferraguti. Potete utilizzare questa bibliografia per illustrare testi e documenti. Vi preghiamo di citare sempre la fonte e gli autori
Tesi di Laurea di Ilenia Berlingeri CONTINGENZA E DETERMINISMO NELLE TEORIE EVOLUTIVE. L’approccio neodarwinista di Stephen Jay Gould. ANNO ACCADEMICO 2006-2007.
Paolo Coccia
La bibliografia completa e’ redatta da Paolo Coccia e Marco Ferraguti utilizzando il web e le opere di Gould che ciascuno di noi possiede. L’elenco è continuamente aggiornato con nuove traduzioni e con il reperimento di articoli e testi ancora non rintracciati. Vi invitiamo a farci pervenire pubblicazioni, articoli, testi a noi ancora sconosciuti al fine di segnalarli in questo documento che pertanto va considerato come un "work in progress". Copyright, P. Coccia e M. Ferraguti. Potete utilizzare questa bibliografia per illustrare testi e documenti. Vi preghiamo di citare sempre la fonte e gli autori
Tra i primati non sempre il cibo piu' facilmente disponibile diventa quello scelto....
Il numero di luglio della rivista Animal Cognition e' interamente dedicato all'analisi delle abilita' cognitive dei primati riferibili all'area socioecologica e concernenti, in particolare, le strategie di foraggiamento.
Elena Cunningham e Charles Janson, ricercatori rispettivamente presso il New York University College e la State University of New York, pubblicano l'articolo di apertura di questo numero speciale, unitamente ad un altro lavoro che riassume i risultati di una ricerca condotta su sei scimmie Saki, o Pitecie dalla testa bianca (Pithecia pithecia), dell'isola venezuelana di Round Island, situata nel lago Guri. Gli autori hanno scoperto che queste scimmie sono disposte a percorrere anche quattro volte di piu' della distanza utile a procurarsi frutti di media qualita', per raggiungere luoghi, precedentemente memorizzati, nei quali il cibo ha una qualita' decisamente superiore. Tutto questo si osserva in periodi di elevata disponibilita' di risorse. Il pattern giornaliero di foraggiamento di questi animali e' piuttosto complesso: esso consiste in numerosi piccoli e brevi pasti, e in pochi pasti piu' sostanziosi. I vantaggi sociali ed ecologici ottenuti con questo comportamento, e cioe' il soddisfacimento delle proprie preferenze e necessita' alimentari, unite ad una minore competizione intraspecifica per il cibo e all'opportunita' di affermare la dominanza del proprio gruppo su altri per cio' che riguarda le risorse, superano evidentemente gli svantaggi rappresentati da una maggiore spesa energetica e da maggiori probabilita' degli individui di cadere in questo modo vittima di predazione. Insomma, quando si tratta di scegliere il cibo, i primati considerano qualcosa di piu' della semplice distanza da esso.
Studi come questo confermano le complesse abilita' cognitive dei primati, e aiutano a comprendere meglio l'evoluzione dei tratti sociali e comportamentali, e in ultima analisi dell'intelligenza, che contraddistiguono l'ordine animale al quale apparteniamo, soprattutto per cio' che riguarda i primati antropoidi.
Paola Nardi
Elena Cunningham e Charles Janson, ricercatori rispettivamente presso il New York University College e la State University of New York, pubblicano l'articolo di apertura di questo numero speciale, unitamente ad un altro lavoro che riassume i risultati di una ricerca condotta su sei scimmie Saki, o Pitecie dalla testa bianca (Pithecia pithecia), dell'isola venezuelana di Round Island, situata nel lago Guri. Gli autori hanno scoperto che queste scimmie sono disposte a percorrere anche quattro volte di piu' della distanza utile a procurarsi frutti di media qualita', per raggiungere luoghi, precedentemente memorizzati, nei quali il cibo ha una qualita' decisamente superiore. Tutto questo si osserva in periodi di elevata disponibilita' di risorse. Il pattern giornaliero di foraggiamento di questi animali e' piuttosto complesso: esso consiste in numerosi piccoli e brevi pasti, e in pochi pasti piu' sostanziosi. I vantaggi sociali ed ecologici ottenuti con questo comportamento, e cioe' il soddisfacimento delle proprie preferenze e necessita' alimentari, unite ad una minore competizione intraspecifica per il cibo e all'opportunita' di affermare la dominanza del proprio gruppo su altri per cio' che riguarda le risorse, superano evidentemente gli svantaggi rappresentati da una maggiore spesa energetica e da maggiori probabilita' degli individui di cadere in questo modo vittima di predazione. Insomma, quando si tratta di scegliere il cibo, i primati considerano qualcosa di piu' della semplice distanza da esso.
Studi come questo confermano le complesse abilita' cognitive dei primati, e aiutano a comprendere meglio l'evoluzione dei tratti sociali e comportamentali, e in ultima analisi dell'intelligenza, che contraddistiguono l'ordine animale al quale apparteniamo, soprattutto per cio' che riguarda i primati antropoidi.
Paola Nardi
Gli afidi e il rosso autunnale
I brillanti colori con cui le foglie rendono magico l’autunno forse rappresentano per gli afidi anche il segnale che è il momento di deporre le uova.
Invecchiare e diventare bellissimi. Una cosa non comune, ma che alle foglie riesce benissimo. La magia dell’autunno sta proprio nei colori di cui si tingono gli alberi, che regalano alla stagione anche un tocco di malinconia che preannuncia l’arrivo del freddo.I meccanismi che rendono possibili queste colorazioni sono noti da tempo, ma il loro significato e la loro evoluzione sono ancora discussi. La clorofilla è il pigmento principale delle foglie, ma non l’unico. Essa si disintegra quando si avvicina l’inverno mentre altri pigmenti permangono a proteggere le foglie dal freddo e dalla radiazione solare. Non più oscurati dalla clorofilla le antocianine e i carotenoidi colorano le lamine di mille sfumature di arancione e rossi.Uno studio pubblicato su PLos Biology è andato a indagare se le colorazioni autunnali delle foglie siano semplicemente un sottoprodotto dei meccanismi fisiologici insiti nella morte delle foglie oppure se possano rappresentare dei segnali per gli afidi perché questi inizino a deporre le loro uova sulle loro foglie come è stato proposto con altri studi. Andando ad analizzare i meccanismi di percezione degli insetti in questo articolo si sottolinea quanto siano necessari maggiori studi su questi animali e sul loro comportamento per poter avvalorare la seconda ipotesi. “La colorazione autunnale delle foglie rappresenta un perfetto esempio di come l’osservazione che noi umani siamo in grado di fare sui colori della natura possa portarci su una strada sbagliata” dicono gli scienziati dell’University of London autori della ricerca.La funzione che attualmente i fisiologi vegetali danno per la presenza di pigmenti quali carotenoidi e antocianine come protettori della foglia è, secondo loro, perfettamente sufficiente per spiegare la colorazione autunnale degli alberi.Eppure ci sono altri studi che sostengono l’altra ipotesi, secondo cui c’è stata coevoluzione tra insetti e i colori autunnali.Solo con ulteriori studi potremmo vedere come saranno portate avanti queste diverse ipotesi.Per ora attendiamo l’autunno che è alle porte, e ci prepariamo anche quest’anno a godere della bellezza dei suoi colori. Anche se ancora non li comprendiamo fino in fondo.
Chittka L, Döring TF (2007) Are Autumn Foliage Colors Red Signals to Aphids? PLoS Biol 5(8): e187 doi:10.1371/journal.pbio.0050187
Per chi vuole saperne di più, sullo stesso argomento qualche anno fa scrisse un bel articolo Carl Zimmer sul NYTimes.
Chiara Ceci
Invecchiare e diventare bellissimi. Una cosa non comune, ma che alle foglie riesce benissimo. La magia dell’autunno sta proprio nei colori di cui si tingono gli alberi, che regalano alla stagione anche un tocco di malinconia che preannuncia l’arrivo del freddo.I meccanismi che rendono possibili queste colorazioni sono noti da tempo, ma il loro significato e la loro evoluzione sono ancora discussi. La clorofilla è il pigmento principale delle foglie, ma non l’unico. Essa si disintegra quando si avvicina l’inverno mentre altri pigmenti permangono a proteggere le foglie dal freddo e dalla radiazione solare. Non più oscurati dalla clorofilla le antocianine e i carotenoidi colorano le lamine di mille sfumature di arancione e rossi.Uno studio pubblicato su PLos Biology è andato a indagare se le colorazioni autunnali delle foglie siano semplicemente un sottoprodotto dei meccanismi fisiologici insiti nella morte delle foglie oppure se possano rappresentare dei segnali per gli afidi perché questi inizino a deporre le loro uova sulle loro foglie come è stato proposto con altri studi. Andando ad analizzare i meccanismi di percezione degli insetti in questo articolo si sottolinea quanto siano necessari maggiori studi su questi animali e sul loro comportamento per poter avvalorare la seconda ipotesi. “La colorazione autunnale delle foglie rappresenta un perfetto esempio di come l’osservazione che noi umani siamo in grado di fare sui colori della natura possa portarci su una strada sbagliata” dicono gli scienziati dell’University of London autori della ricerca.La funzione che attualmente i fisiologi vegetali danno per la presenza di pigmenti quali carotenoidi e antocianine come protettori della foglia è, secondo loro, perfettamente sufficiente per spiegare la colorazione autunnale degli alberi.Eppure ci sono altri studi che sostengono l’altra ipotesi, secondo cui c’è stata coevoluzione tra insetti e i colori autunnali.Solo con ulteriori studi potremmo vedere come saranno portate avanti queste diverse ipotesi.Per ora attendiamo l’autunno che è alle porte, e ci prepariamo anche quest’anno a godere della bellezza dei suoi colori. Anche se ancora non li comprendiamo fino in fondo.
Chittka L, Döring TF (2007) Are Autumn Foliage Colors Red Signals to Aphids? PLoS Biol 5(8): e187 doi:10.1371/journal.pbio.0050187
Per chi vuole saperne di più, sullo stesso argomento qualche anno fa scrisse un bel articolo Carl Zimmer sul NYTimes.
Chiara Ceci
L’uomo che mise in ordine la natura
La rivista Nature segnala la pubblicazione di un nuovo libro di C. Jarvis, dedicato a Linneo ed al suo lavoro, dal titolo “Order out of Chaos: Linnaean Plant Names and their Types”.
L’importanza della tassonomia non è sicuramente diminuita nel corso del tempo, ma al contrario è andata aumentando a seguito della necessità di definire in modo appropriato la biodiversità presente sul nostro pianeta.
In questo ambito, quindi, non possiamo che essere debitori di Linneo che con il suo lavoro ha definito il metodo binomiale ancora oggi in uso.
Sul numero appena pubblicato della rivista Nature, Pamela Soltis segnala la pubblicazione di un nuovo libro, dedicato a Linneo ed al suo lavoro, scritto da Charlie Jarvis ed intitolato “Order out of Chaos: Linnaean Plant Names and their Types” (The Linnean Society of London, costo £80).
Il libro di Jarvis prende in considerazione la parte botanica del lavoro di Linneo e descrive l’impatto che il lavoro di Linneo ebbe sugli intellettuali del XVIII secolo in Europa.
Mauro Mandrioli
P. S. Soltis. Linnaeus lives on. Nature 448: 868-869. 2007.
L’importanza della tassonomia non è sicuramente diminuita nel corso del tempo, ma al contrario è andata aumentando a seguito della necessità di definire in modo appropriato la biodiversità presente sul nostro pianeta.
In questo ambito, quindi, non possiamo che essere debitori di Linneo che con il suo lavoro ha definito il metodo binomiale ancora oggi in uso.
Sul numero appena pubblicato della rivista Nature, Pamela Soltis segnala la pubblicazione di un nuovo libro, dedicato a Linneo ed al suo lavoro, scritto da Charlie Jarvis ed intitolato “Order out of Chaos: Linnaean Plant Names and their Types” (The Linnean Society of London, costo £80).
Il libro di Jarvis prende in considerazione la parte botanica del lavoro di Linneo e descrive l’impatto che il lavoro di Linneo ebbe sugli intellettuali del XVIII secolo in Europa.
Mauro Mandrioli
P. S. Soltis. Linnaeus lives on. Nature 448: 868-869. 2007.
Evolutionary Explanations for Cooperation
L'ultimo fascicolo di Current Biology, Vol 17, R661-R672, 21 August 2007 contiene alcuni saggi dedicati alla cooperazione nel mondo animale.
Quale migliore introduzione al dossier si può fare se non riprendendo l'abstract del primo articolo?
Natural selection favours genes that increase an organism's ability to survive and reproduce. This would appear to lead to a world dominated by selfish behaviour. However, cooperation can be found at all levels of biological organisation: genes cooperate in genomes, organelles cooperate to form eukaryotic cells, cells cooperate to make multicellular organisms, bacterial parasites cooperate to overcome host defences, animals breed cooperatively, and humans and insects cooperate to build societies. Over the last 40 years, biologists have developed a theoretical framework that can explain cooperation at all these levels. Here, we summarise this theory, illustrate how it may be applied to real organisms and discuss future directions.
Ecco il sommario dei testi:
Evolutionary Explanations for Cooperation
Stuart A. West, Ashleigh S. Griffin, and Andy Gardner
Kin Selection versus Sexual Selection: Why the Ends Do Not Meet
Jacobus J. Boomsma
The Cold War of the Social Amoebae
Gad Shaulsky and Richard H. Kessin
Social Immunity
Sylvia Cremer, Sophie A.O. Armitage, and Paul Schmid-Hempel
Social Learning in Insects — From Miniature Brains to Consensus Building
Ellouise Leadbeater and Lars Chittka
Sociality, Evolution and Cognition
Richard W. Byrne and Lucy A. Bates
Social Cognition in Humans
Chris D. Frith and Uta Frith
Paolo Coccia
Quale migliore introduzione al dossier si può fare se non riprendendo l'abstract del primo articolo?
Natural selection favours genes that increase an organism's ability to survive and reproduce. This would appear to lead to a world dominated by selfish behaviour. However, cooperation can be found at all levels of biological organisation: genes cooperate in genomes, organelles cooperate to form eukaryotic cells, cells cooperate to make multicellular organisms, bacterial parasites cooperate to overcome host defences, animals breed cooperatively, and humans and insects cooperate to build societies. Over the last 40 years, biologists have developed a theoretical framework that can explain cooperation at all these levels. Here, we summarise this theory, illustrate how it may be applied to real organisms and discuss future directions.
Ecco il sommario dei testi:
Evolutionary Explanations for Cooperation
Stuart A. West, Ashleigh S. Griffin, and Andy Gardner
Kin Selection versus Sexual Selection: Why the Ends Do Not Meet
Jacobus J. Boomsma
The Cold War of the Social Amoebae
Gad Shaulsky and Richard H. Kessin
Social Immunity
Sylvia Cremer, Sophie A.O. Armitage, and Paul Schmid-Hempel
Social Learning in Insects — From Miniature Brains to Consensus Building
Ellouise Leadbeater and Lars Chittka
Sociality, Evolution and Cognition
Richard W. Byrne and Lucy A. Bates
Social Cognition in Humans
Chris D. Frith and Uta Frith
Paolo Coccia
Come evolvono i geni? La biologia evoluzionistica funzionale ci aiuta a dare una risposta
Si può dimostrare perchè un gene abbia subito specifiche mutazioni? La risposta viene dall'integrazione della biologia evoluzionistica con la genetica molecolare.
Per molto tempo la comunità scientifica si è divisa tra genetisti, che studiavano la sequenza ed i livelli di espressione di determinati geni, e biologi evoluzionisti, che usavano tali dati per fare ipotesi su come e perchè i geni si fossero evoluti.
Dalla fusione di questi due approcci è oggi nata quella che Antony M. Dean e Joseph W. Thorton hanno battezzato la sintesi funzionale della biologia evoluzionistica. In particolare Dean e Thorton nell’ultimo numero della rivista Nature Review in Genetics propongono numerosi esempi per mostrare come dalla sinergia della genetica molecolare con la biologia evoluzionistica sia nato un approccio funzionale utile per permettere ai ricercatori di dimostrare sperimentalmente i processi evolutivi e capire perché un gene abbia subito determinate mutazioni.
Tra i numerosi esempi citati, uno dei più significativi è l’evoluzione della resistenza agli insetticidi. In particolare, in molti insetti la resistenza agli insetticidi insorge a seguito della comparsa di mutazioni che riducono l’affinità tra l’insetticida ed il suo target molecolare (quale ad esempio l’acetilcolinesterasi).
A seguito di tali mutazioni, l’acetilcolinesterasi mutata non può più essere bloccata dall’insetticida e l’insetto diviene quindi resistente. Dati tali presupposti sperimentali, i biologi evoluzionisti avevano ipotizzato che la resistenza si fosse evoluta andando a modificare i geni codificanti i target degli insetticidi, in modo da modificare gli aminoacidi specificatamente implicati nel legame con l’insetticida stesso.
Grazie alla biologia funzionale possiamo oggi dimostrare questa ipotesi di lavoro e creare insetti transgenici che portano geni chimerici in cui l’operatore ha modificato a proprio piacere i geni implicati nella resistenza per poi verificare se, quanto ipotizzato dai biologi evoluzionisti, è vero anche da un punto di vista sperimentale.
Questo significa quindi che oggi possiamo creare in laboratorio geni chimerici in grado di aiutarci nel capire come alcuni geni si sono evoluti. E’ però evidente che questo approccio non si presta solo a ricostruire la storia passata di un gene, ma apre anche nuove strade per sviluppare strategie per modificare geni codificanti per proteine di interesse industriale o medico la cui attività potrebbe essere aumentata andando a modificare specifiche porzioni di interesse.
Infine, la biologia funzionale ci può dare prove sperimentali per comprendere i fenomeni di convergenza a livello molecolare, ovvero perché organismi filogeneticamente non correlati abbiamo acquisito mutazioni nelle stesse posizioni in geni ortologhi. In questo caso, infatti, la biologia funzionale ci mostra come la convergenza sia il frutto di un comune (o chimicamente simile) agente di selezione a cui i diversi organismi hanno risposto nello stesso modo: modificando quegli aminoacidi che l’agente di selezione (antibiotico, insetticida, tossico ambientale, ....) "usava" per interagire a livello cellulare con il proprio target endogeno.
Mauro Mandrioli
A. M. Dean, J. W. Thorton. Mechanistic approaches to the study of evolution: the functional synthesis. Nature Review in Genetics 8: 675-687. 2007.
Per molto tempo la comunità scientifica si è divisa tra genetisti, che studiavano la sequenza ed i livelli di espressione di determinati geni, e biologi evoluzionisti, che usavano tali dati per fare ipotesi su come e perchè i geni si fossero evoluti.
Dalla fusione di questi due approcci è oggi nata quella che Antony M. Dean e Joseph W. Thorton hanno battezzato la sintesi funzionale della biologia evoluzionistica. In particolare Dean e Thorton nell’ultimo numero della rivista Nature Review in Genetics propongono numerosi esempi per mostrare come dalla sinergia della genetica molecolare con la biologia evoluzionistica sia nato un approccio funzionale utile per permettere ai ricercatori di dimostrare sperimentalmente i processi evolutivi e capire perché un gene abbia subito determinate mutazioni.
Tra i numerosi esempi citati, uno dei più significativi è l’evoluzione della resistenza agli insetticidi. In particolare, in molti insetti la resistenza agli insetticidi insorge a seguito della comparsa di mutazioni che riducono l’affinità tra l’insetticida ed il suo target molecolare (quale ad esempio l’acetilcolinesterasi).
A seguito di tali mutazioni, l’acetilcolinesterasi mutata non può più essere bloccata dall’insetticida e l’insetto diviene quindi resistente. Dati tali presupposti sperimentali, i biologi evoluzionisti avevano ipotizzato che la resistenza si fosse evoluta andando a modificare i geni codificanti i target degli insetticidi, in modo da modificare gli aminoacidi specificatamente implicati nel legame con l’insetticida stesso.
Grazie alla biologia funzionale possiamo oggi dimostrare questa ipotesi di lavoro e creare insetti transgenici che portano geni chimerici in cui l’operatore ha modificato a proprio piacere i geni implicati nella resistenza per poi verificare se, quanto ipotizzato dai biologi evoluzionisti, è vero anche da un punto di vista sperimentale.
Questo significa quindi che oggi possiamo creare in laboratorio geni chimerici in grado di aiutarci nel capire come alcuni geni si sono evoluti. E’ però evidente che questo approccio non si presta solo a ricostruire la storia passata di un gene, ma apre anche nuove strade per sviluppare strategie per modificare geni codificanti per proteine di interesse industriale o medico la cui attività potrebbe essere aumentata andando a modificare specifiche porzioni di interesse.
Infine, la biologia funzionale ci può dare prove sperimentali per comprendere i fenomeni di convergenza a livello molecolare, ovvero perché organismi filogeneticamente non correlati abbiamo acquisito mutazioni nelle stesse posizioni in geni ortologhi. In questo caso, infatti, la biologia funzionale ci mostra come la convergenza sia il frutto di un comune (o chimicamente simile) agente di selezione a cui i diversi organismi hanno risposto nello stesso modo: modificando quegli aminoacidi che l’agente di selezione (antibiotico, insetticida, tossico ambientale, ....) "usava" per interagire a livello cellulare con il proprio target endogeno.
Mauro Mandrioli
A. M. Dean, J. W. Thorton. Mechanistic approaches to the study of evolution: the functional synthesis. Nature Review in Genetics 8: 675-687. 2007.
Tuesday, August 21, 2007
Forme diverse con geni simili
Per molto tempo la maggior parte dei genetisti ha posto grande attenzione alla porzione codificante dei geni ed ha cercato all’interno di tali sequenze l’origine della differenziazione delle varie specie. Ma era la strada giusta?
Sino ad alcuni anni or sono molti genetisti avevano una visione assolutamente genecentrica e ponevano enorme attenzione alle sequenze nucleotidiche che costituivano le porzioni codificanti dei geni. Tali analisi tuttavia mostravano, in modo spesso sorprendente, che i livelli di differenziazione a livello molecolare non concordavano con quelli osservati a livello fenotipico ed in particolare spesso le sequenze codificanti risultavano essere molto simili in specie ben distinguibili a livello morfologico. A cosa si doveva quindi l’origine delle differenze fenotipiche?
Negli ultimi anni ha preso progressivamente forza l’idea che alla base della diversificazione di specie filogeneticamente correlate non vi fossero mutazioni a carico delle sequenze geniche codificanti, ma differenze nel pattern di espressione di alcuni geni. Questo implicherebbe che mutazioni a carico delle regioni che definiscono quando, quanto e dove attivare un gene (definite regioni promotrici) sarebbero implicate nell’origine di nuove specie più di quanto facciano le mutazioni a carico delle sequenze codificanti.
Questa ipotesi è stata verificata dal gruppo di ricerca di Michael Snyder sui lieviti del genere Saccharomyces ed i dati ottenuti sono stati pubblicati sul numero del 10 Agosto della rivista Science. In particolare, Snyder e colleghi hanno mostrato come la distinzione dei lieviti nelle specie S. cerevisiae, S. mikatae e S. bayanus sia dovuta al fatto che alcuni geni vengono attivati in modo differente nelle tre specie a seguito della presenza di differenze nelle regioni promotrici.
Questo significa, quindi, che mutazioni a carico delle regioni promotrici di un gene possono avere effetti di gran lunga superiori rispetto a mutazioni della stessa entità, che avvengono a carico delle regioni codificanti.
Se esteso ad altri modelli si può quindi ipotizzare che la presenza di porzioni codificanti simili non sia indice di una similarità anche nella forma degli organismi che tali geni portano. Applicando questo modello alla genetica umana si potrebbe, quindi, ipotizzare che le basi molecolari all’origine delle differenze tra uomo e scimpanzè non siano da ricercare nelle porzioni codificanti (che risultano infatti simili al 98-99%), ma a livello delle regioni promotrici. Questa ipotesi è supportata da dati pubblicati in precedenza e mostranti come uomo e scimpanzè, pur avendo geni molto simili, presentano in diversi organi (ed in particolare nel cervello) grandi differenze nel numero di geni espressi e nel pattern di espressione di ciascuno di essi.
Mauro Mandrioli
Anthony R. Borneman, Tara A. Gianoulis, Zhengdong D. Zhang, Haiyuan Yu, Joel Rozowsky, Michael R. Seringhaus, Lu Yong Wang, Mark Gerstein, Michael Snyder.
Divergence of transcription factor binding sites across related yeast species.
Science 317: 815-819. 2007
Sino ad alcuni anni or sono molti genetisti avevano una visione assolutamente genecentrica e ponevano enorme attenzione alle sequenze nucleotidiche che costituivano le porzioni codificanti dei geni. Tali analisi tuttavia mostravano, in modo spesso sorprendente, che i livelli di differenziazione a livello molecolare non concordavano con quelli osservati a livello fenotipico ed in particolare spesso le sequenze codificanti risultavano essere molto simili in specie ben distinguibili a livello morfologico. A cosa si doveva quindi l’origine delle differenze fenotipiche?
Negli ultimi anni ha preso progressivamente forza l’idea che alla base della diversificazione di specie filogeneticamente correlate non vi fossero mutazioni a carico delle sequenze geniche codificanti, ma differenze nel pattern di espressione di alcuni geni. Questo implicherebbe che mutazioni a carico delle regioni che definiscono quando, quanto e dove attivare un gene (definite regioni promotrici) sarebbero implicate nell’origine di nuove specie più di quanto facciano le mutazioni a carico delle sequenze codificanti.
Questa ipotesi è stata verificata dal gruppo di ricerca di Michael Snyder sui lieviti del genere Saccharomyces ed i dati ottenuti sono stati pubblicati sul numero del 10 Agosto della rivista Science. In particolare, Snyder e colleghi hanno mostrato come la distinzione dei lieviti nelle specie S. cerevisiae, S. mikatae e S. bayanus sia dovuta al fatto che alcuni geni vengono attivati in modo differente nelle tre specie a seguito della presenza di differenze nelle regioni promotrici.
Questo significa, quindi, che mutazioni a carico delle regioni promotrici di un gene possono avere effetti di gran lunga superiori rispetto a mutazioni della stessa entità, che avvengono a carico delle regioni codificanti.
Se esteso ad altri modelli si può quindi ipotizzare che la presenza di porzioni codificanti simili non sia indice di una similarità anche nella forma degli organismi che tali geni portano. Applicando questo modello alla genetica umana si potrebbe, quindi, ipotizzare che le basi molecolari all’origine delle differenze tra uomo e scimpanzè non siano da ricercare nelle porzioni codificanti (che risultano infatti simili al 98-99%), ma a livello delle regioni promotrici. Questa ipotesi è supportata da dati pubblicati in precedenza e mostranti come uomo e scimpanzè, pur avendo geni molto simili, presentano in diversi organi (ed in particolare nel cervello) grandi differenze nel numero di geni espressi e nel pattern di espressione di ciascuno di essi.
Mauro Mandrioli
Anthony R. Borneman, Tara A. Gianoulis, Zhengdong D. Zhang, Haiyuan Yu, Joel Rozowsky, Michael R. Seringhaus, Lu Yong Wang, Mark Gerstein, Michael Snyder.
Divergence of transcription factor binding sites across related yeast species.
Science 317: 815-819. 2007
L'evoluzione e la sua complessità discussa a Londra
Lo scorso 9 Luglio presso il Museo di Storia Naturale di Londra si è svolta una discussione sul tema dell'evoluzione e della sua complessità.
Erano presenti Richard Dawkins (Charles Simonyi Professor in Public Understanding of Science presso la Oxford University, famoso biologo e divulgatore, autore di numerosissimi libri di successo, tra i molti ricordiamo il più famoso "Il Gene Egoista" Mondadori 1992, uno degli ultimi e meraviglioso "Il racconto dell'antenato", Mondadori 2006 e il discusso "The God Delusion", Bentam Press 2006), Steve Jones (genetista, professore all'University College di Londra e autore di diversi libri divulgativi tra cui "Quasi come una balena", Codice 2005), Lewis Wolpert (biologo, professore al dipartimento di antomia e biologia dello svoluppo dell University College di Londra) e il moderatore Peter Bentley (biologo, ricercatore al UCL, impegnato nel campo della comunicazione della scienza).
Il numeroso pubblico, circa 600 persone, ha potuto ascoltare gli interventi in una fantastica cornice: la sala d'ingresso del bellissimo museo inglese. Per tutti ora è possibile rivedere i filmati della serata o ascoltarne l'audio: QUI.
Chiara Ceci
Erano presenti Richard Dawkins (Charles Simonyi Professor in Public Understanding of Science presso la Oxford University, famoso biologo e divulgatore, autore di numerosissimi libri di successo, tra i molti ricordiamo il più famoso "Il Gene Egoista" Mondadori 1992, uno degli ultimi e meraviglioso "Il racconto dell'antenato", Mondadori 2006 e il discusso "The God Delusion", Bentam Press 2006), Steve Jones (genetista, professore all'University College di Londra e autore di diversi libri divulgativi tra cui "Quasi come una balena", Codice 2005), Lewis Wolpert (biologo, professore al dipartimento di antomia e biologia dello svoluppo dell University College di Londra) e il moderatore Peter Bentley (biologo, ricercatore al UCL, impegnato nel campo della comunicazione della scienza).
Il numeroso pubblico, circa 600 persone, ha potuto ascoltare gli interventi in una fantastica cornice: la sala d'ingresso del bellissimo museo inglese. Per tutti ora è possibile rivedere i filmati della serata o ascoltarne l'audio: QUI.
Chiara Ceci
L'evoluzione sulla barriera corallina
I reef sono un hot spot di biodiversità incredibile, e ora uno studio lo domostra con prove paleontologiche e molecolari.
Gli ecosistemi delle barriere coralline coprono circa l'1% della superficie degli oceani eppure accolgono più del 50% delle specie strettamente acquatiche conosciute. Per un biologo evoluzionista esse rappresentano dunque un piccolo paradiso sommerso.Lo studio pubblicato su Evolution riguarda la filogenesi e macroevoluzione di un gruppo di pesci, i tetraodontiformi, che comprende i pesci palla, i pesci balestra e gli enormi pesci luna.Questo gruppo di animali possiede uno dei record fossili più studiati fra i pesci teleostei, e molti dei reperti riguardanti questo gruppo provengono da uno dei siti fossiliferi più importanti d’Italia: Monte Bolca, praticamente una laguna pietrificata
Grazie a questa grande conoscenza del gruppo è stato possibile effettuare le analisi di orologio molecolare basate su un numero molto elevato di calibrazioni fossili, ben 11. Solitamente gli studi che utilizzano l'orologio molecolare si basano solo su pochi fossili e spesso solo uno. I risultati della ricerca indicano che l'origine dei gruppi principali di pesci tetraodontiformi coincide con periodi di grandi transizioni geologiche ed ecologiche (come l'estinzione KT al termine del Mesozoico, o il passaggio dal un clima globale molto caldo dell'Eocene ad uno molto piu' freddo nell'Oligocene).L'origine delle barriere coralline a partire dalla fine dell'Oligocene (25 milioni di anni fa) ha inoltre permesso ai gruppi di tetraodontiformi che vivono in ambienti costieri tropicali di avere dei tassi di cladogenesi molto superiori rispetto alle linee filogenetiche che invece occupano altri tipi di ecosistemi marini (come quelli pelagici o di acque profonde).
Francesco Santini, ricercatore all’università di Toronto, membro della SIBE, società italiana biologia evoluzionistica, ci racconta che “anche se è noto da molto tempo che i gruppi di organismi marini che vivono in associazione con le barriere coralline sono molto più ricchi di specie dei gruppi che occupano altri ecosistemi, questo e' il primo studio che dimostra in maniera conclusiva come la diversificazione della fauna associata con le barriere corallina e' dovuta all'associazione ecologica con queste”.
Chiara Ceci
Michael E. Alfaro, Francesco Santini, Chad D. Brock. DO REEFS DRIVE DIVERSIFICATION IN MARINE TELEOSTS? EVIDENCE FROM THE PUFFERFISH AND THEIR ALLIES (ORDER TETRAODONTIFORMES). Evolution (OnlineEarly Articles). doi:10.1111/j.1558-5646.2007.00182.x
Gli ecosistemi delle barriere coralline coprono circa l'1% della superficie degli oceani eppure accolgono più del 50% delle specie strettamente acquatiche conosciute. Per un biologo evoluzionista esse rappresentano dunque un piccolo paradiso sommerso.Lo studio pubblicato su Evolution riguarda la filogenesi e macroevoluzione di un gruppo di pesci, i tetraodontiformi, che comprende i pesci palla, i pesci balestra e gli enormi pesci luna.Questo gruppo di animali possiede uno dei record fossili più studiati fra i pesci teleostei, e molti dei reperti riguardanti questo gruppo provengono da uno dei siti fossiliferi più importanti d’Italia: Monte Bolca, praticamente una laguna pietrificata
Grazie a questa grande conoscenza del gruppo è stato possibile effettuare le analisi di orologio molecolare basate su un numero molto elevato di calibrazioni fossili, ben 11. Solitamente gli studi che utilizzano l'orologio molecolare si basano solo su pochi fossili e spesso solo uno. I risultati della ricerca indicano che l'origine dei gruppi principali di pesci tetraodontiformi coincide con periodi di grandi transizioni geologiche ed ecologiche (come l'estinzione KT al termine del Mesozoico, o il passaggio dal un clima globale molto caldo dell'Eocene ad uno molto piu' freddo nell'Oligocene).L'origine delle barriere coralline a partire dalla fine dell'Oligocene (25 milioni di anni fa) ha inoltre permesso ai gruppi di tetraodontiformi che vivono in ambienti costieri tropicali di avere dei tassi di cladogenesi molto superiori rispetto alle linee filogenetiche che invece occupano altri tipi di ecosistemi marini (come quelli pelagici o di acque profonde).
Francesco Santini, ricercatore all’università di Toronto, membro della SIBE, società italiana biologia evoluzionistica, ci racconta che “anche se è noto da molto tempo che i gruppi di organismi marini che vivono in associazione con le barriere coralline sono molto più ricchi di specie dei gruppi che occupano altri ecosistemi, questo e' il primo studio che dimostra in maniera conclusiva come la diversificazione della fauna associata con le barriere corallina e' dovuta all'associazione ecologica con queste”.
Chiara Ceci
Michael E. Alfaro, Francesco Santini, Chad D. Brock. DO REEFS DRIVE DIVERSIFICATION IN MARINE TELEOSTS? EVIDENCE FROM THE PUFFERFISH AND THEIR ALLIES (ORDER TETRAODONTIFORMES). Evolution (OnlineEarly Articles). doi:10.1111/j.1558-5646.2007.00182.x
Ricordando Alfred Russel Wallace
Chi era Alfred Russel Wallace? Sebbene spesso dimenticato e meno popolare di altri scienziati, Wallace continua a stimolare numerosi ricercatori che hanno a lui dedicato quattro nuove biografie.
Alfred Russel Wallace (8 gennaio 1823 - 7 novembre 1913) è spesso considerato uno scienziato dimenticato, a dispetto dell’enorme importanza che i suoi scritti ebbero sulla definizione della teoria dell’evoluzione e sul lavoro di Darwin. Wallace formulò, infatti, una personale teoria evoluzionistica simile a quella di Charles Darwin nello stesso periodo in cui lo stesso Darwin elaborava la propria.
A distanza di poco più di 100 anni dalla pubblicazione della sua autobiografia intitolata “My Life”, ecco ora disponibili altre quattro biografie, segnalate da Sandra Knapp sull’ultimo volume (vol. 92, settembre 2007) della prestigiosa rivista Biological Journal of the Linnean Society.
Uno degli aspetti che colpisce è che, sebbene Wallace sia considerato uno scienziato poco noto al grande pubblico, lo stesso non si può dire per gli evoluzionisti e per gli storici della scienza che hanno a lui dedicato una enorme attenzione, come testimoniato dal fatto che nel corso dell’ultimo secolo sono state pubblicate ben due nuove biografie per decade.
Wallace fu infatti un personaggio unico, poiché se da un lato si caratterizzava per il suo fascino e la genialità del suo intelletto, dall’altro si rimane perplessi nel ritrovare nello stesso personaggio anche un “ecologista” ante litteram, un passionale socialista ed un convinto spiritista.
Per chi volesse approfondire la propria conoscenza di Wallace, ecco i riferimenti delle ultime quattro biografia a lui dedicate:
The Forgotten Naturalist: In Search of Alfred Russel Wallace di John G. Wilson. Australian Scholarly Publishing Pty Ltd, 2000..
Alfred Russel Wallace: A Life di Peter Raby. Chatto & Windus Ltd (USA: Princeton University Press), 2001.
The Alfred Russel Wallace Reader: A Selection of Writings from the Field di Jane Camerini. The Johns Hopkins University Press, 2002.
Infinite Tropics: An Alfred Russel Wallace Anthology di Andrew Berry. London & New York: Verso, 2002.
Per chi preferisse invece un testo scritto in italiano, da non perdere è sicuramente il testo intitolato “L’uomo che getto nel panico Darwin. La vita e le scoperte di Alfred Russel Wallace” (Bollati Boringhieri, 2006, euro 24) scritto da Federico Focher, ricercatore dell’Istituto di Genetica Molecolare (Igm) del CNR di Pavia. Il libro di Focher non è solamente la prima monografia italiana dedicata al naturalista vittoriano, ma anche un affascinante testo che guida il lettore alla scoperta di questo geniale, quanto complesso, scienziato che nella sua lunga vita (Wallace morì all'età di 90 anni!!) diede prova di essere molto abile nei più disparati ambiti della ricerca scientifica.
Mauro Mandrioli
Alfred Russel Wallace (8 gennaio 1823 - 7 novembre 1913) è spesso considerato uno scienziato dimenticato, a dispetto dell’enorme importanza che i suoi scritti ebbero sulla definizione della teoria dell’evoluzione e sul lavoro di Darwin. Wallace formulò, infatti, una personale teoria evoluzionistica simile a quella di Charles Darwin nello stesso periodo in cui lo stesso Darwin elaborava la propria.
A distanza di poco più di 100 anni dalla pubblicazione della sua autobiografia intitolata “My Life”, ecco ora disponibili altre quattro biografie, segnalate da Sandra Knapp sull’ultimo volume (vol. 92, settembre 2007) della prestigiosa rivista Biological Journal of the Linnean Society.
Uno degli aspetti che colpisce è che, sebbene Wallace sia considerato uno scienziato poco noto al grande pubblico, lo stesso non si può dire per gli evoluzionisti e per gli storici della scienza che hanno a lui dedicato una enorme attenzione, come testimoniato dal fatto che nel corso dell’ultimo secolo sono state pubblicate ben due nuove biografie per decade.
Wallace fu infatti un personaggio unico, poiché se da un lato si caratterizzava per il suo fascino e la genialità del suo intelletto, dall’altro si rimane perplessi nel ritrovare nello stesso personaggio anche un “ecologista” ante litteram, un passionale socialista ed un convinto spiritista.
Per chi volesse approfondire la propria conoscenza di Wallace, ecco i riferimenti delle ultime quattro biografia a lui dedicate:
The Forgotten Naturalist: In Search of Alfred Russel Wallace di John G. Wilson. Australian Scholarly Publishing Pty Ltd, 2000..
Alfred Russel Wallace: A Life di Peter Raby. Chatto & Windus Ltd (USA: Princeton University Press), 2001.
The Alfred Russel Wallace Reader: A Selection of Writings from the Field di Jane Camerini. The Johns Hopkins University Press, 2002.
Infinite Tropics: An Alfred Russel Wallace Anthology di Andrew Berry. London & New York: Verso, 2002.
Per chi preferisse invece un testo scritto in italiano, da non perdere è sicuramente il testo intitolato “L’uomo che getto nel panico Darwin. La vita e le scoperte di Alfred Russel Wallace” (Bollati Boringhieri, 2006, euro 24) scritto da Federico Focher, ricercatore dell’Istituto di Genetica Molecolare (Igm) del CNR di Pavia. Il libro di Focher non è solamente la prima monografia italiana dedicata al naturalista vittoriano, ma anche un affascinante testo che guida il lettore alla scoperta di questo geniale, quanto complesso, scienziato che nella sua lunga vita (Wallace morì all'età di 90 anni!!) diede prova di essere molto abile nei più disparati ambiti della ricerca scientifica.
Mauro Mandrioli
E’ possibile prevedere la biodiversità di una foresta?
Conoscendo la biodiversità vegetale che caratterizza una determinata foresta, è possibile tentare di ipotizzare quanto sarà estesa la biodiversità animale che la caratterizza?
Il numero di Nature del 9 Agosto ha presentato due articoli molto interessanti relativi alla possibilità di sviluppare modelli per cercare di quantificare la biodiversità animale che caratterizza una data foresta di cui è nota la biodiversità vegetale. L’idea di base di questi progetti è cercare di capire come si origina la biodiversità e che relazioni vi siano tra la biodiversità vegetale e quella animale.
In particolare, i lavori di Vojtech Novotny e colleghi (Biology Center of the Czech Academy of Sciences and School of Biological Sciences, University of South Bohemia, Czech Republic) e di Lee A. Dyer e colleghi (Department of Ecology and Evolutionary Biology, Tulane University, New Orleans, USA) si sono concentrati sugli insetti ed hanno cercato di verificare se esista una relazione tra la biodiversità vegetale e quella degli insetti erbivori che abitano alcune foreste oggetto di studio. In modo del tutto sorprendente, i due lavori giungono a conclusioni differenti mostrando come sia in realtà molto difficile prevedere i livelli di biodiversità.
Novotny e colleghi, studiando un ampio tratto di foresta in Papua Nuova Guinea, hanno mostrato infatti che la biodiversità degli insetti erbivori è costante nel tratto di foresta studiato (che si estende per circa 75.000 Km quadrati) a suggerire che i livelli di biodiversità vegetale siano direttamente collegabili alla biodiversità degli insetti presenti. Quindi, tutte le foreste caratterizzate da una ridotta variazione della biodiversità vegetale (tra cui anche le foreste dell’Amazzonia e del Congo) dovrebbero avere una situazione simile ovvero una bassa biodiversità degli insetti erbivori. Questo dato, se sommato ad uno precedentemente pubblicato dagli stessi autori indicante che gli insetti erbivori delle foreste tropicali presentano gli stessi livelli di preferenze alimentari rispetto alle specie che vivono in regioni temperate, porterebbe a rivedere al ribasso i livelli di biodiversità data da insetti nelle foreste tropicali.
Al contrario, i dati pubblicati da Dyer e colleghi (derivanti dall’analisi di dati acquisiti dal 1936 ad oggi su una vasta gamma di foreste che vanno dal Canada al Brasile) indicano un maggior livello di specializzazione degli insetti erbivori nelle foreste tropicali rispetto a quanto non avvenga nelle foreste a climi temperati. Questo significherebbe, quindi, che nei climi temperati più piante possono rappresentare fonte di cibo per gli insetti erbivori, mentre nelle regioni tropicali vi sarebbe una maggior specializzazione e quindi una maggior differenziazione in specie distinte (ovvero maggiore biodiversità) rispetto alle foreste a clima temperato.
Quale di questi due modelli è più veritiero? Al momento è difficile dare una risposta anche se l’elevata quantità di dati considerati da Dryer e colleghi rispetto a Novotny potrebbe favorire la proposta dei primi rispetto ai secondi. Considerato, tuttavia, che gli insetti erbivori rappresentano solo una parte degli insetti presenti in una foresta, è realmente possibile prevedere quanta biodiversità è presente in una data foresta? Forse al momento è impossibile rispondere, ma sicuramente entrambi questi lavori rappresenteranno un forte stimolo a cercare di capire come la biodiversità si origini e quanto essa si ampia nelle foreste tropicali rispetto a quelle a clima temperato.
Mauro Mandrioli
V. Novotny, S. E. Miller, J. Hulcr et al. Low beta diversity of herbivorous insects in tropical forests. Nature 448: 692-695. 2007.
L. A. Dyer, M. S. Singer, J. T. Lill, et al. Host specificity of Lepidoptera in tropical and temperate forests. Nature 448: 696-699. 2007.
Il numero di Nature del 9 Agosto ha presentato due articoli molto interessanti relativi alla possibilità di sviluppare modelli per cercare di quantificare la biodiversità animale che caratterizza una data foresta di cui è nota la biodiversità vegetale. L’idea di base di questi progetti è cercare di capire come si origina la biodiversità e che relazioni vi siano tra la biodiversità vegetale e quella animale.
In particolare, i lavori di Vojtech Novotny e colleghi (Biology Center of the Czech Academy of Sciences and School of Biological Sciences, University of South Bohemia, Czech Republic) e di Lee A. Dyer e colleghi (Department of Ecology and Evolutionary Biology, Tulane University, New Orleans, USA) si sono concentrati sugli insetti ed hanno cercato di verificare se esista una relazione tra la biodiversità vegetale e quella degli insetti erbivori che abitano alcune foreste oggetto di studio. In modo del tutto sorprendente, i due lavori giungono a conclusioni differenti mostrando come sia in realtà molto difficile prevedere i livelli di biodiversità.
Novotny e colleghi, studiando un ampio tratto di foresta in Papua Nuova Guinea, hanno mostrato infatti che la biodiversità degli insetti erbivori è costante nel tratto di foresta studiato (che si estende per circa 75.000 Km quadrati) a suggerire che i livelli di biodiversità vegetale siano direttamente collegabili alla biodiversità degli insetti presenti. Quindi, tutte le foreste caratterizzate da una ridotta variazione della biodiversità vegetale (tra cui anche le foreste dell’Amazzonia e del Congo) dovrebbero avere una situazione simile ovvero una bassa biodiversità degli insetti erbivori. Questo dato, se sommato ad uno precedentemente pubblicato dagli stessi autori indicante che gli insetti erbivori delle foreste tropicali presentano gli stessi livelli di preferenze alimentari rispetto alle specie che vivono in regioni temperate, porterebbe a rivedere al ribasso i livelli di biodiversità data da insetti nelle foreste tropicali.
Al contrario, i dati pubblicati da Dyer e colleghi (derivanti dall’analisi di dati acquisiti dal 1936 ad oggi su una vasta gamma di foreste che vanno dal Canada al Brasile) indicano un maggior livello di specializzazione degli insetti erbivori nelle foreste tropicali rispetto a quanto non avvenga nelle foreste a climi temperati. Questo significherebbe, quindi, che nei climi temperati più piante possono rappresentare fonte di cibo per gli insetti erbivori, mentre nelle regioni tropicali vi sarebbe una maggior specializzazione e quindi una maggior differenziazione in specie distinte (ovvero maggiore biodiversità) rispetto alle foreste a clima temperato.
Quale di questi due modelli è più veritiero? Al momento è difficile dare una risposta anche se l’elevata quantità di dati considerati da Dryer e colleghi rispetto a Novotny potrebbe favorire la proposta dei primi rispetto ai secondi. Considerato, tuttavia, che gli insetti erbivori rappresentano solo una parte degli insetti presenti in una foresta, è realmente possibile prevedere quanta biodiversità è presente in una data foresta? Forse al momento è impossibile rispondere, ma sicuramente entrambi questi lavori rappresenteranno un forte stimolo a cercare di capire come la biodiversità si origini e quanto essa si ampia nelle foreste tropicali rispetto a quelle a clima temperato.
Mauro Mandrioli
V. Novotny, S. E. Miller, J. Hulcr et al. Low beta diversity of herbivorous insects in tropical forests. Nature 448: 692-695. 2007.
L. A. Dyer, M. S. Singer, J. T. Lill, et al. Host specificity of Lepidoptera in tropical and temperate forests. Nature 448: 696-699. 2007.
Breve introduzione alla teoria dell'evoluzione. Aggiornamento
Il quotidiano Repubblica, mercoledi 27 giugno ha pubblicato la prima parte di una breve introduzione alla teoria evolutiva cui ne seguiranno altre. I testi sono curati da Luigi e Luca Cavalli Sforza che non hanno bisogno di presentazioni. L'argomento è svolto con estrema chiarezza, rigore e semplicità.
Ecco i primi otto appuntamenti di lettura.
Prima puntataIl segreto della vita. Il principio è l'autoriproduzione, 27 giugno 2006
Seconda puntataLa scoperta del monaco Mendel. Perchè i figli assomigliano ai genitori, 12 luglio 2007
Terza puntataCome muta e migliora una specie, 18 luglio 2007
Quarta puntataE il Dna svelò i suoi segreti, 24 luglio 2007
Quinta puntataChi sono i nemici di Darwin, 31 luglio 2007
Settima puntataIn origine c'era solo una lingua, 8 agosto 2007
Ottava puntata L'invenzione è la specialità degli umani, 17 agosto 2007
Prossime puntate................
Paolo Coccia
Ecco i primi otto appuntamenti di lettura.
Prima puntataIl segreto della vita. Il principio è l'autoriproduzione, 27 giugno 2006
Seconda puntataLa scoperta del monaco Mendel. Perchè i figli assomigliano ai genitori, 12 luglio 2007
Terza puntataCome muta e migliora una specie, 18 luglio 2007
Quarta puntataE il Dna svelò i suoi segreti, 24 luglio 2007
Quinta puntataChi sono i nemici di Darwin, 31 luglio 2007
Settima puntataIn origine c'era solo una lingua, 8 agosto 2007
Ottava puntata L'invenzione è la specialità degli umani, 17 agosto 2007
Prossime puntate................
Paolo Coccia
Notte da Gufi. Etologia e mistero dei rapaci notturni italiani
Cari amici ornitologi ed appassionati di gufi, ho pensato di raggiungere tutti voi con questa mail informativa della mia ultima fatica "letteraria/ornitologica!"Notte da Gufi. Etologia e mistero dei rapaci notturni italiani un libro dedicato ad una passione, quella per gufi, civette, allocchi che mi accompagna da oltre 15 anni!
E' un'opera particolare che racchiude molte informazioni e curiosità sui 10 rapaci notturni italiani. Il libro è ricco di fotografie straordinarie di alcuni dei migliori fotografi europei ed americani! Sono presenti capitoli descrittivi dei 10 strigiformi italiani che oltre a raccontare aspetti etologici svelano novità comportamentali di questi predatori emerse in alcune ricerche recentissime condotte in tutta Europa.Inoltre troverete dei capitoli speciali dedicati alla biologia ed al comportamento: la vista, l'udito, il mobbing, le vocalizzazioni e la territorialità, il playback, le curiosità e leggende viste con un occhio ornitologo .... se qualcuno fosse interessato al libro può scrivermi:
marco.mastrorilli @tin.it
Marco MastrorilliBoltiere (BG)
www.flammeus.it
www.gruppoitalianocivette.it
E' un'opera particolare che racchiude molte informazioni e curiosità sui 10 rapaci notturni italiani. Il libro è ricco di fotografie straordinarie di alcuni dei migliori fotografi europei ed americani! Sono presenti capitoli descrittivi dei 10 strigiformi italiani che oltre a raccontare aspetti etologici svelano novità comportamentali di questi predatori emerse in alcune ricerche recentissime condotte in tutta Europa.Inoltre troverete dei capitoli speciali dedicati alla biologia ed al comportamento: la vista, l'udito, il mobbing, le vocalizzazioni e la territorialità, il playback, le curiosità e leggende viste con un occhio ornitologo .... se qualcuno fosse interessato al libro può scrivermi:
marco.mastrorilli @tin.it
Marco MastrorilliBoltiere (BG)
www.flammeus.it
www.gruppoitalianocivette.it
Prima scuola estiva della SIBE
Come saprete a fine giugno si è svolta la prima scuola estiva della SIBE.Quest'anno è stata organizzata in collaborazione con il Centro di Ecologia Alpina e si è discusso di Evoluzione del genoma: meccanismi, dinamiche e casi di studio.
Durante i quattro giorni della scuola (19-22 Giugno 2007) quattordici studenti e sei ricercatori provenienti da tutta Italia hanno parlato dei diversi aspetti dell´evoluzione del genoma, spaziando dalla "Selezione naturale ed evoluzione del genoma" (J. Parsch, Ludwig-Maximilians- Universität München) all' "Evoluzione del genoma delle piante" (M. Morgante, Università di Udine), ma anche di "Evoluzione dei cromosomi" (M. Rocchi, Università di Bari), "I markers molecolari nello studio del genoma" (L. Bargelloni, Università di Padova), l' "Evoluzione del genoma mitocondriale dei metazoi" (C. Gissi, Università di Milano) ed "I progressi della ricerca genomica" (G. Valle, Università di Padova).La scuola ha avuto un ottimo successo, con ben 32 domande di partecipazione (i posti disponibili erano 15), la larga maggioranza da parte di dottorandi, anzi di dottorande (XX:XY pari a 7:1). I file powerpoint o .pdf delle lezioni saranno quanto prima resi disponibili sul sito della SIBE o a richiesta da me (lino.ometto @unil.ch).Tutti, studenti, docenti ed organizzatori, sono stati soddisfatti dall'esperienza, che la SIBE ripeterà sicuramente nei prossimi anni migliorando l'offerta secondo i preziosi consigli ricevuti dai partecipanti. Se qualcuno di voi ha qualche preferenza sul tema della prossima scuola (programmata per il 2009) ce lo faccia sapere.
Buona giornata,
Lino Ometto
eMail lino.ometto @unil.ch
web www.unil.ch/dee/page31106.html
Italian Society for Evolutionary Biology www.sibe-iseb.it
Durante i quattro giorni della scuola (19-22 Giugno 2007) quattordici studenti e sei ricercatori provenienti da tutta Italia hanno parlato dei diversi aspetti dell´evoluzione del genoma, spaziando dalla "Selezione naturale ed evoluzione del genoma" (J. Parsch, Ludwig-Maximilians- Universität München) all' "Evoluzione del genoma delle piante" (M. Morgante, Università di Udine), ma anche di "Evoluzione dei cromosomi" (M. Rocchi, Università di Bari), "I markers molecolari nello studio del genoma" (L. Bargelloni, Università di Padova), l' "Evoluzione del genoma mitocondriale dei metazoi" (C. Gissi, Università di Milano) ed "I progressi della ricerca genomica" (G. Valle, Università di Padova).La scuola ha avuto un ottimo successo, con ben 32 domande di partecipazione (i posti disponibili erano 15), la larga maggioranza da parte di dottorandi, anzi di dottorande (XX:XY pari a 7:1). I file powerpoint o .pdf delle lezioni saranno quanto prima resi disponibili sul sito della SIBE o a richiesta da me (lino.ometto @unil.ch).Tutti, studenti, docenti ed organizzatori, sono stati soddisfatti dall'esperienza, che la SIBE ripeterà sicuramente nei prossimi anni migliorando l'offerta secondo i preziosi consigli ricevuti dai partecipanti. Se qualcuno di voi ha qualche preferenza sul tema della prossima scuola (programmata per il 2009) ce lo faccia sapere.
Buona giornata,
Lino Ometto
eMail lino.ometto @unil.ch
web www.unil.ch/dee/page31106.html
Italian Society for Evolutionary Biology www.sibe-iseb.it
Lunga intervista a E. O. Wilson
Il padre della sociobiologia parla di biologia, conservazione ed evoluzione
La rete via cavo C-Span mette in rete tutta la produzione, o almeno quella rilevante per ragioni educative o politiche. A questo indirizzo è possibile vedere una lunghissima (3 ore) intervista a Edward Wilson, il padre della sociobiologia, notissimo divulgatore di temi evoluzionistici e conservazionistici. L'intervista si può vedere in due formati diversi, con Real Player e con Windows Media Player. La risoluzione è buona, il flusso costante, anche se molto probabilmente è meglio avere una connessione veloce (ISDN o fibra). Per vederla, cliccate in alto a destra, sotto la scritta Watch. L'intervista, anche se non ci sono stacchi dalla faccia dei due protagonisti, è molto interessante, anche perché l'intervistatore sembra al di fuori del mondo della biologia evoluzionistica, ma abbastanza intelligente da fare domande pertinenti. Una bella differenza con i nostri giornalisti...
Marco Ferrari
La rete via cavo C-Span mette in rete tutta la produzione, o almeno quella rilevante per ragioni educative o politiche. A questo indirizzo è possibile vedere una lunghissima (3 ore) intervista a Edward Wilson, il padre della sociobiologia, notissimo divulgatore di temi evoluzionistici e conservazionistici. L'intervista si può vedere in due formati diversi, con Real Player e con Windows Media Player. La risoluzione è buona, il flusso costante, anche se molto probabilmente è meglio avere una connessione veloce (ISDN o fibra). Per vederla, cliccate in alto a destra, sotto la scritta Watch. L'intervista, anche se non ci sono stacchi dalla faccia dei due protagonisti, è molto interessante, anche perché l'intervistatore sembra al di fuori del mondo della biologia evoluzionistica, ma abbastanza intelligente da fare domande pertinenti. Una bella differenza con i nostri giornalisti...
Marco Ferrari
Speciazione come difesa
La difesa dai parassiti, tramite lo sviluppo di diverse risposte immunologiche sotto l'azione della selezione divergente, avrebbe causato la speciazione di due specie di ciclidi africani.
I grandi laghi africani sono ben conosciuti per le centinaia di pesci, che vengono spesso venduti agli acquariofili di tutto il mondo, appartenenti all'unica famiglia dei Cichlidae. Tutte queste specie, che ammontano a più di un migliaio, sono il risultato di un'imponente radiazione adattativa piuttosto recente, in quanto i laghi in cui proliferano non si sono formati più 5 milioni di anni fa. Inoltre, tutte le specie conosciute appartengono ad un monophylum esclusivo di questi laghi.
Sono state esposte numerose teorie riguardo le dinamiche di speciazione dei Cichlidae: le pressioni selettive sul processo di speciazione sono state individuate nelle diversificazione dell'habitat e degli apparati boccali e nell'azione della selezione sessuale. Un recente studio, pubblicato sulla rivista Public Library of Science e condotto da un gruppo internazionale di ricercatori canadesi, spagnoli e inglesi, ha evidenziato una nuova fonte di pressioni selettive che avrebbe potuto causare eventi di speciazione: lo sviluppo di sistemi immunologici diversi.
Le specie Pseudotropheus emmiltos e Pseudotropheus fainzilberi, endemiche residenti nella regione nord-occidentale del Lago Malawi e strettamente imparentate, sembra infatti che basino il riconoscimento dei conspecifici sull'olfatto, piuttosto che, come si riteneva fino ad ora, sulle differenze di colorazione, risultato della selezione sessuale. Esse hanno infatti un aspetto molto simile, differendo solamente per il colore della pinna dorsale, e, nonostante ciò, condividono lo stesso habitat.
E' stato dimostrato, in molti vertebrati compreso l'uomo, che i comportamenti sessuali legati all'olfatto sono spesso influenzati dai geni del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Questi geni codificano per molecole MHC, peroteine eterodimeriche di membrana che svolgono la funzione di presentare gli antigeni ai linfociti T, direttamente coinvolte nelle risposte immunologiche contro agenti patogeni. Un'analisi molecolare ha evidenziato come le due specie considerate differiscano fortemente nelle sequenze dei geni MHC.
Da questi risultati, i ricercatori hanno ipotizzato che la selezione naturale abbia agito su essi in diverse direzioni (selezione divergente), portando alla speciazione. Infatti, lo studio sottolinea anche che Pseudotropheus emmiltos e Pseudotropheus fainzilberi sono infettate primariamente da diversi tipi di parassiti, individuati come la fonte della differente pressione selettiva.
Nella foto un maschio e una femmina di Pseudotropheus lombardoi, una specie affine a Pseudotropheus emmiltos e Pseudotropheus fainzilberi e anch'essa endemica del lago Malawi.
Andrea Romano
I grandi laghi africani sono ben conosciuti per le centinaia di pesci, che vengono spesso venduti agli acquariofili di tutto il mondo, appartenenti all'unica famiglia dei Cichlidae. Tutte queste specie, che ammontano a più di un migliaio, sono il risultato di un'imponente radiazione adattativa piuttosto recente, in quanto i laghi in cui proliferano non si sono formati più 5 milioni di anni fa. Inoltre, tutte le specie conosciute appartengono ad un monophylum esclusivo di questi laghi.
Sono state esposte numerose teorie riguardo le dinamiche di speciazione dei Cichlidae: le pressioni selettive sul processo di speciazione sono state individuate nelle diversificazione dell'habitat e degli apparati boccali e nell'azione della selezione sessuale. Un recente studio, pubblicato sulla rivista Public Library of Science e condotto da un gruppo internazionale di ricercatori canadesi, spagnoli e inglesi, ha evidenziato una nuova fonte di pressioni selettive che avrebbe potuto causare eventi di speciazione: lo sviluppo di sistemi immunologici diversi.
Le specie Pseudotropheus emmiltos e Pseudotropheus fainzilberi, endemiche residenti nella regione nord-occidentale del Lago Malawi e strettamente imparentate, sembra infatti che basino il riconoscimento dei conspecifici sull'olfatto, piuttosto che, come si riteneva fino ad ora, sulle differenze di colorazione, risultato della selezione sessuale. Esse hanno infatti un aspetto molto simile, differendo solamente per il colore della pinna dorsale, e, nonostante ciò, condividono lo stesso habitat.
E' stato dimostrato, in molti vertebrati compreso l'uomo, che i comportamenti sessuali legati all'olfatto sono spesso influenzati dai geni del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC). Questi geni codificano per molecole MHC, peroteine eterodimeriche di membrana che svolgono la funzione di presentare gli antigeni ai linfociti T, direttamente coinvolte nelle risposte immunologiche contro agenti patogeni. Un'analisi molecolare ha evidenziato come le due specie considerate differiscano fortemente nelle sequenze dei geni MHC.
Da questi risultati, i ricercatori hanno ipotizzato che la selezione naturale abbia agito su essi in diverse direzioni (selezione divergente), portando alla speciazione. Infatti, lo studio sottolinea anche che Pseudotropheus emmiltos e Pseudotropheus fainzilberi sono infettate primariamente da diversi tipi di parassiti, individuati come la fonte della differente pressione selettiva.
Nella foto un maschio e una femmina di Pseudotropheus lombardoi, una specie affine a Pseudotropheus emmiltos e Pseudotropheus fainzilberi e anch'essa endemica del lago Malawi.
Andrea Romano
The Skeptic. Il nuovo numero della rivista tocca molti argomenti evoluzionistici
Il nuovo numero di Skeptic (volume 13 numero 2) si presenta con in copertina una caricatura di Richard Dawkins. Questa edizione della rivista si focalizza e approfondisce la visione della religione del biologo inglese con diversi articoli e recensioni in merito.
Cover Story Richard Dawkins
Dawkins v. Collins Debate: A skeptical analysis of the Time magazine debate between Richard Dawkins and Francis Collins
The Skeptic’s Chaplain: Richard Dawkins as a Fountainhead of Skepticism
Two reviews of Richard Dawkins’ The God Delusion:
What a Friend We Have in Dawkins Plus a sidebar: Two Paths to Skepticism by Norman Levitt
The Science Delusion by Deepak Chopra
An Elemental Impulse Religion is so Powerful that Even Soviet Antireligious Policy Failed by Paul Gabel
Who Designed That? Creationism’s Doubts About Intelligent Design by Tom McIver
Inoltre vi troviamo altri interessanti articoli sulla psicologia evoluzionistica e molto altro ancora...
The Science of Friendship. Where Evolutionary Psychology Fails
Junior Skeptic: Evolution Part 2 — Frequently Asked Questions written by Daniel Loxton; illustrations by Daniel Loxton and Jim Smith Is Nature too perfect to have evolved? How do we know that evolution happened? If apes evolved into humans, why are there still apes? Where are the missing links? How do new species come about? Has anyone ever seen something evolve? Are there human footprints with dinosaur footprints? Are dinosaurs still alive in Africa? Do we know how life started? How could something as complicated as eyes evolve? What about religion?
Reviews
Mammoth in the Garden: Why Harmonizing Science and Religion is a Strong Human Need The Creationist Debate: The Encounter Between the Bible & the Historical Mind
Creatures of Accident: The Rise of the Animal Kingdom by Wallace Arthur The Language of God: a Scientist Presents Evidence for Belief
Measuring the Deity reviewed
The Measure of God. Our Century-Long Struggle to Reconcile Science and Religion. The Story of the Gifford Lectures.
Before Darwin. Reconciling God and Nature
God’s Mind & Alice’s Restaurant
Dover, Pennsylvania: The Battle for Our Children reviewed
Monkey Girl
God: The Failed Hypothesis — How Science Shows that God Does Not Exist
Chiara Ceci
Cover Story Richard Dawkins
Dawkins v. Collins Debate: A skeptical analysis of the Time magazine debate between Richard Dawkins and Francis Collins
The Skeptic’s Chaplain: Richard Dawkins as a Fountainhead of Skepticism
Two reviews of Richard Dawkins’ The God Delusion:
What a Friend We Have in Dawkins Plus a sidebar: Two Paths to Skepticism by Norman Levitt
The Science Delusion by Deepak Chopra
An Elemental Impulse Religion is so Powerful that Even Soviet Antireligious Policy Failed by Paul Gabel
Who Designed That? Creationism’s Doubts About Intelligent Design by Tom McIver
Inoltre vi troviamo altri interessanti articoli sulla psicologia evoluzionistica e molto altro ancora...
The Science of Friendship. Where Evolutionary Psychology Fails
Junior Skeptic: Evolution Part 2 — Frequently Asked Questions written by Daniel Loxton; illustrations by Daniel Loxton and Jim Smith Is Nature too perfect to have evolved? How do we know that evolution happened? If apes evolved into humans, why are there still apes? Where are the missing links? How do new species come about? Has anyone ever seen something evolve? Are there human footprints with dinosaur footprints? Are dinosaurs still alive in Africa? Do we know how life started? How could something as complicated as eyes evolve? What about religion?
Reviews
Mammoth in the Garden: Why Harmonizing Science and Religion is a Strong Human Need The Creationist Debate: The Encounter Between the Bible & the Historical Mind
Creatures of Accident: The Rise of the Animal Kingdom by Wallace Arthur The Language of God: a Scientist Presents Evidence for Belief
Measuring the Deity reviewed
The Measure of God. Our Century-Long Struggle to Reconcile Science and Religion. The Story of the Gifford Lectures.
Before Darwin. Reconciling God and Nature
God’s Mind & Alice’s Restaurant
Dover, Pennsylvania: The Battle for Our Children reviewed
Monkey Girl
God: The Failed Hypothesis — How Science Shows that God Does Not Exist
Chiara Ceci
Le vertebre del collo
PZ Myers spiega su Seed la differenza cruciale tra l'avere sei oppure sette vertebre cervicali.
"Proviamo a immaginare un animale a collo lungo. Probabilmente quasi tutti avranno subito pensato alla giraffa oppure ai cigni". Si, probabile. Ma quante vertebre hanno questi animali "tutto collo"? 40, 25, 7, o 6? e come sono fatte?
PZ Myers, sulle pagine del numero di agosto di Seed, ci racconta in un articolo come sempre interessante e coinvolgente, la storia del collo, delle vertebre e di quegli strani animali che hanno un collo lungo...
Chiara Ceci
"Proviamo a immaginare un animale a collo lungo. Probabilmente quasi tutti avranno subito pensato alla giraffa oppure ai cigni". Si, probabile. Ma quante vertebre hanno questi animali "tutto collo"? 40, 25, 7, o 6? e come sono fatte?
PZ Myers, sulle pagine del numero di agosto di Seed, ci racconta in un articolo come sempre interessante e coinvolgente, la storia del collo, delle vertebre e di quegli strani animali che hanno un collo lungo...
Chiara Ceci
Turisti per caso in Evoluti per caso su Rai 3 alle ore 21.00 da lunedi 30 luglio
L'appuntamento con le puntate di “Evoluti per Caso” è il lunedì sera su RAI 3; cercheremo di capire insieme a Pat, Syusy e agli scienziati che li guideranno se la specie umana sopravviverà, o faremo la fine dei dinosauri... Estinti guardando i reality show!Il giro sudamericano di Darwin sul Beagle iniziò in Brasile per concludersi alle Galapagos, per questo Syusy nella prima puntata si trova a Salvador de Bahia. Ma Adriatica... non c'è! Patrizio, insieme allo Skipper Filippo (il nostro Capitano Fitz Roy), è all'ancora alle Galapagos, direttamente al capolinea. Invertire la rotta permetterà infatti di avere il favore dei venti e di arrivare puntuali ad ogni tappa per incontrare i professori.
Più risorse per i figli dei maschi migliori
Le femmine di pavone che si accoppiano con i maschi di alta qualità investono maggiori quantità di risorse nelle uova rispetto a quelle che copulano con maschi inferiori.
Tutti i comportamenti degli animali sono il frutto di un compromesso tra costi e benefici. In molti casi, le femmine sono propense ad investire maggiori energie se i benefici futuri saranno superiori ai costi pagati nell'immediato.
Uno studio, effettuato da biologi del comportamento del Muséum National d'Histoire Naturelle di Parigi e del Helmholtz Centre of Environmental Research (UFZ) di Lipsia, ha messo in luce che le femmine di pavone (Pavo cristatus) che si accoppiano con i maschi più attraenti investono una maggiore quantità di risorse nelle uova rispetto a quelle che copulano con i maschi di bassa qualità. In questo modo, depongono uova più grosse che contengono maggiori quantità di tuorlo, il principale serbatoio di riserve di lipidi e anticorpi, e di testosterone.
E' risaputo, infatti, che la taglia dell'uovo, spesso dipendente dal contenuto di tuorlo, in molte specie di uccelli, è strettamente correlata alle probabilità di schiusa e di sopravvivenza dei pulcini e alle dimensioni corporee fino all'età adulta degli stessi. Il contenuto di testosterone, invece, è collegato alla futura espressione dei caratteri sessuali secondari, fondamentali per la scelta femminile, e, in ultima anlisi, ad un maggior successo riproduttivo.
I ricercatori hanno fatto accoppiare alcune femmine con maschi che presentavano un differente numero di macchie ocellari sulla coda (un carattere che è stato dimostrato influenzare fortemente le scelte femminili in questa specie), dimostrando che gli accoppiamenti con maschi alfa comportavano un maggior investimento materno.
Le femmine dimostrano quindi una notevole plasticità fenotipica, "calcolando" di volta in volta l'entità dell'investimento materno in base alla qualità del maschio e di quella futura dei propri piccoli, che erediteranno i "buoni geni" dai padri.
Andrea Romano
Tutti i comportamenti degli animali sono il frutto di un compromesso tra costi e benefici. In molti casi, le femmine sono propense ad investire maggiori energie se i benefici futuri saranno superiori ai costi pagati nell'immediato.
Uno studio, effettuato da biologi del comportamento del Muséum National d'Histoire Naturelle di Parigi e del Helmholtz Centre of Environmental Research (UFZ) di Lipsia, ha messo in luce che le femmine di pavone (Pavo cristatus) che si accoppiano con i maschi più attraenti investono una maggiore quantità di risorse nelle uova rispetto a quelle che copulano con i maschi di bassa qualità. In questo modo, depongono uova più grosse che contengono maggiori quantità di tuorlo, il principale serbatoio di riserve di lipidi e anticorpi, e di testosterone.
E' risaputo, infatti, che la taglia dell'uovo, spesso dipendente dal contenuto di tuorlo, in molte specie di uccelli, è strettamente correlata alle probabilità di schiusa e di sopravvivenza dei pulcini e alle dimensioni corporee fino all'età adulta degli stessi. Il contenuto di testosterone, invece, è collegato alla futura espressione dei caratteri sessuali secondari, fondamentali per la scelta femminile, e, in ultima anlisi, ad un maggior successo riproduttivo.
I ricercatori hanno fatto accoppiare alcune femmine con maschi che presentavano un differente numero di macchie ocellari sulla coda (un carattere che è stato dimostrato influenzare fortemente le scelte femminili in questa specie), dimostrando che gli accoppiamenti con maschi alfa comportavano un maggior investimento materno.
Le femmine dimostrano quindi una notevole plasticità fenotipica, "calcolando" di volta in volta l'entità dell'investimento materno in base alla qualità del maschio e di quella futura dei propri piccoli, che erediteranno i "buoni geni" dai padri.
Andrea Romano
L'evoluzione neutrale del genoma umano
La deriva genetica casuale e neutra all'azione della selezione naturale avrebbe modellato una parte significativa del genoma umano.
A questa conclusione sono giunti alcuni ricercatori del Johns Hopkins's Institute of Genetic Medicine, guidati da Nicholas Katsanis: la loro ricerca trova spazio sulle pagine online di PLoS Genetics. Il team, analizzando il DNA umano alla ricerca di geni correlati alla sindrome di Bardet Biedl, si e' imbattuto in elementi ripetitivi, cioe' in frammenti costituiti da alcune basi azotate che si ripetono centinaia di volte e che vanno a formare piu' del 40% del nostro genoma. In particolare Katsanis ha trovato nel DNA nucleare degli elementi ripetitivi provenienti dal mitocondrio, detti numts (che sta per nuclear mitochondrial sequences): ne sono stati riconosciuti ben 1200 tipi, inseriti nei cromosomi. Questo dato e' confrontabile con il genoma dello scimpanze', il nostro cugino piu' prossimo nell'albero filogenetico, mentre risulta nettamente superiore ai numts che si possono riscontrare nel genoma di altri mammiferi non cosi' vicini a noi. I mammiferi piu' "antichi" possiedono infatti, come rilevato ad esempio sul topo e sul ratto, un numero decisamente inferiore di numts.
I ricercatori hanno trovato una correlazione tra il numero di numts nel genoma e la complessita' dell'organismo, ma questi frammenti non possono essere direttamente selezionati, visto che non controllano geni e non esprimono alcuna proteina, e cioe' alcun tratto strutturale o funzionale dell'individuo sul quale opera la selezione naturale: gli studiosi parlano quindi di evoluzione neutrale di questi segmenti. Secondo i calcoli degli autori, i numts cominciarono a moltiplicarsi nel genoma dei primi primati piu' di 50 milioni di anni fa, nel bel mezzo della separazione tra la linea evolutiva delle proscimmie e quella dei primati antropoidi: Katsanis spiega quanto osservato con la deriva genetica dovuta ad un effetto "collo di bottiglia" (cioe' una rapida e drastica riduzione) della popolazione verificatasi all'inizio di questo split, e successiva fissazione neutrale degli elementi ripetitivi di DNA.
Studi come questo contribuiscono a decifrare la complessa architettura del genoma umano, e a spiegare i contributi portati dalle varie forze evolutive, come la selezione naturale nel caso dei geni e degli elementi regolatori, o la deriva genetica casuale, neutra alla selezione, nel caso degli elementi ripetitivi.
Paola Nardi
A questa conclusione sono giunti alcuni ricercatori del Johns Hopkins's Institute of Genetic Medicine, guidati da Nicholas Katsanis: la loro ricerca trova spazio sulle pagine online di PLoS Genetics. Il team, analizzando il DNA umano alla ricerca di geni correlati alla sindrome di Bardet Biedl, si e' imbattuto in elementi ripetitivi, cioe' in frammenti costituiti da alcune basi azotate che si ripetono centinaia di volte e che vanno a formare piu' del 40% del nostro genoma. In particolare Katsanis ha trovato nel DNA nucleare degli elementi ripetitivi provenienti dal mitocondrio, detti numts (che sta per nuclear mitochondrial sequences): ne sono stati riconosciuti ben 1200 tipi, inseriti nei cromosomi. Questo dato e' confrontabile con il genoma dello scimpanze', il nostro cugino piu' prossimo nell'albero filogenetico, mentre risulta nettamente superiore ai numts che si possono riscontrare nel genoma di altri mammiferi non cosi' vicini a noi. I mammiferi piu' "antichi" possiedono infatti, come rilevato ad esempio sul topo e sul ratto, un numero decisamente inferiore di numts.
I ricercatori hanno trovato una correlazione tra il numero di numts nel genoma e la complessita' dell'organismo, ma questi frammenti non possono essere direttamente selezionati, visto che non controllano geni e non esprimono alcuna proteina, e cioe' alcun tratto strutturale o funzionale dell'individuo sul quale opera la selezione naturale: gli studiosi parlano quindi di evoluzione neutrale di questi segmenti. Secondo i calcoli degli autori, i numts cominciarono a moltiplicarsi nel genoma dei primi primati piu' di 50 milioni di anni fa, nel bel mezzo della separazione tra la linea evolutiva delle proscimmie e quella dei primati antropoidi: Katsanis spiega quanto osservato con la deriva genetica dovuta ad un effetto "collo di bottiglia" (cioe' una rapida e drastica riduzione) della popolazione verificatasi all'inizio di questo split, e successiva fissazione neutrale degli elementi ripetitivi di DNA.
Studi come questo contribuiscono a decifrare la complessa architettura del genoma umano, e a spiegare i contributi portati dalle varie forze evolutive, come la selezione naturale nel caso dei geni e degli elementi regolatori, o la deriva genetica casuale, neutra alla selezione, nel caso degli elementi ripetitivi.
Paola Nardi
La variabilità delle razze locali
Uno studio pubblicato su Science ha confrontato i genomi di diverse razze locali della pianta Arabidopsis thaliana, riscontrando una grande variabilità come conseguenza di adattamento alle condizioni ambientali.
Una specie cosmopolita è in grado di sopravvivere in una vasta gamma di ambienti e di adattarsi alle diverse condizioni esterne a cui sono sottoposte. Questo adattamento alle condizioni ambientali può influire fortemente sui genomi, che risultano quindi estremamente variabili. E' il caso della "pianta da laboratorio" Arabidopsis thaliana che, in condizioni naturali, presenta numerose razze locali.
Un gruppo di ricercatori americani e tedeschi, capeggiati da Detlef Weigel del Max Planck Institute for Developmental Biology, ha confrontato i genomi di 19 varietà di Arabidopsis provenienti da diverse regioni del pianeta e quello della razza di laboratorio, interamente sequenziato nel 2000. Sono stati infatti analizzati i DNA di piante africane, eurasiatiche e americane, che risiedevano in una fascia compresa tra il Circolo Polare Artico e i tropici.
I risultati, pubblicati sulle pagine della prestigiosa rivista Science, indicano una sorprendente variabilità, molto superiore alle aspettative. Infatti, in seguito all'utilizzo di una complicata procedura di marcatura e sequenziamento e di sofisticati metodi satistici, emerge che tutte le 180 unità geniche analizzate risultano differenti tra le diverse popolazioni. Inoltre, vi sono alcune regioni genomiche che risultano delete in alcune varietà e numerosi geni che hanno perso la propria funzione originaria. Questa grande variabilità intraspecifica, secondo i ricercatori, riflette un processo di adattamento a condizioni ambientali locali.
Tramite modificazioni del genoma, infatti, le piante sono in grado di resistere a periodi lunghi di siccità, di estendere la crescita dei rami e delle radici per captare meglio il sole e l'acqua e di prolungare la stagione di crescita vegetativa, dipendenta dal fotoperiodo e dalla latitudine e di affrontare i diversi ceppi di patogeni che le attaccano. Sono proprio i geni deputati alla difesa dai parassiti quelli che presentano una maggiore variabilità.
Questa analisi genomica comparata, che non ha precedenti, consente di capire in che modo i geni interagiscono con i diversi ambienti e di focalizzare l'attenzione sulla natura popolazionale delle specie. Solo conoscendo le diverse varietà di una specie e considerando che le specie non sono mai entità panmittiche (tutti gli individui non hanno la stessa possibilità di riprodursi con chiunque) sarà possibile, ad esempio, sviluppare politiche di protezione e conservazione più incisive.
Andrea Romano
Una specie cosmopolita è in grado di sopravvivere in una vasta gamma di ambienti e di adattarsi alle diverse condizioni esterne a cui sono sottoposte. Questo adattamento alle condizioni ambientali può influire fortemente sui genomi, che risultano quindi estremamente variabili. E' il caso della "pianta da laboratorio" Arabidopsis thaliana che, in condizioni naturali, presenta numerose razze locali.
Un gruppo di ricercatori americani e tedeschi, capeggiati da Detlef Weigel del Max Planck Institute for Developmental Biology, ha confrontato i genomi di 19 varietà di Arabidopsis provenienti da diverse regioni del pianeta e quello della razza di laboratorio, interamente sequenziato nel 2000. Sono stati infatti analizzati i DNA di piante africane, eurasiatiche e americane, che risiedevano in una fascia compresa tra il Circolo Polare Artico e i tropici.
I risultati, pubblicati sulle pagine della prestigiosa rivista Science, indicano una sorprendente variabilità, molto superiore alle aspettative. Infatti, in seguito all'utilizzo di una complicata procedura di marcatura e sequenziamento e di sofisticati metodi satistici, emerge che tutte le 180 unità geniche analizzate risultano differenti tra le diverse popolazioni. Inoltre, vi sono alcune regioni genomiche che risultano delete in alcune varietà e numerosi geni che hanno perso la propria funzione originaria. Questa grande variabilità intraspecifica, secondo i ricercatori, riflette un processo di adattamento a condizioni ambientali locali.
Tramite modificazioni del genoma, infatti, le piante sono in grado di resistere a periodi lunghi di siccità, di estendere la crescita dei rami e delle radici per captare meglio il sole e l'acqua e di prolungare la stagione di crescita vegetativa, dipendenta dal fotoperiodo e dalla latitudine e di affrontare i diversi ceppi di patogeni che le attaccano. Sono proprio i geni deputati alla difesa dai parassiti quelli che presentano una maggiore variabilità.
Questa analisi genomica comparata, che non ha precedenti, consente di capire in che modo i geni interagiscono con i diversi ambienti e di focalizzare l'attenzione sulla natura popolazionale delle specie. Solo conoscendo le diverse varietà di una specie e considerando che le specie non sono mai entità panmittiche (tutti gli individui non hanno la stessa possibilità di riprodursi con chiunque) sarà possibile, ad esempio, sviluppare politiche di protezione e conservazione più incisive.
Andrea Romano
Spinarelli disonesti
Nelle acque torbide del Mar Baltico, gli spinarelli maschi di bassa qualità riescono ad ingannare le femmine ed accoppiarsi, sfruttando la poca visibilità. In questo modo viene ridotta la pressione della selezione sessuale.
L'espressione di un elevato livello di caratteri sessuali secondari, quei caratteri che si sono evoluti non per selezione naturale bensì per selezione sessuale, comporta nella maggior parte dei casi un ingente costo per i possessori. Il costo pagato dai maschi di alta qualità è "necessario" perchè l'informazione sul proprio status sia onesta. Ci possono essere casi in cui gli individui di bassa qualità possono sfruttare le condizioni ambientali per inviare messaggi disonesti ed ingannare le femmine?
Questa è la domanda a cui hanno cercato di rispondere i ricercatori della Monash University, della University of Uppsala e della Åbo Akademi, in Finlandia, tramite uno studio sperimentale sullo spinarello (Gasterosteus aculeatus) nelle acque sempre meno limpide del Mar Baltico. Questo mare è soggetto ad una continua immissione di nutrienti organici di origine antropica, che comportano lo sviluppo di fitoplancton in eccessive quantità.
Dalle pagine della rivista American Naturalist si legge che i maschi di bassa qualità, in condizioni di elevata torbidità dell'acqua dovuta a imponenti fioriture algali, sono in grado di ingannare le inconsapevoli femmine. Questi individui, infatti, sfruttando la poca visibilità, si comportano come maschi di alta qualità, eseguendo display di corteggiamento disonesti. Questi mentono alle femmine riguardo le loro effettive condizioni fisiche, senza rischiare di essere aggrediti dai maschi che sono realmente di alta qualità. In assenza di alghe, invece, i maschi ingannatori non si comportano in maniera disonesta e l'interazione competitiva per la conquista delle femmine non viene influenzata da fattori esterni.
Da questo studio emerge che il disturbo di origine antropica potrebbe ridurre la pressione della selezione sessuale, con potenziali importanti conseguenze a livello popolazionale.
Andrea Romano
L'espressione di un elevato livello di caratteri sessuali secondari, quei caratteri che si sono evoluti non per selezione naturale bensì per selezione sessuale, comporta nella maggior parte dei casi un ingente costo per i possessori. Il costo pagato dai maschi di alta qualità è "necessario" perchè l'informazione sul proprio status sia onesta. Ci possono essere casi in cui gli individui di bassa qualità possono sfruttare le condizioni ambientali per inviare messaggi disonesti ed ingannare le femmine?
Questa è la domanda a cui hanno cercato di rispondere i ricercatori della Monash University, della University of Uppsala e della Åbo Akademi, in Finlandia, tramite uno studio sperimentale sullo spinarello (Gasterosteus aculeatus) nelle acque sempre meno limpide del Mar Baltico. Questo mare è soggetto ad una continua immissione di nutrienti organici di origine antropica, che comportano lo sviluppo di fitoplancton in eccessive quantità.
Dalle pagine della rivista American Naturalist si legge che i maschi di bassa qualità, in condizioni di elevata torbidità dell'acqua dovuta a imponenti fioriture algali, sono in grado di ingannare le inconsapevoli femmine. Questi individui, infatti, sfruttando la poca visibilità, si comportano come maschi di alta qualità, eseguendo display di corteggiamento disonesti. Questi mentono alle femmine riguardo le loro effettive condizioni fisiche, senza rischiare di essere aggrediti dai maschi che sono realmente di alta qualità. In assenza di alghe, invece, i maschi ingannatori non si comportano in maniera disonesta e l'interazione competitiva per la conquista delle femmine non viene influenzata da fattori esterni.
Da questo studio emerge che il disturbo di origine antropica potrebbe ridurre la pressione della selezione sessuale, con potenziali importanti conseguenze a livello popolazionale.
Andrea Romano
La lenta ascesa dei dinosauri
La conquista del pianeta da parte dei dinosauri non avvenne in seguito all'estinzione dei loro predecessori, ma i due gruppi convissero ed entrarono in competizione per milioni di anni.
Sulla base di alcuni ritrovamenti fossili nello stato americano del New Mexico, si può affermare che i dinosauri, prima di diventare gli assoluti dominatori della terra, convissero per decine di milioni di anni con i propri predecessori, i cosiddetti dinosauromorfi. Fino ad oggi si credeva, invece, che la diffusione dei dinosauri sul nostro pianeta fosse avvenuta in seguito alla definitiva scomparsa dei loro antenati, a cui sarebbero succeduti molto rapidamente.
I ritrovamenti fossili sono stati portati alla luce da paleontologi della University of California, Berkeley, del American Museum of Natural History e del The Field Museum e sono stati desritti sull'ultimo numero della rivista Science. Questi fossili comprendono sia resti di antichi dinosauri che ossa dei loro precursori dinosauromorfi tutti databili tra 220 e 210 milioni di anni. Alla luce delle nuove scoperte, i ricercatori sostengono che tra questi due gruppi di animali probabilmente si fosse instaurata un'interazione competitiva che perdurò per alcuni milioni di anni, fino alla conquista del pianeta da parte dei dinosauri.
Questa ipotesi non poteva essere avallata dai dati paleontologici fino a questo ritrovamento, poichè erano conosciuti solo pochi resti sia di dinosauri che di dinosauromorfi nel Triassico superiore. Questa limitatezza di testimonianze fossili veniva interpretata come un periodo di transizione tra l'estinzione dei precursori dei dinosauri, che sembravano essere ancora presenti con un numero esiguo di specie, e i futuri dominatori del pianeta, che stavano cominciando a diffondersi. Molti gruppi che si pensavano estinti, invece, vivevano e proliferavano ancora. La conquista della terra da parte dei dinosauri fu dunque un processo lento e graduale piuttosto che una conquista rapida in cui trovano l'ambiente sgombro da competitori.
Tramite l'analisi di queste ossa fossili sarà possibile ricavare informazioni preziose riguardo l'evoluzione dei dinosauromorfi e la diffusione e la diversificazione dei dinosauri.
Intanto la prima sorpresa giunge da un predecessore dei dinosauri, a cui non è stato ancora dato un nome, che presenta caratteristiche inconsuete per il suo gruppo tassonomico. Contrariamente a tutti gli altri, è infatti erbivoro e quadrupede.
Andrea Romano
Sulla base di alcuni ritrovamenti fossili nello stato americano del New Mexico, si può affermare che i dinosauri, prima di diventare gli assoluti dominatori della terra, convissero per decine di milioni di anni con i propri predecessori, i cosiddetti dinosauromorfi. Fino ad oggi si credeva, invece, che la diffusione dei dinosauri sul nostro pianeta fosse avvenuta in seguito alla definitiva scomparsa dei loro antenati, a cui sarebbero succeduti molto rapidamente.
I ritrovamenti fossili sono stati portati alla luce da paleontologi della University of California, Berkeley, del American Museum of Natural History e del The Field Museum e sono stati desritti sull'ultimo numero della rivista Science. Questi fossili comprendono sia resti di antichi dinosauri che ossa dei loro precursori dinosauromorfi tutti databili tra 220 e 210 milioni di anni. Alla luce delle nuove scoperte, i ricercatori sostengono che tra questi due gruppi di animali probabilmente si fosse instaurata un'interazione competitiva che perdurò per alcuni milioni di anni, fino alla conquista del pianeta da parte dei dinosauri.
Questa ipotesi non poteva essere avallata dai dati paleontologici fino a questo ritrovamento, poichè erano conosciuti solo pochi resti sia di dinosauri che di dinosauromorfi nel Triassico superiore. Questa limitatezza di testimonianze fossili veniva interpretata come un periodo di transizione tra l'estinzione dei precursori dei dinosauri, che sembravano essere ancora presenti con un numero esiguo di specie, e i futuri dominatori del pianeta, che stavano cominciando a diffondersi. Molti gruppi che si pensavano estinti, invece, vivevano e proliferavano ancora. La conquista della terra da parte dei dinosauri fu dunque un processo lento e graduale piuttosto che una conquista rapida in cui trovano l'ambiente sgombro da competitori.
Tramite l'analisi di queste ossa fossili sarà possibile ricavare informazioni preziose riguardo l'evoluzione dei dinosauromorfi e la diffusione e la diversificazione dei dinosauri.
Intanto la prima sorpresa giunge da un predecessore dei dinosauri, a cui non è stato ancora dato un nome, che presenta caratteristiche inconsuete per il suo gruppo tassonomico. Contrariamente a tutti gli altri, è infatti erbivoro e quadrupede.
Andrea Romano
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